Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

“Credo per comprendere, comprendo per credere”; “fede” e “ragione” si sostentano a vicenda, come insegnavano sant’Agostino e sant’Anselmo d’Aosta, e in tempi più vicini a noi Joseph Ratzinger. Un parallelismo sinonimico che collega i due strumenti della conoscenza umana

Anselmo d’Aosta, o di Canterbury, platonico-agostiniano d’ispirazione, riprende dall’Ipponate il parallelismo del titolo. Famosa è la frase agostiniana, riportata da sant’Anselmo: “Credo ut intelligam et intelligo ut credam”, cioè “credo affinché possa capire, comprendo perché possa credere“. La struttura logica “finale” delle due frasi mostra come ci debba essere una condizione (necessaria, che-non-cessa, e sufficiente) per realizzare la seconda, con quell’ut più il verbo al modo congiuntivo della forma latina classica, in tutte e due le parti del parallelismo.

(Karl Popper)

In questo post credo di poter inserire armonicamente un capitolo della Tesi di Baccalaureato ottenuto presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose SS. Ermacora e Fortunato di Udine, Gorizia e Trieste, afferente alla Facoltà teologica del Triveneto, di Alessia Bertolini, mia valorosa studentessa, che su sant’Agostino scrive con chiarezza:

Tra i Padri della Chiesa, egli si occupò, particolarmente, del binomio fede e ragione[1], tema che ad oggi è di grande attualità in vista del venticinquesimo anniversario della pubblicazione della Fides et Ratio. Già nel IV secolo, quindi cominciavano a essere chiari molteplici elementi costitutivi della moderna teologia cristiana[2].

L’Ipponate, anche in relazione al suo itinerario personale, si ritrovò più volte a dover riflettere sul positivo ruolo della ragione nell’elaborazione della fede e nell’incontro del Verbo incarnato, inteso come l’unica verità che può colmare il cuore e la mente dell’uomo. Se da una parte egli ammetteva che a Cristo si arriva mediante la fede, dall’altra non toglieva la possibilità che nel cammino nella persona coinvolta il contributo della ragione fosse importantissimo. Propriamente, mentre nella prima fase della sua vita Agostino concepiva il Nous di Plotino, ovvero l’Intelletto-intelligibile, come il Verbo di Dio, dopo la conversione al cristianesimo intese il Verbo incarnato in Gesù Cristo come la sapienza di Dio.

Del resto, proprio potendo contare su una grande conoscenza del neoplatonismo, riuscì in qualche modo a “razionalizzare” il cristianesimo, teorizzando come l’“Illuminazione” sia la condizione che mette in grado l’anima di poter riconoscere il vero e, quindi, assumere coscienza di sé. Ben presto, Agostino iniziò a riflettere sull’intelligenza della fede.

Egli fu quindi soprattutto un pensatore che meditava all’interno della fede, non solo senza rinunciare alla ragione, ma anzi trovando nel pieno esercizio di tale facoltà una fonte di verità. Essendo ragione e fede ambedue promanate dall’unico Creatore divino, risultava difficile per lui che queste potessero entrare in contrasto.

A partire dai primi scritti elaborati aspettando il battesimo, i Dialoghi di Cassiciaco, il De utilitate credendi e il De fide rerum quae non videntur, in maniera particolare, e anche molti altri lavori, ribadì che si crede e si comprende ciò in cui si crede. Sicuramente nella sua ampia produzione letteraria è possibile individuare anche degli sviluppi di tale posizione, che risentono degli specifici contesti polemici e letterari; tuttavia, primeggia una sua sostanziale continuità di pensiero. Partendo dal presupposto che l’uomo può acquisire una reale conoscenza di sé solo quando riguadagna la conoscenza della sua origine in Dio, Agostino non riusciva a non vedere nella ragione un intervento della fede e nella fede un intervento della ragione.

Perciò egli, nella percezione della sapienza di Dio che si manifesta con Cristo, non attribuiva una priorità al momento della credenza rispetto al momento della conoscenza, asserendo che “nessuno crede in niente a meno che non riesca prima a pensare di doverci credere[3].

