Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’eros come struttura di senso dell’esistenza

eros come senso vitaleQualche anno fa, scrivendo un testo accademico (finalmente di prossima pubblicazione), ho ritenuto utile sviluppare una struttura di ricerca partendo dalla grande lezione ermeneutica origeniana, per focalizzare il tema dell’ “Eros come struttura ermeneutica per la comprensione del senso“, dove il termine senso si presenta così come è inteso soprattutto nella modernità e fino ai nostri giorni.

Detta prospettiva teorica si fonda fin dalla tradizione classica, in particolare modo a partire da Platone, da alcuni suoi Dialoghi come Fedro e Simposio, e dal platonismo successivo, sia filosofico, sia “teologico”.

Origene stesso, in questo lungo percorso, è essenziale per la sua lezione esegetico-ermeneutica, nella quale sono presenti importanti “tracce platoniche”. La ricerca fa particolare riferimento a sue opere fondamentali, sia di carattere teoretico come il De Principiis, sia di carattere esegetico, il Commentario e le Omelie sul Cantico dei cantici.

E dunque, l’individuazione di eros come “struttura ermeneutica” mi è parso potesse creare condizioni di possibilità di considerarlo come una traccia costante, che congiunge l’antica tradizione interpretativa dei testi con quella moderna e contemporanea, alla ricerca del senso: il senso inteso come orientamento esistenziale e morale, come direzione per la realizzazione dell’umano. In questa prospettiva, la ricerca del senso della vita e delle cose stesse, può diventare un contributo utile, non solo sotto il profilo teoretico, ma anche sul piano pratico, in tempi di acuta crisi identitaria dell’uomo stesso, come quelli che stiamo vivendo.

Nella sua prima parte, il percorso della ricerca affronta la prospettiva teoretica, traendo spunto dal lavoro esegetico-ermeneutico di Origene [come si diceva, dal fondamentale trattato De Principiis-περὶ α̉ρχω̃ν], e successivamente -mantenendo un costante riferimento alla tradizione platonica- propone lo sviluppo filosofico-ermeneutico moderno, a partire dal lavoro di Schleiermacher e fino a Ricoeur.

Nella seconda parte ho cercato di istruire un “caso di studio sull’eros biblico” al fine di esplorare le condizioni di possibilità di fondare sul tema stesso dell’eros un’ermeneutica del senso. Tale ermeneutica permette di collegare la tradizione antica con quella moderna e contemporanea, valorizzando, sia pure in modo sintetico, il lavoro origeniano sul Cantico dei cantici.

Di lì, in seguito, ho proposto un parallelismo con l’ermeneutica ricoeuriana e di alcuni altri autori come Heidegger, Gadamer, Jaspers, Pareyson, Lèvinas e Edith Stein, non trascurando qualche cenno al pensiero rabbinico contemporaneo.

Ho così inteso mostrare che l’eros platonico continua ad essere una struttura fondamentale dell’ermeneutica moderna. In definitiva, io posso dire “capisco il testo e l’altro (nel senso di alterità umana) perché lo amo”: la mia attività è desiderante e nel contempo è l’amore stesso, quello che Origene chiama eros, senza tema di essere stracapito, che mi dà l’apertura verso ciò che è “altro-da-me-medesimo”.

In questo ambito concettuale desiderio e mancanza, presenza e assenza sono le strutture fondamentali dell’eros come struttura ermeneutica (per la ricerca del senso), dinamica inesauribile (in Origene, e anche in Ricoeur) che, se in Platone si configura come spinta, pulsione, tensione, progetto, in ambito cristiano trova la sua sintesi suprema nello stesso dinamismo intra-trinitario, dove si attua l’erotica più sublime, in Dio stesso. La parola, in questo contesto è inesauribile, in quanto umano-divina, così come lo è la comprensione, possibile oltre ogni circolo ermeneutico che il senso, continuamente ridefinentesi, continuamente supera.

Questa mia ricerca si è posta dunque, come finalità essenziale, l’intento di collegare -a partire dalla tradizione platonica e la struttura di eros, in quanto forza desiderante e creativa- l’ermeneutica antica [focalizzata sul grande esempio di Origene] che faceva conto di varie interpretazioni [letterale, morale, allegorica, spirituale] a un’ermeneutica del senso, più tipica della modernità e della contemporaneità.

