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Phrònesis (Prudenza) e Philìa (Amicizia), “utili” (why not?) per una vita “buona” (non è moralismo) e “vera” (non è presunzione)

Prudenza e Amicizia, in greco. Phrònesis, come Associazione nazionale per la Consulenza filosofica, è già un progetto di filosofia pratica noto e attivo da vent’anni e passa in Italia, su tematiche e progetti di “Filosofia pratica e Consulenza filosofica”. Vanta già una tradizione cospicua di testi specifici e di filosofi operanti. Di Philìa parlerò brevemente in conclusione.

Phrònesis gode oggi di una fama positiva – ritengo – e meritata, in Italia, e raccoglie, con la fatica dell’impegno dei soci più attivi, “studenti” laureati provenienti da tutte le parti, e persone più in età che desiderano muovere dalla teoria che hanno studiato all’università e si sono laureati in filosofia o discipline equipollenti, alla pratica di una filosofia viva, vicina alle persone e ai loro vissuti, ma continuando a studiare, misurandosi con atti, fatti e pensieri… vite di altri esseri umani.

I nuovi iscritti provengono talvolta anche dai master di filosofia pratica di prestigiosi atenei, che forse non li hanno soddisfatti. Che significa ciò?

Significa che Phrònesis è credibile, che è ritenuta valida, come locus philosophicus e dialogico, pratico, non solo teorico. In vent’anni di vita questa Associazione ha conosciuto vicende diverse, distacchi e adesioni, cambiamenti. Nel 2013 ha avuto anche il riconoscimento di una legge dello Stato, la n. 4. che contiene gli indirizzi essenziali di una possibilità ulteriore nell’ambito delle professioni intellettuali.

Prima di dire e di proporre qualcos’altro, riporto di seguito l’articolo 1 comma 2 della Legge stessa: Oggetto e definizioni”: “(…) si intende una professione non organizzata in ordini o collegi, di seguito denominata “professione”, si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative”.

L’attività di Phronesis è complessa, articolata, come si dice, e vera. Vive in un contesto generale nel quale si registra molta “filosofia”, di quella vera e di quella fasulla. Quella vera-buona e quella falsa-cattiva non si dividono tra filosofia accademica e filosofia pratica, ma tra “buona” e “cattiva”, come la musica. Bach e i Beatles appartengono alla buona musica, nella differenza di stili e “oggetti” musicali prodotti.

Infatti, vi sono delle analogie tra filosofia e musica: ambedue le arti (eh sì, perché anche la filosofia è un’arte, se vogliamo nel senso aristotelico, come un qualcosa che si conosce e si agisce con competenza).

Da qualche tempo la filosofia accademica sta vivendo difficoltà inusitate. Sembrava che fosse una disciplina in crisi, sotto il profilo universitario, e lo era, effettivamente, ma da qualche anno, per merito del web e dei talk show è tornata in auge, anche se, mi pare, non nel modo più auspicabile. Molti accademici di fama vivono una loro gloria inaspettata partecipando ai vari modelli di comunicazione, nati negli ultimi due decenni e sempre più pervasivi. Pare evidente che ciò non gli giova molto: basti osservare le performance di alcuni illustri accademici che si misurano con i talk show su tematiche come quelle della pandemia. Costretti dai e nei tempi televisivi, questi prof diventano apodittici e declamatori, poco inclini al… dialogo, di cui dovrebbero essere maestri. Non sopportano contraddittorio, che dovrebbe essere per loro, esperti di dialettica, platonica o hegeliana che sia, un must, come si dice, ma, vedi gentil lettore, non sono filosofi pratici, ma solo docenti, e quindi abituati a “insegnare”, più che a dialogare. Non faccio nomi, perché chi mi conosce sa a chi mi sto riferendo.

Forse può essere utile al lettore richiamare di seguito ciò che costituisce la consulenza filosofica, così come si è sviluppata nell’arco di due decenni pieni (dal 2000 circa) in Phronesis e come intende ulteriormente proporsi.

La consulenza filosofica, come insegna il professor Gerd Achenbach, iniziatore contemporaneo di questa modalità vivente della filosofia, si interroga (e interroga) sulle forme di pensiero, delle ragioni (non delle “motivazioni”, termine psicologistico assai abusato e usato molto spesso in luogo di “ragioni” e, a volte, anche di “cause”), dei vissuti, dei valori, delle visioni del mondo… di una persona (cf. cap. 3 della Perimetrazione della Consulenza filosofica, 20 Luglio 2012, Seminario nazionale di Phronesis – Firenze).