D’altra parte, valutando credenza e conoscenza come i due termini dialettici dello stesso processo, diceva per esempio, con il meraviglioso chiasmo “Intelligo ut credam, credo ut intelligam”: “comprendi se vuoi riuscire a credere, credi se vuoi riuscire a comprendere[4]; e “alla comprensione siamo guidati inevitabilmente da un duplice principio: la ragione e l’autorità[5]; e anche “lontano da noi il credere che la fede ci impedisca di ricercare o scoprire la soluzione razionale di ciò in cui confidiamo[6].

A tale proposito Giovanni Reale ha rilevato nel Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede che in Agostino esisteva “una tensione singolare di reciprocità tra fede e ragione”, da intendere come due elementi “attivamente interagenti in maniera organica nell’effettività del pensare credente[7].”

Alessia si è impegnata in uno studio assai serio e di non poca fatica, perché immergersi nei concetti più profondi e impegnativi della Teologia, come sapere su Dio e sul rapporto Dio-uomo, è una prova per cuori e menti abbastanza forti.

Si tratta di comprendere (e poi, se possibile, di capire) (se o che vi è) un nesso ragionevole-plausibile tra due poli conoscitivi, la fede e la ragione, che però presuppongono una disposizione e un’apertura mentali, sovente molto rare ai nostri tempi. Eppure, presupporre che possa darsi, non solo un sapere “scientifico” nel senso aristotelico-galileiano (utilizzo un sintagma solo apparentemente contraddittorio e ossimorico, poiché Galileo non ha mai negato recisamente Aristotele, né ha tagliato le radici con questo grande Antico, ma lo ha integrato, sotto il profilo epistemologico), ma anche un sapere-umano-in-relazione con un sapere-umano… divino.

Se la metafisica è ciò-che-sta-al-di-là-della-fisica, ciò non significa negare la conoscenza fisica del mondo e dell’uomo, anzi, al contrario, ne è un completamento sapienziale. Non si possono sapere-le-cose solo per prove-ed-errori (Aristotele-Galileo-Popper), ma anche per intuizione-induzione dal particolare al generale.

Una deduttività (se A allora B allora C, etc.) che non si faccia ispirare dai princìpi primi della logica, a partire da quello di non-contraddizione, che sono l’induzione, non può reggere.

L’intuizione induttiva è il primo modo che l’uomo ha avuto, per prima com-prendere (e poi, insisto in questa distinzione), e poi per capire sé stesso e il mondo. C’è un processo mentale fatto di passaggi consecutivi che l’uomo ha da utilizzare, senza illudersi di arrivare a comprendere-capire ciò che studia senza pazienza e senza fatica, perché è vero il contrario.


[1] Sul rapporto tra fede e ragione in Agostino si veda: Trape A., Sant’Agostino, in Di Bernardino A., in Patrologia, III, Marietti, Casale Monferrato 1978, 325-434; Gilson É., Introduction à l’étude de Saint Augustin, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 1949, trad. it: Introduzione allo studio di Sant’Agostino, Marietti, Casale Monferrato 1983; O’ Daly G., La filosofia della mente in Agostino, Augustinus, Palermo 1988; Lehrberger J., “Intelligo ut credam”: St. Augustine’s Confessions, «The Tomist» 52 (1988) 23-39; Mondin B., Il pensiero di Agostino. Filosofia, teologia, cultura, Città Nuova, Roma 1988; Campodonico A., Salvezza e verità. Saggio su Agostino, Marietti, Genova 1989

[2] Marone P., Fede e ragione nell’interpretazione agostiniana di Gv 17,3, in Porras A., Fede e ragione. Le luci della verità. In occasione del decimo anniversario dell’enciclica Fides et ratio, p. 29

[3] Agostino, De praedestinatione sanctorum 2,5, PL 44, 963.

[4] Agostino, Sermo 43,4, CCL 41, 509

[5] Agostino, De ordine II,9,26, CSEL 63, 165

[6] Agostino, Epistula 120,1,3, CSEL 34/2, 706

[7] Reale V., Agostino, II. Fede e ragione, in Tanzanella-Nitti G. Strumia A., Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, Urbaniana University Press, Roma 2002

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