La prima parte della ricerca [Presupposti platonici nell’ermeneutica origeniana e in quella moderna e contemporanea] è costituita innanzitutto da un incipit concernente l’impianto teoretico origeniano [dove utilizzo essenzialmente il De Principiis], e successivamente da un excursus sull’ermeneutica moderna e contemporanea. In questa sezione si fa riferimento ad autori che vanno da Schleiermacher fino alla contemporaneità, transitando per il pensiero di Heidegger, Ebeling, Fuchs, Jaspers, Gadamer, Pareyson e infine, con particolare attenzione, a Ricoeur. La lettura della tradizione platonica negli autori scelti mi ha aiutato come punto riferimento per l’individuazione di una traccia coerente, che va dalla tradizione ermeneutica classica a un’ermeneutica del senso, più affine al pensiero teologico e filosofico dei nostri tempi.

Partendo dal tema del linguaggio e della comunicazione simbolica, considero innanzitutto la trasformazione culturale degli ultimi decenni, nonché il rapporto tra la scrittura e l’oralità come sinestesia sensoriale e percettiva. Nella contemporaneità occorre quasi farsi ermeneuta tra i linguaggi, avendo attenzione per le tradizioni antiche, greche (Aristotele, Platone) e bibliche (Origene, Ireneo, Agostino, Padri…). In particolare, come ho detto, qui scelgo la traccia platonica dell’eros come focus della ricerca e come dimensione dell’umano-divino. Inizio di qui lo studio del rapporto tra antichi, moderni e contemporanei, che mi interessa. Una sorta di prima fusione degli orizzonti generalissima.

Innanzitutto Origene: questo autore è uno speculativo sistematico, platonico, ma non “spiritualista” come l’ateniese. Eros non è “mito” attivo, ma spirito e fuoco, per cui l’anima umana è elevata, più che spinta (come in Platone) dal desiderio di Dio. L’anima conosce progressivamente e con il tempo diventa simile a Cristo-Logos, alle sue epìnoiai, cioè manifestazioni. Origene si legge giustapponendo i testi, come si fa con la Bibbia e con i classici: Homeron ex Homerou saphenizein. Per Origene il testo letterario è caratterizzato da limiti, come il defectus litterae, cioè il letteralismo, e perciò il “modello di ricerca zetetico” è quello della ricerca per accumulo di interpretazioni, che si avvale, sia dell’etimologia, sia dell’aritmologia, nonché di tutta l’ars interpretandi del tempo, metafora, allegoria e tipologia comprese.

Il percorso si avvicina alla modernità, partendo da Schleiermacher e fino a Ricoeur, quando l’interpretazione si dipana come su un ponte a due arcate, che sono, per il significato la Scrittura e la Parola, per il senso, la Parola e l’Evento, conservando sempre la lezione platonica della Dialettica, unica via per la conoscenza della Verità. Per Schleiermacher il “circolo ermeneutico” e l’Einfühlung permettono l’interpretazione e la comprensione, al punto che il lettore può conoscere il senso del testo più e meglio del suo stesso autore.

Jaspers si muove dal testo alla stessa esistenza umana, proponendo l’idea della plurivocità della manifestazione dell’essere (Umgreifende): l’essere stesso è nell’esistere.

Heidegger mi interessa per la sua ermeneutica ontologica, per la quale la verità è come uno svelamento (alètheia), e si manifesta nel linguaggio dell’uomo; tra le manifestazioni dell’intelletto la primazia spetta alla poesia (Dichtung), che rende “cosa” la cosa in un modo misterioso e denso di significati, insuperabilmente rispetto ad altri generi letterari.

