Intelligenza, cultura, scolarizzazione: interdipendenza, circolo virtuoso… o non c’entrano nulla l’una con l’altra?
La dico semplicemente: l’intelligenza, come dice la parola stessa (in latino intus-legere), è la capacità umana (innanzi tutto) di “leggere-dentro” e in profondità le cose del mondo e le vite degli esseri umani. Certamente vi è una letteratura e una bibliografia pressoché infinita che parla dell’intelligenza; vi sono in tema cospicui trattati di filosofi come Aristotele, Locke, Hume, etc, di psicologi contemporanei come Carl G. Jung e Steven Pinker, tra molti altri. Vi sono, da un lato, scuole di pensiero di tipo meccanicistico, che ritengono l’intelligenza sia essenzialmente il prodotto del lavorio biochimico ed elettrico dei neuroni e dei loro collegamenti sinaptici; vi sono, però, anche scuole di pensiero che ritengono l’intelligenza umana autocosciente trascendere enormemente la mera funzionalità fisica sopra descritta, manifestando una più alta e quasi ineffabile potenza conoscitiva.
(Woody Allen)
La cultura, che alcuni collegano direttamente in modo univoco all’intelligenza, è qualcosa di molto differente, poiché non è funzione diretta dell’intelligenza: in altre parole possono darsi persone anche colte, nel senso di erudite, cioè che-sanno-molte-cose, ma che non solo precipuamente molto intelligenti, nel senso dell’intus legere; persone che fanno fatica a cogliere in profondità la complessità dell’essere umano, mentre possono descrivere con acribiosa precisione la complicazione delle macchine pensate, progettate e costruite dall’uomo. Si pone dunque, a questo punto, la differenza radicale concettuale tra complessità e complicazione: la complessità, che concerne le strutture della vita, e specialmente quelle del cervello umano e del suo funzionamento, nonché prodotti umani come testi letterari e poetici, non può essere spiegata come si spiega e si ripiega un lenzuolo (cf. Ilya Prigogine, Gregory Bateson, Edgar Morin, Alberto F. De Toni, e altri), ma può essere compresa (presa-dentro) e interpretata, come hanno insegnato grandi autori classici come Origene di Alessandria e sant’Agostino, e autori moderni e contemporanei come Friedrich Schleiermacher, Martin Heidegger, Paul Ricoeur e Luigi Pareyson, etc.), maestri della disciplina che si occupa dell’interpretazione, l’ermeneutica.
La complicazione, invece, si può conoscere al 100%, come ben sanno gli ingegneri progettisti, che padroneggiano quote e misure anche della macchina più articolata come può essere un mezzo spaziale o una macchina elettromedicale.
L’intelligenza si può certamente sposare con la cultura, però in modo biunivoco, nel senso che in un circolo virtuoso l’una nutre l’altra e viceversa, anche se non necessariamente, come nel caso di mia nonna Caterina, che cito spesso nei miei scritti e che possedeva la terza elementare, perché vi possono essere persone intelligenti anche se non propriamente colte, e al contrario, persone colte, ma poco intelligenti.
Vi è poi il tema della scolarizzazione. E’ evidente che chi frequenta una buona scuola superiore (liceo classico, scientifico, o istituto tecnico), e poi procede con seri studi universitari all’europea (diciamo pure all’italiana), certamente sviluppa la propria cultura e sollecita l’intelligenza. Dei college americani qui non ho tempo di parlare, ma mi suggeriscono giudizi controversi, così come le loro high school. E’ chiaro che i tre elementi, intelligenza, cultura e scolarizzazione sono collegati, ma mai in modo meccanicistico. Solo un esempio: conosco molti laureati poco colti e assai poco intelligenti, mentre conosco molti non laureati e neppure diplomati, assai intelligenti e a volte perfino molto colti. Un esempio: conobbi un grande sindacalista, nella mia vita precedente, che possedeva solo il diploma di scuola media, ed era un grandissimo oratore, un eccellente conferenziere e un sommo contrattualista: il segretario generale della Cisl degli anni ’80, Pierre Carniti.
Un esempio di coesione evidente tra intelligenza e cultura è, a mio avviso, l’attore e regista ebreo americano Woody Allen, in possesso anche di una buona scolarizzazione. Ma questo esempio è piuttosto una rarità.
Potrei esemplificare a lungo, ma qui basti l’esempio che propongo di seguito.
Il pacifismo attuale si declina spesso come “pacismo”, analogamente agli amici della pace di staliniana memoria (anni ’50 del XX secolo), che proponevano il disarmo unilaterale dell’Occidente, in quanto Stalin (e successori) era (erano), secondo loro, di per sé fautore(i) di una politica pacifista e non aggressiva. La Storia si è poi facilmente impegnata a dimostrare il contrario.
Ai nostri giorni, come fanno questi “pacifisti” a non capire, o comprendere, che se non si aiuta l’Ucraina non ci potrà mai essere una contrattazione leale per far finire la guerra di aggressione perpetrata dalla Federazione Russa: smettere di inviare armi come sostengono i vari Salvini, Conte, Travaglio, Santoro, e altri di destra e di sinistra (forse non tanto stranamente, questa accolta comprende militanti dei due versanti, come l’antisemitismo, chissà perché?), non solo non è una posizione veramente pacifista, ma è una posizione del tutto idiota.
Non è chiaro quanto sostengo anche ad una intelligenza elementare e ad una cultura-scolarizzazione di media caratura? Oppure nei personaggi citati alberga malafede e disonestà intellettuale, poiché non gli attribuirei dei QI (Quoziente Intellettivo) così scarsi o insufficienti. O cos’altro?
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