Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La piscina di Siloem, gli occhi guariti del cieco nato, e il caso della bimba inglese italiana Indi Gregory

Sotto le mura di Gerusalemme, come si legge nel Vangelo secondo Giovanni, al cap. 9 – La Piscina di Siloam, è il luogo in cui si ritiene che Gesù abbia compiuto il miracolo, che Giovanni usa chiamare “segno” (semèion, in greco) di dare la vista a un uomo cieco dalla nascita.

Si legge sul web che l’antica piscina sarà scavata e aperta al pubblico per la prima volta dopo 2000 anni. L’annuncio è stato dato dall’Autorità israeliana per le antichità, dall’Autorità israeliana per i parchi nazionali e dalla Fondazione Città di Davide pochi giorni prima del nuovo anno, secondo quanto riportato da Fox News. Il sito di Gerusalemme è molto amato dai cristiani e dagli ebrei. “Lo scavo della Piscina di Siloem è molto importante per i cristiani di tutto il mondo“, ha dichiarato il pastore americano John Hagee.

In Giovanni 9, si trovano le seguenti parole di Gesù: “Va’, lavati nella piscina di Siloem. Allora l’uomo, (cui il Rabbi aveva impastato gli occhi con un po’ di terra e saliva), andò, si lavò e tornò a vedere“. Anche se ci sono poche affermazioni sulle proprietà “magiche” (uno potrebbe pensare) dell’acqua, il sito ha un’enorme importanza storica e culturale. “La Piscina di Siloem e la Strada del Pellegrinaggio, entrambe situate all’interno della Città di Davide (il nucleo originario di Gerusalemme, posto sul monte Sion), sono tra le affermazioni archeologiche più stimolanti della Bibbia. I cristiani sono profondamente benedetti dall’opera della Città di Davide e dal duraturo impegno di Israele nel garantire la libertà religiosa a tutti coloro che visitano e vivono in Terra Santa, in particolare a Gerusalemme – la capitale indivisa di Israele“, ha dichiarato il pastore.

Andare oggi alla piscina di Siloem significherebbe molto per gli uomini e le donne del nostro tempo. Se Dio vorrà ci andrò anch’io, perché è da tempo che desidero visitare quella Terra.

Indi Gregory, la neonata inglese, di 8 mesi gravemente malata per una patologia mitocondriale – allo stato – inguaribile, a cui l’Alta Corte di Londra nei giorni scorsi aveva negato la possibilità del trasferimento in Italia per continuare a mantenerla in vita tramite il supporto delle macchine, ha ottenuto la cittadinanza italiana. In questo modo potrebbe avere una chance in più di essere trasferita all’ospedale romano Bambino Gesù, come chiede da tempo la famiglia.

È iniziata una corsa contro il tempo per tenere in vita la neonata, ricoverata al Queen Medical Center di Nottingham.

Questa svolta arriva al termine di una trattativa portata avanti dal Governo italiano da diverse settimane, in totale riservatezza. L’ospedale pediatrico Bambino Gesù da tempo ha offerto la possibilità di assisterla, come aveva fatto in passato per altri due bimbi inglesi, ma la giustizia britannica ha negato la possibilità di trasferimento.

«Dicono che non ci siano molte speranze per la piccola Indi, ma fino alla fine farò quello che posso per difendere la sua vita. E per difendere il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei“; lo ha scritto la premier Giorgia Meloni sui social, pubblicando una foto della neonata.

Come italiana e come ministra della Famiglia di questo governo ne sono fiera“, interviene la ministra alla Famiglia, alla Natalità e alle Pari Opportunità Eugenia Roccella con un post su Facebook.

La speranza era che il riconoscimento, arrivato solo 50 minuti prima dello scoccare dell’ora fissata per lo spegnimento del ventilatore, potesse favorire il suo trasferimento dal Queen’s Medical Center di Nottingham all’ospedale Bambino Gesù di Roma. Così non è stato. I legali della famiglia hanno presentato un ultimo ricorso.

Quello di Indi non è il primo caso del genere nel Regno Unito. E non sarà neppure l’ultimo, viste le normative, la cultura giuridica e la tradizione di quella nazione. Charlie Gard, Alfie Evans, Archie Battersbee e Isaiah Haastrup sono solo alcuni dei minori condannati da un tribunale, nel loro «migliore interesse» alla sospensione dei trattamenti vitali.

Esempi che secondo le associazioni pro-life britanniche, come Christian Concern, probabilmente rappresentano solo una piccola parte dei casi che, lontano dai riflettori, si verificano ogni anno in tutta la nazione. Ognuno a suo modo diverso ma tutti in odore di eutanasia.