Gadamer ritiene che l’intera filosofia occidentale sia un percorso unitario, del quale Platone è il massimo mentore. Come in Heidegger il linguaggio manifesta l’essere, ma in modo più articolato, perché per Gadamer il linguaggio esprime un testo che sta nel tempo e nel tempo vive di una vita autonoma rispetto all’autore: bisogna perciò studiare la “storia degli effetti del testo” operando una sorta di “fusione degli orizzonti” tra l’autore e il suo tempo, e il lettore-studioso e il tempo di questi. Ciò manifesta come sia indispensabile l’aspetto dialogico-intersoggettivo, il solo in grado di costruire il senso del testo (concetto mutuato in parte da Buber). Il testo viene interpretato nel tempo quasi per “prove ed errori”, con un continuo arricchimento (punto di contatto con Origene) del senso.

Pareyson ci permette di ampliare lo scenario del valore continuo dell’interpretazione, come attività inesauribile, punto di snodo tra un certo ottimismo idealistico di Hegel e un certo pessimismo heideggeriano. L’interpretazione inesauribile lavora tra palesamento e latenza, mai rinunziando ad agire, poiché vanno evitati due rischi: quello di una profondità senza evidenza e quello reciproco di una evidenza senza profondità. L’essere stesso sta, dunque, nell’interpretazione.

Ricoeur è un pensatore che si inserisce al crocevia di più scuole e percorsi filosofici del XX secolo: quello riflessivo (Nabert), quello fenomenologico (Husserl e Jaspers) e quello psicanalitico (Freud); per Ricoeur l’uomo si configura come “fallibilis”, in ricerca perenne del senso delle cose e della vita. L’uomo vive tra riflessione e interpretazione, tra conflitto e ricerca. È -insieme- viator ed hermeneuticus. In questo contesto, per lui, sono stati molto utili pensatori come Marx, Nietzsche e Freud, che hanno smascherato molte illusioni conoscitive dell’uomo contemporaneo (i maestri del sospetto). Per Ricoeur si dà soprattutto nella metafora la relazione costitutiva della verità, come dimensione indefinibile e in un certo senso (non fisico) infinita: la metafora permette l’agire dell’arco ermeneutico tra lo spiegare e il comprendere, due atti di uno stesso processo (cf. in Dilthey); in questo modo Ricoeur propone una “via lunga” che non contrappone la gadameriana “verità” al “metodo”, ma li lega mediante un continuum costituito da: a) autore, b) distanziazione (dall’opera), c) testo costituito, d) lettore, e) interpretazione, quest’ultima sempre rivedibile e foriera di arricchimento.

Per Ricoeur l’atto del comprendere è un comprender-si davanti al testo, accettando di mettere in discussione la propria stessa archeologia spirituale (psicanalisi): in questo agire del testo avviene un’attività poiètica, costruttiva e ricostruttiva del senso del testo, fino a restituire una sorta di verità metaforica, quasi come ossimoro conoscitivo. La metafora, dunque, agisce sia sul senso sia sul significato, rifigurando il racconto e la vita stessa. La rifigurazione avviene mediante il confronto e la comprensione del soggetto davanti al testo, e mediante il confronto con l’Alterità, con l’Altro (cf. in Buber e Lévinas), cui si riconosce una specie di co-appartenenza dialogica, arricchita anche dalla terzeità dei testimoni, del mondo, in un tria-logo atto a completare la relazione io-tu-come-io.

Ricoeur infine propone un’ermeneutica filosofica che agisce dentro l’ermeneutica biblica, evitando il rischio della mera esegesi del testo.

La seconda parte della ricerca, [L’ermeneutica teologica dell’eros come via alla comprensione del senso], si configura come “caso di studio” sull’eros, ripartendo da Origene, con un capitolo sintetico sugli assunti del Prologo al grande Commentario sul Cantico dei cantici, e successivamente con una breve sintesi del Commentario.

