…il furore del popolo e Judas di Kelthor (Giuda Iscariota)
(Ho ricevuto non pochissime richieste di trattare di papa Francesco. Lo farò domenica prossima, perché è un tema che richiede qualche attenta riflessione, e pacata, alla fine del clamore mediatico attuale.
Informo che l’articolo successivo tratterà dell’enorme nostalgia che provo per la Tribuna Politica degli anni ’60 e ’70, a fronte dell’infimo livello degli attuali talk show)
Bar-abba (in ebraico “figlio-del-padre”) viene liberato due giorni prima della Pasqua (Pesah) ebraica, a furor di popolo, mentre Gesù di Nazaret viene condannato a morte e crocifisso il giorno dopo. Giuseppe d’Arimatea, uomo del Sinedrio e amico discreto di Gesù (questo fatto mostra come il Maestro non negasse ad alcuno la sua amicizia), chiede al Procuratore di Roma Ponzio Pilato il permesso di seppellirlo e lo ottiene; poi c’è il-giorno-dopo-il-sabato (cf. Giovanni 20) e il corpo non si trova.
Le donne, arrivate per prime, non trovano il corpo, vanno dagli Apostoli, li informano, Pietro e Giovanni corrono verso la tomba, che è vuota. Giovanni, giovanissimo, corre più di Pietro, ma per rispetto di lui che è più anziano e autorevole non entra, lascia che sia Simon Pietro ad entrare e poi si affaccia anche lui dentro la grotta fatta scavare dall’uomo di Arimatea nella pietra viva, vede il sudario piegato a parte (entetuligmènon), e racconta, riferendosi a sé stesso: “E vide e credette” (kài èiden kài episteusen).
San Paolo scrisse in seguito che se questa frase non corrispondesse alla verità, l’intero Cristianesimo non avrebbe senso.
Il furore del popolo. Che cosa c’entra con questa storia? C’entra perché il furore del popolo di Gerusalemme, sobillato dagli scribi del tempio, dai capi dei Sadducei che avevano la maggioranza politica nel Sinedrio e dai più formalisti tra i Farisei, assieme con la realpolitk del Procuratore Ponzio Pilato, ha fatto sì che Gesù di Nazaret fosse condannato e ucciso, come si uccide un criminale secondo le leggi penali dell’Impero romano, che durarono fino a quando l’imperatore Costantino, dopo la vittoria al Ponte Milvio su Massenzio (12 ottobre 312 d. C.) e dopo il ritrovamento della vera Croce da parte di sua madre Elena, abolì il tremendo supplizio, che aveva ormai assunto un significato di salvezza per tutti i credenti in Cristo (anch’io ho al collo un piccolo crocifisso d’oro da decenni: un giorno che un amico musulmano mi chiese perché lo tenessi al collo, gli risposi “perché mi ricorda il mio limite, che Gesù Cristo ha superato anche per me“. Lui stette zitto).
Da quel supplizio e con Costantino iniziò un altro periodo della Storia universale. Dobbiamo allora essere grati a quel “furor di popolo”, di un popolazzo sobillato e manipolato?

(Gustave Le Bon)
Ancora: Gesù è condannato a morte perché ha bestemmiato dichiarandosi Messia, per poi preoccupare (ma non tanto) le autorità romane quando si dichiara “re-dei-Giudei”; piuttosto, Pilato è preoccupato dalle sedizioni, che erano in corso, compresa l’entrata di Gesù a Gerusalemme che era stata accompagnata da esclamazioni di Alleluja sì, ma con una certa ferocia e impeto popolari. Alleluja.
Alleluja, Hallelujah o Halleluyah sono traslitterazioni del lemma ebraico הַלְּלוּיָהּ ləlûyāh), composta da Hallelu e Yah, che si traduce letteralmente “preghiamo / lodiamo (הַלְּלוּ) YHWH (Yah יָהּ)”, dove Yah è la forma abbreviata di YAWH (nome proprio di Dio, indicato con il tetragramma יהוה). Simile significato troviamo nell’invocazione Osanna. Nella Bibbia, sia nella parte scritta in ebraico, sia nel Nuovo Testamento scritto anche in greco, Osanna è usato soltanto col significato di “aiuto, sollievo” o “dona (a noi) (la) salvezza“. Poteva essere gridato al passaggio del re per chiedere il suo aiuto (come in 2 Re 6,26-27), ma nei Salmi era spesso indirizzato a Dio. Questo significato è comune nelle altre lingue antiche: il latino “salus” e il greco “Σωτήρ” significano sia salute che salvezza, dell’anima e del corpo.
