Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Un rispettoso saluto a una donna coraggiosa, ma “maestra poco buona”, a mio avviso

Dopo gli anni del terrorismo nero e rosso si è fatto un grande parlare di cattivi maestri. Qualche settimana fa è mancato “uno di questi”, secondo una definizione discutibile, come attestano le virgolette che ho posto nel titolo, intendendo in questo caso attribuirla a Michela Murgia, Mi sto riferendo al professor Antonio Negri, al quale un’inchiesta giudiziaria un po’ paranoica consegnava – nella seconda metà degli anni ’70 – addirittura il ruolo di capo delle Brigate Rosse, cosa che si verificò non essere vera.

Qui desidero scrivere qualcosa su una donna che ha fatto il mestiere di scrittrice e di animatrice cultural-politica, appunto, Michela Murgia.

Dico subito che non ho letto alcunché delle sue opere narrative, e questo fatto indubbiamente limita il valore delle mie considerazioni.

Mi viene in mente però un fatto un pochino strano. So che tra le opere della Murgia c’è anche un romanzo dedicato a una figura ancestrale della Sardegna, la “accabbadora”, una donna anziana che si occupa di abbreviare le sofferenze dei malati terminali, nel grande arcaico mondo rurale dell’isola. La modalità operativa di questa figura è veloce e truce, e qui non la riporto. Ebbene, qualche anno fa mi imbattei, su suggerimento di una vecchia amica portogruarese, in un volume dal contenuto e mi pare anche dal titolo quasi uguale a quello del libro della Murgia: “L’accabbadora”, edito da una casa editrice veneta, mi pare, non ricordo quale fosse, di cui l’autrice è Paola Sirigu, un’intellettuale sarda che vive e lavora tra il Veneto e la Sardegna.

Lo lessi e fui colpito da una prosa realistica, potente e piena di humana pietas. Ecco, lo stesso argomento, più o meno, del romanzo di Murgia. Bisognerebbe confrontare i testi, perché non so se il libro della Sirigu sia stato pubblicato prima o dopo di quello della Murgia. Nulla voglio dire se non ciò che ho scritto.

In questo pezzo mi limiterò a valutare un po’ la sua “militanza” culturale rispetto alle dimensioni etiche e socio-politiche.

Posso dire subito che condivido pressoché nulla delle sue posizioni culturali. Se dovessi sintetizzare il mio giudizio, direi che Murgia era una campionessa del “politicamente corretto”, ma non farei un buon servizio, prima di tutto a me stesso, se mi limitassi a una definizione semplificata di tipo mediatico. E non lo farei nemmeno alla signora Murgia.

Per esprimere un giudizio soggettivo su una persona si deve necessariamente iniziare dalla biografia autorizzata dalla persona stessa, pubblicata su wikipedia.

Michela Murgia ha una preparazione da ragioniera, ambito nel quale ha operato in più ambienti lavorativi. Ha anche insegnato religione, presumo, dopo aver frequentato l’Istituto di Scienze Religiose sardo (a Cagliari? a Sassari? a Nuoro o ad Oristano?). Mi chiedo che tipo di etica abbia studiato, non certamente quella che ho studiato io. La biografia riporta in modo dettagliato le sue varie esperienze lavorative, ma non indica studi specifici oltre alla ragioneria, che attestano certamente una grande disponibilità a darsi da fare in lavori i più differenti: venditrice di multiproprietà, operatrice fiscale, dirigente amministrativa e portiera notturna, oltre all’insegnante di religione.

Ha iniziato a scrivere, partendo dal tema del ripetitivo e stressante lavoro del telemarketing, specialmente se organizzato senza rispetto alcuno per le lavoratrici (scrivo al femminile perché le donne sono in maggioranza in quel tipo di lavoro), nel volume Il mondo deve sapere, descrivendo come si lavorava in una importante multinazionale, la Kirby Company.

Per onestà intellettuale, voglio dire che vi sono aziende che si comportano in modo corretto e rispettoso dei diritti di queste lavoratrici, al contrario della multinazionale sopra citata, ma ciò non toglie che si tratti di un lavoro che ricorda i ritmi ripetitivi poeticamente e ancora di più drammaticamente riportati da Charlie Chaplin in Tempi Moderni.

Murgia era di formazione cattolica, anzi, addirittura animatrice di Azione Cattolica, ed ebbe ruoli in importanti manifestazioni anche alla presenza di papi. Molto interessata ai temi della “sarditudine”, come testimoniato dal romanzo sopra citato, su cui ho commentato, e da Viaggio in Sardegna, pubblicato da Einaudi. Tralascio di citare numerose altre sue attività culturali e pubblicazioni, perché non intendo scrivere una sua breve biografia. Molto molto premiata e variamente onorata. Analogamente al suo grande amico e sodale Saviano, gran professionista parmi profumatamente remunerato. Bravo lui.

A volte non riesco a capire perché qualcuno/ a goda di tanto onore da parte dei media, mentre altri, altrettanto o più meritevoli, per nulla. Mi vien da pensare che vi siano potestà un po’ strane che decidono.

Faccio un esempio: è mancata lo stesso giorno della morte di Murgia un’importante cantante lirica friulana, attiva e conosciuta in tutti i maggiori teatri del mondo, Francesca Scaini, stessa giovanil età, neanche un rigo sulla stampa nazionale, se non mi sono perso qualcosa.

Il coraggioso modo di affrontare la malattia da parte di Murgia è stato esemplare. L’ho capita molto bene, perché anch’io che sto qui scrivendo, sei anni fa sono stato colpito da un tumore ematologico che mi ha fatto molto male, ma lo ho curato con i più efficaci sistemi terapeutici compreso l’utilizzo delle mie cellule staminali risanate, e sono ancora qua a scrivere, a lavorare, ad amare, a vivere.

Grazie a Dio e a chi mi ha accettato sempre per come sono, anche da malato, ed ha continuato ad amarmi (a partire dall’amor benevolentiae), anzi di più.

Soprattutto per come è mancata Murgia merita il massimo rispetto, anche se, ripeto, la sua militanza ossessiva per i “diritti” comunque declinati, anche quando non si trattava di “diritti” ma di desideri, come la maternità, o di doni, mi è sembrata sempre un pochino eccessiva, e pertanto per me non condivisibile.

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