Il miracolo del Cantico nell’interpretazione origeniana è che propone il tema di eros come agape (dilectio e caritas) e viceversa, superando d’un tratto l’incommensurabile (a una lettura non profonda e poco ispirata) distanza tra la visione e la grammatica linguistica (etimologia, semantica) greco-platonica e quella semitico-biblico-evangelica, senza deflettere di un et da una posizione che possiamo definire perfettamente “ortodossa” da un punto di vista cristiano. In Origene eros e agape diventano sinonimi, in ricchissime modulazioni, perché ambedue declinati sotto l’egida dell’amore divino per la sua creatura, l’uomo che, a sua volta, ama a immagine del Creatore. Origene propone l’amore come dimensione divina che si manifesta fin dall’Inizio del mondo, fin dalla Creazione. In questo modo l’Alessandrino pone le basi per una vera “erotica cristiana”, come prima di lui nessuno seppe fare, pur inserendosi egli in una già ricca tradizione di scrittori cristiani e di Padri (apostolici e apologisti), di vescovi e presbiteri di grande levatura (da Rufino a Giustino, da Ireneo a Clemente fino ai Cappadoci, etc.). Il Commentario e le Omelie geronimiane pongono con nettezza i grandi temi dell’amore, fisico e spirituale (dal bacio all’atto erotico umano per eccellenza…). Senza tema di apparire, potremmo dire noi, eretico, Origene si immerge con passione, senso poetico e acutezza estrema nella dialettica interumana dell’amore, della coppia uomo-donna (il genesiaco maschio-femmina), cantandone la bellezza creativa e l’unione reale, fisica, e comunque portatrice di una simbolica spirituale altissima: quella della relazione tra l’anima e il Logos (che è Cristo), e tra la Chiesa di Cristo con Cristo stesso. La lettura spirituale del Cantico a questo punto raggiunge il suo punto più alto, e nel medesimo tempo, più umanamente comprensibile: l’uomo (uomo e donna) si eleva nell’amore e in questo amore umanissimo incontra le dottrine celesti e Dio stesso mediante l’ascolto del Verbo fattosi uomo.

Un punto di passaggio tra l’antica ermeneutica origeniana e quella contemporanea è costituito da Schleiermacher, traduttore di Platone e creatore di formule interpretative molto utilizzate nei tempi successivi (da Dilthey, da Gadamer e da Ricoeur in particolare): temi come il “circolo ermeneutico” e l’idea di Einfühlung (intuizione, divinazione) sono di grande importanza per la mia riflessione. Nell’autore tedesco (cf. in Discorsi sulla Religione) il tema mistico si pone come centrale nella ricerca del senso come punto di contatto con il tema dell’Incondizionato divino, che illumina le tracce della vita umana.

Su questo terreno ermeneutico, potremmo dire, Ricoeur incontra Origene, e con lui dialoga intensamente, perfino “fecondandone” alcune prospettive. Ricoeur condivide che il tema erotico, inteso nel senso più umanamente ampio, sia il percorso che riesce a condurre l’uomo sulla strada di una crescita che edifica e trova senso. Ricoeur riconosce in Origene un progresso straordinario nella comprensione e nella sinonimia di eros-agape, rispetto alla tradizione cristiana precedente (Filone, etc.), apprezzando la costituzione di un’erotica cristiana, che nulla concede al moralismo, e tutta si affida alla ricerca di una via di elevazione dell’anima credente verso Dio, mediante un misticismo profondo e fiducioso.

L’erotismo del Cantico appartiene a una verità misteriosa, come la fiamma di Jah (cioè di Dio stesso), che trova nell’elemento femminile la sua radice più profonda, perché declinazione antropologica più capace (di quella maschile) a farsi eros-totale, capace di amare senza bardature e limiti pratici o “politici”. La donna (il femminile) esprime il completamento che la rende “colei che avvolge” nella coppia umana, colei che lega e collega lo “sposo”, mediante l’atto amoroso fecondo, al Creatore stesso.

Su questo tema, sono illuminanti alcuni testi di Edith Stein e di Emmanuel Lèvinas, perché permettono di completare il quadro di una riflessione contemporanea sulla relazione e sulla relazione d’amore, tra maschio e femmina, che sono un io e un tu irriducibili, ma perciò stesso l’un l’altro indispensabili.

 

Gli “acquisti” della ricerca

Vediamo se e come si possono configurare dei veri “acquisti” di questa ricerca: innanzitutto si può dire che affrontare di questi tempi un argomento come l’eros, pone problemi non banali, stante il significato e l’accezione che tale tema ha assunto nella contemporaneità.