La consulenza filosofica ha l’obiettivo di rischiarare, arricchire, rendere più articolata e profonda la visione del mondo dell’ospite, o consultante (cf. Pollastri 2016). Se ciò è vero, essa si distingue in modo radicale dalle psicoterapie di qualsiasi genere e specie, compresa la psicoanalisi.

Ogni modifica della propria visione del mondo, non può essere il fine della consulenza filosofica, ma la conseguenza estrinseca, quasi per eterogenesi del fine specifico, nonostante l’opinione circa la visione del mondo del filosofo consulente possa non essere estranea alla relazione tra i due soggetti. Perché tutti e due sono “soggetti”, in quanto nella relazione non si deve registrare passività, ad esempio, nel consultante, ferma restando l’asimmetricità del rapporto. Esso, dunque, non si configura nemmeno lontanamente – per comparazione – come il rapporto esistente tra medico e paziente. Lo spiegano molto bene negli anni diversi filosofi di Phronesis: tra essi qui mi piace ricordare, come esempio, per dire come la filosofia debba essere-vicina alla vita delle persone si propone il concetto di “Filosofia di strada…” (A. Cavadi, 2010).

La trasformazione dell’approccio analitico del mondo deve nascere dall’interiorità (cf. ad e. Agostino, Soliloquia) della persona e non può essere condizionata dalla scala di valori morali del filosofo. Il Valore di questo tipo di attività spirituale è proprio questo: di riuscire a mettere il consultante, che ha manifestato un disagio ed è ricorso al filosofo pratico, nelle condizioni di effettuare una metànoia, innanzitutto logica, e in seguito spirituale, cioè di conversione a una vita buona, e vera. La logica precede sempre l’etica, e la deve fondare, allo stesso modo nel quale l’etica deve fondare il diritto.

Perché uso l’endiadi buona e vera per definire la vita? Si può forse dare una vita non-vera, cioè fasulla? In senso proprio certamente no, poiché l’uomo è vivente, ma in senso figurato-morale, sì, in quanto vi possono essere vite non dedicate a qualcosa che possa essere considerato e definito “bene”, vale a dire vite dedite al vizio e al delitto, non solo, ma anche vite dedite (si fa per dire) all’anodino svolgersi di giornate senza senso, là dove il soggetto non ha la consapevolezza di un tanto, ovvero vite connotate da una pigrizia fondamentale e da un non-agire sistematico.

Ecco dove può muovere i suoi passi la consulenza filosofica individuale, il dialogo inter-soggettivo che può riuscire a far emergere le contraddizione logiche atte a creare un auto-pensiero critico. Come si vede non parlo di pensiero auto-critico, ma, rovesciando i termini, colloco la riflessività del concetto sullo stesso pensiero, che diviene un locus dove il soggetto si rivolge e se stesso quasi costituendosi come pensiero. La critica e la vita, dunque, diventano tutt’uno con il pensiero.

Vi sono situazioni di persone che ho incontrato, per le quali la convinzione di essere-nel-giusto, di essere moralmente irreprensibili, è talmente radicata e ontologicamente esistentiva, che risulta impossibile incrinarla, cioè porre dei dubbi tali da avviare il percorso di una metànoia, che metta in questione abitudini inveterate e convincimenti ferrei… fino a quel punto.

Per la consulenza filosofica il nucleo tematico centrale da individuare è il modo, l’impostazione del pensiero del consultante, e quindi la ricerca di crepe, di illogicità, di salti logici, per verificarne gli effetti e anche i… danni, che può generare nella vita della persona stessa.

Euristica ed eziologia sono due processi che ci interessano nella consulenza filosofica e nel dialogo che la costituisce: a) l’euristica perché filosofando assieme ci si propone di cercare qualcosa e possibilmente di trovarlo (questo qualcosa), b) l’eziologia in quanto ricercando si può risalire, se non si trascura il metodo logico-argomentativo, alle “cause”, oppure, meglio dire, alle “ragioni” che in qualche modo danno senso alla scoperta.

Proviamo ad esemplificare. Ammettiamo che il nostro ospite accetti di mettere in discussione, sotto il profilo teorico, o per meglio dire, intellettuale, le proprie scelte finora assunte e praticate nella vita concreta. Nel contempo egli è convinto che le scelte fatte siano state necessitate, od opportune, o utili, od obbligatorie. Entriamo nell’esempio: la persona è benestante fin dalla nascita e non ha contribuito in alcun modo e non ha profuso alcun impegno nella costruzione del patrimonio che la rende pacificamente benestante. Altre persone hanno prodotto le risorse di questo bene-stare, che sono essenzialmente risorse economiche e finanziarie.