Ancora: gli zeloti, uomini di opposizione armata (oggi diremmo di estrema sinistra), agli occupanti e per il Regno dei cieli futuro annunziato dalle Scritture, di cui Barabba faceva parte, facevano più paura, ma non tanto quanto Gesù, che voleva smascherare il Tempio e dunque – obiettivamente – ribaltare lo status quo politico, pur non essendo questo il suo fine primario, che era la conversione dei cuori inariditi da una pratica religiosa diventate, in generale, quasi puramente formalistica di rispetto di precetti e divieti.
E: il Talmud (trattato Makkoth 23b) stabilisce che la Torah contiene 613 Mitzvot delle quali 248 sono מצות עשה (mitzvot aseh, comandamenti positivi, obblighi) e 365 sono מצות לא תעשה (mitzvot lo taaseh, comandamenti negativi, divieti).
Dentro queste folle, la stessa figura di Giuda di Kelthor (Iscariota) si inquadra sotto due profili:
a) quello politico, perché quasi certamente quest’uomo era vicino al partito degli Zeloti, e questo mostra – ancora una volta – come Gesù tenesse vicino a sé chiunque, e si aspettava che Gesù fosse il “capo” biblico che avrebbe liberato dal “colonialismo” romano (termine anacronistico) il popolo e le terre di Israele, cioè le terre di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, e infine rimase moralmente e politicamente “deluso” da Gesù;
2) quello teologico, come ben spiega il professor Joseph Ratzinger – papa Benedetto XVI, nel suo “Gesù di Nazaret” (in tre volumi, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2010), che ritiene l’opera di Giuda inserita, pur considerando il supremo peccato del tradimento del Rabbi nazareno, nel disegno della salvezza. Le vie del Signore…
Nel mio piccolissimo, in un sonetto pubblicato qualche anno fa, sommessamente credo in un Giuda pentito, all’ultimo, prima di esalare il respiro ultimo. Infatti, chi tra gli uomini può conoscere le intenzioni del cuore dell’uomo?
Il popolazzo sobillato, più che dagli Zeloti, dai servizi segreti del Tempio sadduceo e fors’anche dai Farisei più osservanti, contribuisce a portare la situazione a una tensione tale che il Procuratore decide di far uccidere Gesù, il Rabbi di Nazaret, che aveva cominciato a fare tanta paura ai due poteri colà presenti.
La psicologia delle folle
Gustave Le Bon, nel suo La psicologia della folla (1890) descrive bene i meccanismi psicologici che caratterizzano le folle scatenate, che mostrano come gli assembramenti facciano decadere le capacità logiche e financo i princìpi morali dei singoli.
Solo esempi: lo scatenarsi dei gruppi di pro-pal con le bandiere di Hamas che si buttano contro Polizia e Carabinieri, assomiglia alla folla che chiede la morte di Gesù, e mi ricordano il testo di Le Bon. Altrettanto mi fanno pensare le curve del tifo calcistico odierno, e il funzionamento psico-sociale delle baby gang di tutti i generi e specie.
Non è in questione (bisogna che lo ripeta sempre, purtroppo) di non ricordare che a Gaza, e non solo, si stiano compiendo ignobili eccidi, e che Hamas non sia un’accolita di criminali e di fanatici, come la storia ci racconta essere stati presenti e attivi in molte situazioni, che hanno visto anche i Cristiani autori di nequizie ignobili. Diamo per scontato che conosciamo gli orrori perpetrati da chiunque nel tempo dell’uomo.
Nell’opera citata, Gustave Le Bon analizza con grande dettaglio l’influenza dei fenomeni collettivi sui comportamenti individuali, mostrando come questi possano essere profondamente modificati dall’appartenenza a un gruppo. Sebbene la psicologia sociale e la sociologia abbiano successivamente sviluppato modelli più complessi, La psicologia delle folle rimane un’opera fondamentale per aver avviato lo studio sistematico dei comportamenti collettivi e per il suo impatto sulla riflessione culturale e accademica tra Ottocento e Novecento.