Lungi dall’essere considerato struttura esistenziale e agente vitale, così come è declinato nel platonismo storico e universale, eros è stato di questi tempi ampiamente banalizzato e  impoverito. Eros è stato ed è stolidamente abusato, degradato, ridotto a mercanzia o, come si dice oggi, elemento efficace e quasi indispensabile del merchandising cinematografico e letterario (si fa per dire). Eros oggi -in generale- non muove vitalità, ma subisce ordinarietà e noia.

Grazie a Dio non ovunque, ché vi sono esempi di amore espresso, solidale, concreto, visibile, in molti ambienti e situazioni, ma questi non fanno “titoli giornalistici”, non aumentano l’audience, non sono “mercanzia vendibile”. Ciononostante vi sono spazi immensi per eros, un eros che riesca a tenere conto della complessità e delle infinite connessioni della vita contemporanea.

Le difficoltà poste dalla crisi attuale, infliggono pesanti colpi alla relazione interumana, e quindi ad eros stesso, là dove i meccanismi della comunicazione hanno finito per sostituire quasi ovunque la “qualità della relazione”, e quindi un eros che sia luogo della condivisione tra un “io” e un altro “io”, ciascuno dei quali è “altro” (Lévinas).

La qualità della relazione si trova in una posizione sempre più negletta e continuamente attaccata dalla pervasività della mediatizzazione ogni giorno più tecnologica e spinta sul versante dell’automazione e della spersonalizzazione. Se qui ho posto il tema della relazione, è perché ho individuato in eros l’elemento e quasi la condizione antropologica che più di qualsiasi altra può essere interpellata per riprendere le fila di un dialogo intersoggettivo e, in definitiva, inter-umano.

Queste riflessioni costituiscono dunque l’ambito al quale assegnare l’impegno massimo della ricerca e dell’attenzione di chi desidera recuperare un senso umanamente compiuto alla stessa convivenza terrena degli esseri umani nell’ambiente che gli è stato dato dalla storia e da Dio stesso.

Come si può mostrare che eros è in grado di evolvere risolutamente e profondamente la vita umana? Si può dire che eros-amore, nello scenario che qui cerco di disegnare, non è solo eros nel senso di desiderio e passione fisica, dimensioni fondamentali e buone, ma è ancora di più “persistenza solidale”, come ciò che è “solido”, perché “solo” (ο̕λος), è ciò che “resiste”, “persiste”, “re-sta”, “include” senza possedere, appartenendo al vasto campo semantico del verbo greco ι̉̍στημι. Un “eros redento” contro la miseria del nostro tempo, che è “erotizzato”, ma senza cuore.

Per un tanto occorre recuperare la consapevolezza che solo eros, in quanto manifestazione della relazione, può creare le condizioni di una intensificazione del dato umano nella relazione e perfino della stessa dimensione cognitiva e razionale. La dimensione cognitiva e razionale, dopo la sbornia positivista e deterministica dello “scientismo”, abbisogna della “dimensione erotica”, e dunque affettiva, desiderante, mistica, come di un ossigeno spirituale, capace di dare senso alla relazione, e a quella tra uomo e donna in particolare, come “unità nella distinzione nella relazione”. In questo ambito vi è, dunque, anche un’erotica cristiana, del tutto umana, che ho cercato di esplorare.

Un’Ermeneutica teologica dell’eros, può essere forse il luogo dove si può declinare la complessità e la difficoltà della vita reale odierna, in quanto insieme di nessi inscindibili, inestricabili e reciprocamente necessari, costitutivi dell’umano, per la ricerca del senso, in quanto relazione divinatoria del tutto e delle parti, nel misticismo della parola taciuta e immensa iperbole delle metafore, che sono il respiro dello spirito e la rappresentazione “segnica” della stessa Presenza di Dio.

In un’Ermeneutica teologica dell’eros , che è mistica e inclusiva, troviamo infine anche la via (condivisibile dall’uomo), la verità (come effetto mistico dello stare-insieme) e la vita (come epifania della relazione), così come ci sono stati insegnati da Gesù stesso.

Perché nel nostro tempo, che è tempo di Dio, tutto si conserva, tutto si illumina nel segno e nel senso dell’infinito.

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