Ora, le regole civilistiche attuali in tema di eredità offrono a chi eredita il diritto di… ereditare. A dirla in questo modo, sembra una quisquilia tautologica. La persona “fortunata” dà per scontato che la sorte, il destino, la bravura del padre o del nonno, un colpo di c. tale da aver vinto una grossa somma a una lotteria, siano da accettare senza riflettere sul merito o meno di trovarsi in quella condizione, a differenza dei più, che spesso stentano a tirare avanti.

Questo tipo di persona ritiene talvolta di essere un tipo speciale, e pertanto non obbligato a guadagnarsi il pane con il “sudore della fronte” (cf. Genesi, 3, 19), poiché non serve, tanto le risorse ci sono già, in quantità tale da garantire non una, ma sette generazioni di vita agiata. Oppure, ritiene che impegnarsi in qualche attività di vertice sia già “lavorare”, perché molti altri agiscono in questo modo (e qui gli esempi riguardano capitani d’industria, innovatori tecnologici e finanzieri cui si pensa di assomigliare).

Questo tipo di persona ritiene poi di avere quasi un diritto “naturale” (non oso dire “divino”, per non esagerare) a ferie speciali, e di potersi distaccare senza problemi dalle fonti che originano il proprio benessere.

Forse, utilizzando una terminologia giudicante le cose adeguata, si potrebbe smuovere qualche masso spirituale che sta occupando e ingombrando impropriamente la “struttura valoriale” del soggetto: ad esempio, si può proporre una lettura della realtà propria e generale alla luce del concetto di “verità locali” (Zampieri, 2009 e oltre), per evitare ogni arroganza propositiva da parte del filosofo consulente.

Posto che il carattere individuale si forma, come hanno ben spiegato Piaget et alii negli ultimi cent’anni, entro i quattordici anni più o meno, e che da lì in poi i comportamenti individuali sono costruibili e modificabili, in positivo e in negativo, si tratta di vedere se il soggetto esemplare di cui qui si tratta se la sente di scavare dentro la propria anima anche a costo di andare profondamente in crisi.

Eccoci al punto: il dialogo filosofico è qui che interviene, mentre ogni tipo di psicoterapia sarebbe inerte, perché solitamente ed essenzialmente destinata ad “andare a caccia” di nevrosi. Queste persone di solito non sono nevrotiche, se non in minima parte, ma sono moralmente anodine, amorfe, oppure hanno una moralità generica e applicabile solo e solamente agli… altri.

L’etica sociale, l’etica della vita umana, semmai esista per questo tipo umano, vale per gli altri. Questo tipo umano può essere rimosso dal convincimento di essere-speciali e di avere diritti speciali solo da un trauma, giammai dal thauma (in greco: la meraviglia, lo stupore, origine di ogni filosofare) del vivere, cioè la meraviglia del vivere, che per questi rischia di essere sempre banalmente noiosa, se non riesce a riempire le proprie giornate di sempre nuovi “giocattoli” (auto, moto, barche, vacanze, donne, se si tratta di un maschio…), di cui molto presto si stanca.

Oppure può riuscirci la filosofia, cioè la metodica del mettere in dubbio le proprie convinzioni mediante la riflessione e il dialogo, a partire dalle più rassicuranti.

Facendo un lavoro con un tipo umano del genere occorre mettere a tema mezzi espressivi, parole, etimologie, sistemi valoriali, idee “forza” dominanti nella psiche e nella storia della persona, elementi di coerenza e di incoerenza, e infine, decisamente, la struttura integrata di personalità sua propria.

Lavorando su questa batteria di elementi si può verificare se si crei qualche crepa, se appaia qualche insenatura nel suo modo di dare il flusso al pensiero, di individuare i verbi da apporre ai soggetti e il senso dell’operatività dei verbi stessi sugli “oggetti” sui quali le azioni verbalizzate terminano.

Riprendendo la fondamentale Perimetrazione della Consulenza filosofica (2012) di Phronesis qui riporto i concetti concernenti “le questioni etiche, relazionali, esistenziali, le decisioni complesse, i dubbi, le revisioni progettuali della propria vita, le scelte puntuali, le separazioni e le riprese affettive, gli interessi, i lutti e le malattie, i cambiamenti di qualsiasi genere e specie, etc.”.

Ebbene, lavorando su questo elenco cercherei di penetrare, non nella psiche come fanno altri e – nel modo peggiore – i manipolatori, nel suo modo di porsi i temi e di svolgerli. In altre parole nel rapporto che esiste tra le parole utilizzate dal soggetto, l’accezione di ciascuna che lo stesso ha nel tempo scelto e l’uso che ne fa nella vita quotidiana e nei rapporti umani.