Le Bon definisce la folla come un’aggregazione di individui in cui la personalità del singolo si dissolve o si annulla. Da questa fusione emerge un’“anima collettiva”, dotata di caratteristiche proprie e distintive. Questo fenomeno trasforma il comportamento dei singoli, inducendoli a sentire, pensare e agire diversamente rispetto a quando agiscono isolatamente. Le Bon chiama questa entità una “folla organizzata” o “folla psicologica”.
“In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso è composto. La singola personalità cosciente svanisce, mentre i sentimenti e le idee di tutte le individualità si orientano in una stessa direzione.”
Contrariamente a quanto il termine “folla” potrebbe suggerire, Le Bon sottolinea che non è il numero di individui a determinare la formazione di una folla psicologica. Anche piccoli gruppi o individui separati, uniti da sentimenti collettivi intensi, possono costituire una folla psicologica.
“In certi particolari momenti storici, una mezza dozzina di uomini possono costituire una folla psicologica, mentre un altro centinaio di individui riuniti insieme accidentalmente non costituiscono invece una folla.”
Ecco l’esempio delle baby gang.
Ciò che conta, dunque, non è la quantità, ma le dinamiche relazionali che si instaurano. Un fattore esterno – come una causa politica, sociale o religiosa – è spesso il catalizzatore che orienta gli individui verso un obiettivo comune, portandoli a perdere la propria individualità e ad agire sotto l’influenza di una “anima collettiva”. Questo stato genera un senso di appartenenza che risulta confortevole, grazie alla sensazione di anonimato e alla percezione di invincibilità derivante dal gruppo.
“Il primo fattore consiste nel sentimento di invincibilità che gli individui provano all’interno della folla, … che permette loro di cedere a istinti che, isolati, sarebbero riusciti a frenare.”
Di conseguenza, secondo Le Bon, la folla determina una perdita complessiva di razionalità e di senso critico individuale:
“L’individuo della folla non è che un granello di sabbia in mezzo ad altri granelli di sabbia, sollevati dal vento a piacimento.”
Darwin e Le Bon
Sebbene Le Bon non citi esplicitamente Darwin, il suo lavoro risente chiaramente dell’influenza del pensiero evoluzionista dell’epoca. Questo emerge nei riferimenti impliciti alla selezione naturale e ad una “eredità atavica”. Secondo Le Bon, le caratteristiche delle folle rappresentano un’espressione di ciò che egli definisce “l’eredità delle generazioni passate”:“L’ereditarietà rappresenta l’influenza delle generazioni passate sulle generazioni presenti. Essa è una forza potente che modella i pensieri e le azioni delle folle, spesso in modo inconscio.”
Nel leggere Le Bon sorge spontaneo il richiamo a Darwin e alle sue osservazioni sul comportamento di gruppo e i suoi conseguenti vantaggi evolutivi.
Ne “L’origine delle specie”, Darwin affronta più volte questo tema, sottolineando come la formazione di gruppi possa favorire, in alcune specie, una più efficace difesa collettiva e una maggiore efficienza nella ricerca di risorse.
“Le specie che vivono insieme in branchi o colonie spesso hanno un grande vantaggio, non solo nella difesa reciproca, ma anche nella accresciuta probabilità di trovare cibo, poiché molti individui possono agire come cercatori.”
Darwin osserva inoltre che i comportamenti altruistici all’interno di un gruppo possono andare a discapito del singolo individuo, ma risultano vantaggiosi per la comunità nel suo complesso.
Gli animali che vivono in società possono agire come sentinelle per avvisare il gruppo del pericolo imminente. Questo comportamento, sebbene talvolta a discapito dell’individuo, è ampiamente vantaggioso per la comunità nel suo complesso.”
Sia nelle folle di Le Bon che nei gruppi di Darwin sembra quindi che si assista allo stesso fenomeno: il raziocinio individuale si dissolve dando luogo ad una nuova unità “pensante” che è il gruppo.
L’ossitocina. Traggo da testi specialistici le seguenti considerazioni.
La scienza moderna ha esplorato i meccanismi molecolari che favoriscono i legami sociali nei gruppi, identificando l’ossitocina come un attore chiave. Questa piccola proteina, composta da nove amminoacidi, è prodotta nell’ipotalamo e poi rilasciata nel sistema nervoso centrale e nel flusso sanguigno. La sua struttura è altamente conservata nei vertebrati suggerendo un ruolo evolutivamente significativo.