A detta dei medici di Nottingham per Indi, battezzata a settembre nel suo lettino d’ospedale con le tre sorelline al suo capezzale, non c’è alcuna possibilità di recupero. Semplicemente, dicono, «sta morendo». Mamma Claire e papà Dean ritengono invece che la diagnosi sia «erroneamente pessimistica». Nei video mostrati durante il processo la bambina è ripresa mentre piange, ride, sgambetta. La famiglia, originaria di Ilkeston, nel Derbyshire, rivendica, per lo meno, l’autorizzazione al trasferimento della piccola in Italia.

Libertà di cura e diritto alla sicurezza. Il ricovero al Bambino Gesù sarebbe l’unica chance per strapparla al distacco del respiratore, sia chiaro, non a una probabile morte. A mio avviso, da tentare nonostante i rischi tecnici legati allo spostamento di un paziente molto fragile. Un precedente di questo genere in effetti c’è. Eccolo.

Tafida Raqeeb, 5 anni, musulmana, ottenne nel 2019 la sospensione dell’ordine di spegnimento dei macchinari a cui era attaccata al Royal London Hospital e l’autorizzazione al trasferimento all’Istituto Gaslini di Genova. Neppure un anno dopo la piccola fu dimessa e inserita in un programma di riabilitazione. Nel caso di Indi i giudici hanno invece ritenuto che il trasferimento in Italia sia «tristemente» inutile e non percorribile.

La mossa del governo Meloni, passata quasi in sordina sui media inglesi, solleva nuovi quesiti legali (oltre che diplomatici) sulla decisione della Corte. Anche nel 2017, lo ricordiamo, Washington concesse ai Gard la cittadinanza statunitense per incoraggiare le autorità britanniche a lasciar andare Oltreoceano il piccolo Charlie e sottoporlo a cure sperimentali. Fu inutile. La speranza, nonostante tutto, è l’ultima a morire, si usa dire, ma per me la frase è errata, perché la Speranza (Beata) non-può morire.

«Ringrazio il governo e il popolo italiano dal profondo del mio cuore» ha commentato il papà di Indi, «l’Italia ha ridato a me e a mia moglie Claire fiducia nell’umanità. Ci ha mostrato cura e sostegno amorevole e vorrei che le autorità britanniche facessero lo stesso». Secondo Andrea Williams, presidente del Christian Legal Center che assiste i Gregory, «è molto preoccupante che un bambino possa essere trattenuto contro la volontà dei genitori quando hanno a disposizione cure alternative. Abbiamo bisogno di riforme».

Sento utilizzare in giro e nei media quasi indifferentemente gli aggettivi “inguaribile” e “incurabile”. Non mi pare siano sinonimi. E’ chiaro che i significati sono differenti. In Gran Bretagna, dove vige la tradizione del common law, modalità giuridica laica e semplificata, forse sono considerati quasi sinonimi, in Italia, dove forse la pietas solidale ha più spazio, no.

Non sto sotto-intendendo che se una vita, quella di Indi, se non avrà speranza di un qualche significativo miglioramento, debba essere pervicacemente mantenuta, a qualsivoglia costo, ma sto dicendo che preferisco la pietas italiana alla razionalità anglosassone.

Si dovrebbero innanzitutto considerare i limiti della scienza, cui non si può chiedere ciò che (magari ancora) non può dare. Autobiografia: anche il terribile mieloma 3 che mi colpì nel 2017, probabilmente vent’anni prima mi avrebbe fatto morire, e invece sono qui a scrivere e a dialogare con te, mio gentile lettore, mentre nel referto medico di controllo della “bestia”, oramai da anni gli ematologi mi scrivono “in risposta totale”, che significa: il tumore non c’è.

La scienza ha (e avrà sempre) dei limiti, la virtù teologale e umana di SPERANZA, no!

Ora, che collegamento si può dare tra la vicenda gesuana narrata da Giovanni sulla piscina di Siloem e quella della bimba Indi?

…che, se avessimo Gesù tra noi, potremmo anche sperare che la bimba Indi abbia un destino analogo a quello dell’uomo cieco dalla nascita della Piscina di Siloem.

Dovremmo, però, avere Fede e Speranza.

Termino questo pezzo e lo pubblico prima che il destino della bimba sia deciso (questione di un paio di giorni), perché non voglio farmi condizionare dal fatto.

Preferisco restare nella riflessione etico-morale, che non ha certezze assolute, ma si affida comunque alla convinzione che la vita umana, comunque si declini, dallo splendore di un primatista mondiale di atletica leggera, alla debolezza di un bimbo tribale che non ha il necessario per sopravvivere, ha il medesimo, incommensurabile, valore.

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