Gli chiederei poi di valutare la qualità esistenziale e relazionale delle scelte fatte e di quelle fattibili, riflettendo sulla fatticità di quelle fatte e di quelle da farsi. Bona facienda (sunt), mala vitanda: la sintesi morale aristotelico-tomista, dopo questo lavoro potrebbe configurarsi come una suggerimento sommesso per un agire migliore rispetto al passato. Una sintesi morale che nel “dover agire” kantiano si rinforza, facendo coincidere dover fare e dover essere, e con ciò diritti e doveri.

Per produrre tale lavorìo intellettuale potrebbe essere necessario individuare testi e format particolari, adatti alla tipologia personologica dell’ospite, in modo da far emergere i “valori” intellettuali e cognitivi dello stesso, le sue “forme” mentali, e anche i tic, le ripetitività ossessive, le contorsioni linguistiche, i toni più o meno elevati delle vocalizzazioni, e infine il timbro vocale che si è formato negli anni, così come generato da una base genetica.

Se la persona è orgogliosa di un proprio genitore o avo e crede di assomigliargli, è forse il caso di valorizzare l’irriducibile unicità di ciascuno e dunque del soggetto stesso, che non può, né imitare, né pretendere di ri-creare chi lo ha preceduto con meriti imitandi ma irripetibili.

Razionalità ed emozionalità del soggetto possono allora iniziare a farsi in qualche modo “de-codificare”, senza la pretesa di comprenderli, capirli e spiegarli fino in fondo, poiché la mens umana resta sempre un “oggetto” complesso, e pertanto mai completamente de-scrivibile. Non pretendere di spiegare ogni cosa o fatto, ma cercare di comprendere il soggetto interpretando tutti gli elementi fisici e spirituali che lo compongono, può essere la strada per interloquire con le profondità dell’anima della persona di cui qui si sta esemplificando.

Per avere una qualche possibilità di cambiamento bisogna dunque procedere alla massima chiarificazione possibile, al fine di consentire una sorta di rielaborazione della visione del mondo del soggetto e all’ammissione che questa rielaborazione è diventata essenziale per una rinascita interiore e un ri-orientamento nel mondo e per delle scelte più “vitali”.

Questo processo non può essere “lineare” (Pollastri, 2016), ma necessariamente talora contorto, a-sistematico, scombinato – necessariamente – per poter prevedere le condizioni di possibilità di una nuova combinazione positiva, buona, vera.

In verità si sta sempre ricercando il buono e il vero, anche se non tutti e non sempre se ne è consapevoli. Bisognerà avere anche sempre il coraggio di improvvisare, in questo lavoro di ricerca spirituale e morale, senza temere di deragliare, perché ci pare manchino linee guida. Se si è onesti intellettualmente e ben preparati, come si usa in Phronesis, non vi è nulla da temere.

Questo tipo di consulenza si può dire anche, senza tema di essere tacciati da eresiarchi, è non solo filosofica, ma anche spirituale, poiché attiene al plesso totale/ diversificato di spirito-anima-mente, in tutte le sue accezioni filosofico-etimologiche della storia del pensiero occidentale greco-latino e delle lingue volgari moderne e contemporanee. Si tratta di una metodica-che-non-è-tale, in quanto è una continua ricerca che vive di contenuti facentesi via via metodo (cf. Giacometti, 2016).

Non un circolo vizioso ma virtuoso, perché capace di rinnovare il pensiero mentre il pensiero fluisce. Così come si può rinnovare una vita mentre la vita stessa fluisce nella sua naturalità esistenziale e morale.

Phronesis si muove su questo terreno, da oltre vent’anni. E io dentro essa. Da un anno ho la ventura di presiederla, e lo voglio fare con forza e dedizione.

Accanto a Phrònesis , proprio perché questo bisogno di pensiero rinnovatore esiste, mi piacerebbe nascesse – a latere – un’altra associazione, magari da chiamare Philìa, cioè amicizia.

Un’associazione a latere di “umanisti” di tutti i generi e specie, per riunire intelligenze e persone, ponendosi nell’agorà, anzi nelle agorài (caro PD, metti anche il sostantivo al plurale dove scrivi “democratiche”), e così intercettare i bisogni delle persone in molti modi: se Phronesis può agire in modo più profondo e professionale, Philìa potrebbe offrire uno spazio dialogico libero, come quello descritto in questo saggio, utile per qualcuno.

La prova dell’efficacia di questo doppio modello può consistere nella constatazione che alle varie pratiche filosofiche partecipano persone di tutti i generi e sensibilità, perché il sapere filosofico, nelle sue varie declinazioni apre la mente e il cuore, aiutando chiunque a scoprire di se stesso ciò che magari è rimasto finora inerte e latente.

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