L’ossitocina agisce sia come neurotrasmettitore che come ormone, influenzando comportamenti quali il parto, l’allattamento e l’intimità tra partner. Nei fringuelli zebra (Taeniopygia guttata), per esempio, l’attivazione dei recettori dell’ossitocina è fondamentale per il mantenimento delle relazioni di coppia e dei comportamenti affiliativi. In diverse specie animali, alti livelli di ossitocina sono stati osservati durante interazioni sociali positive, come il contatto fisico e la cooperazione. Ad esempio, nella relazione mutualistica tra i pesci pulitori e i loro clienti, i pulitori a cui è stata iniettata ossitocina rompono meno spesso la loro interazione col proprio cliente per iniziarne una nuova.
Questo tipo di risultati hanno portato l’ossitocina all’attenzione anche della stampa generalista con il conseguente proliferare di etichette suggestive e semplicistiche come “l’ormone dell’amore” o “l’ormone dell’abbraccio”. In aggiunta, la quantità di ricerca prodotta sull’argomento è aumentata a volte purtroppo a scapito della qualità, con la produzione di alcuni studi che hanno mancato in rigore e riproducibilità. Ciò ha determinato, per reazione, una ondata di riflusso ipercritica. Tuttavia, la gran mole di lavori seri e rigorosi ha permesso di uscire da questo inutile altalenare tra enfasi eccessiva e pregiudizio ipercritico. Grazie ad essi adesso siamo in grado di capire meglio la funzione della ossitocina e, come spesso accade, abbiamo scoperto che essa è assai più complessa e non priva di aspetti contraddittori.
L’ossitocina è infatti in grado di favorire, a seconda del contesto, sia il comportamento prosociale ma anche quello aggressivo, Questo duplice ruolo è stato definito “tend-and-defend” (“cura e difesa”). L’ossitocina promuove infatti la coesione del gruppo, favorendo comportamenti altruistici e cooperativi al suo interno, ma può anche intensificare la percezione delle minacce esterne, stimolando reazioni aggressive verso i gruppi rivali. In alcune specie di pesci sociali, come i ciclidi e gli spinarelli, la presenza di intrusi aumenta l’attività neuronale legata all’ossitocina. Questo si traduce in una maggiore aggressività nella difesa del nido e del territorio.
L’ossitocina, quindi, intensifica irrazionalmente la percezione del pericolo derivante dai rivali, permettendo comportamenti di difesa che possono persino includere il sacrificio individuale in nome della comunità. È stato osservato, ad esempio, che i suricati (Suricata suricatta) trattati con ossitocina trascorrono più tempo in comportamenti di guardia, un’attività pericolosa e costosa in termini di energia ma cruciale per proteggere il gruppo da minacce esterne.
Una simile perdita di razionalità individuale e di spirito critico è stata osservata anche in Homo sapiens. Ad esempio, studi controllati hanno rilevato che la somministrazione di ossitocina tramite spray intranasale incrementa il favoritismo verso il proprio gruppo (in-group) e, in misura minore, riduce la considerazione di gruppi esterni (out-group). Questo suggerisce che l’ossitocina possa alimentare il bias intergruppo, promuovendo la cooperazione interna e contribuendo a dinamiche di conflitto tra gruppi diversi.
Una simile duplicità era stata osservata anche da Le Bon nelle sue folle. Infatti lui notò che la folla, pur essendo spesso impulsiva e aggressiva, non necessariamente possedeva solo qualità distruttive. Anzi essa molte volte orientava il suo operato verso ideali e comportamenti sublimi.
Infatti, dobbiamo distinguere rigorosamente i fenomeni di cui qui ho cercato di dare una rappresentazione con l’aiuto di esempi e dottrine importanti, da ciò che storicamente sono stati moti popolari che hanno condotto, se sono riuscite a superare la dimensione delle jacqueries, o a modifiche e riforme: Ciompi, Vespri siciliani, Rivoluzione napoletana del 1799, etc., ovvero a cambiamenti epocali: Bastiglia nel 1789, San Pietroburgo, Piazza della Domenica di Sangue, prima nel 1905 poi nel 1917 con la presa del Palazzo d’Inverno, oppure Cuba nel 1959, che furono anche inizio di cambiamenti positivi per la vita degli esseri umani
Per parlare quasi solo del nostro Occidente.
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