Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Visioni di una sfera

…dagli infiniti punti, prisma infinito, fatta di piramidi infinitesime, “tridimensionale con il minimo rapporto superficie/volume: ciò spiega perché a tale forma tendono molti oggetti fisici, dalle gocce di liquido ai corpi celesti. Ad esempio, le bolle sono sferiche perché la tensione superficiale tende a minimizzare l’area a parità di volume.” (dal web). Peraltro, il cilindro circoscritto ha un volume che è 3 / 2 rispetto a quello della sfera, ed una superficie laterale che è la stessa di quella della sfera. Questo fatto, e le formule scritte sopra, erano già noti ad Archimede. Una sfera è definibile anche come formata da un cerchio ruotante intorno al suo diametro.

La sua forma suggerisce perfezione, al punto che Parmenide di Elea la paragonava all’essere stesso, per dare un’immagine di assolutezza e di intangibilità, cioè di perfezione. L’essere-che-è-e-non-può-non-essere.

La sfera è cognitivamente illuminante perché metafora dell’infinita congerie dei percorsi riflessivi, del pensiero umano e della manifestazione creativa. Si pensi alla smisurata possibilità espressiva di una lingua come l’italiano (suggerisco di leggere qualche pagina del padre Daniello Bartoli, gesuita, gran viaggiatore del XVII sec., o di Gadda o di D’Annunzio), della musica di Bach o di Mozart, della poliedricità di Michelangelo Buonarroti, dell’eclettismo di Giovanni Pico della Mirandola o di Goethe, ma anche della mente di un contadino empirico di una vallecola resiana, che coltiva l’aglio inarrivabile di quella nascosta plaga montana, per restare qui da noi.

E anch’io traggo spunti dalla sfera per allargare il mio sguardo, di questi tempi, cominciando ad abbandonare la visione lineare, progressiva, quasi di conquista che ho sempre avuto, per fermarmi a guardare tutt’intorno, con una pazienza che non ho mai avuto, tutt’intorno e anche dentro di me, ché anche ognuno di noi è come una sfera, nell’infinita poliedricità del proprio essere.

Mi è capitato di vivere momenti come una fuga continua verso qualcosa e da qualcosa, quasi ad evitare la contemplazione di ciò che è lì, come fosse una perdita di tempo. Non sempre, certo, poiché mi hanno attirato e “fermato” i contorni del sacro, del sublime, come la grande montagna ascesa, le possenti nuvole all’orizzonte, il mare, il grande monumento umano, come la cattedrale di Chartres. Ma… poi la fuga è ricominciata, nel quotidiano.

Sto comprendendo che mi sfuggiva qualcosa, nella coazione a ripetere del fare, dell’agire, del divenire “eracliteo” inarrestabile di atti, fatti, mete raggiunte, scopi conseguiti, fini e orizzonti acquisiti. “Acquisiti”, appunto, e poi? In realtà la sfera dell’essere è infinita, e perciò stesso, indefinitamente sfugge ad essere posseduta, spostando sempre più in là i suoi confini. E ora capisco meglio che è più sano così, affinché questa perduranza dell’incerto e dell’impreciso possa mantenere viva una linea e un ambiente spirituale mai domo, ma sempre disponibile all’imperfezione, all’approssimazione, al “quasi”.

Anche la radura fa parte del bosco. Ecco, forse devo fermarmi un poco in questa radura ampia e ariosa, per riprendere il cammino nel bosco, per uno degli innumeri sentieri che si dipartono tra gli alberi frondosi, senza trascurare altre radure, ascoltando i rumori dei rami che si frangono, delle foglie che volteggiano e cadono, degli animali che furtivamente si spostano, evitandomi accuratamente, perché sanno che io sono l’animale più pericoloso.

Tengo le briglie del mio cavallo in mano, e cammino, finalmente, smettendo il galoppo continuo, disposto a riprenderlo, ma senza trascurare di accorgermi di ciò che mi sta attorno, anche quando mi sembra flebile e forse insignificante, perché accorgersi (ad corrigendum) è già un correggersi. Non si manifestò forse Dio al profeta Elia in una brezza leggera, e non nel fuoco, nel tuono o nel terremoto? (Cf. 1 Re 19, 11-13).

Se così è, ogni cosa ha una sua ragione la cui totalità (intesa come tutto e totalmente) ci sfugge e ci sfuggirà sempre, ma è e sarà sempre spinta e motivazione alla ricerca dell’infinita, o non-finita, platea delle origini, o fonti, o cause del suo proprio essere.

E allora ci possiamo connettere alla pagina fondamentale, che è un frammento, del poemetto “Sulla natura” del grande e “terribile” eleate, come lo definì Platone…

« Εἰ δ’ ἄγ’ ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος – Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ – ,
ἡ δ’ ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν – οὐ γὰρ ἀνυστόν – οὔτε φράσαις.
… τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. »
(IT)« … Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità);
l’altra che “non è” e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile: infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo….Infatti lo stesso è pensare ed essere. »
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