Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Tra sincopi e smorfie, e di ciò che di non verbale caratterizza la comunicazione

Non so se hanno problemi respiratori, di questi strani tempi covidizzati, ma un paio di giornalisti televisivi o, per meglio dire, di speaker, da qualche tempo sono inascoltabili. Vorrei citare le iniziali dei nomi, ma non lo farò, anche se vedo che nulla accade per fargli correggere il loro fastidioso difetto di emissione del respiro mentre parlano. Fai attenzione e ascoltali, mio gentile lettore: il loro parlato è scandito da inconcepibili e a lungo andare insopportabili pause a volte addirittura tra una parola e l’altra, così: “Il presidente (pausa) Conte (pausa) ha firmato (pausa) il nuovo (pausa) DPCM…”, invece di pronunciare correntemente e scorrevolmente (direi in modo “liquido”) il testo medesimo, in questo modo: “Il presidente Conte ha firmato il nuovo DPCM, (pausa respiro)…”.

Nel merito ho deciso di chiedere un parere clinico a uno pneumologo e a un otorinolaringoiatra, che forse mi possono spiegare qualche ipotesi di carattere pneumo-meccanico che condiziona il loro modo di parlare in tv.

Speaker Rai di qualche decennio fa

Nulla a che vedere con i ritmi della respirazione durante la lettura di un brano che impariamo fin dalla prima elementare, dopo la virgola o altri segni di interpunzione, che servono per separare le parti della frase, oppure concetti e strutture paratattiche.

L’effetto è insopportabile, è un generatore di ansia crescente nell’ascoltatore. Di solito inizio a brontolare rompendo le scatole a chi ascolta con me.

Che cosa sta capitando a questi due lavoratori dell’informazione? Qualche problema respiratorio da analizzare e affrontare per risolverlo? Ansia da prestazione dentro tempi di lettura risicati? Ma, così facendo, non parlando in maniera continua e “liquida”, i tempi di lettura si allungano, invece di accorciarsi. Paradossalmente, i due fanno più fatica, dando fastidio agli ascoltatori e rendendo meno efficace la loro prestazione.

Se non ci fossero ragioni fisiche, ma non si devono trascurare anche cause psicologiche (?!), bisognerebbe consigliare loro un bel corso di dizione anche in un’accademia popolare, che non manca in alcuna città italiana, Figuriamoci a Roma.

Altro tema, epperò connesso al precedente.

James Hillman è un allievo di Jung. Il suo “La forza del carattere”, edito da Adelphi, dovrebbe essere una lettura diffusa.

Trascrivo dalla pag. 199: “La faccia è un fenomeno estetico non in virtù della cosmesi e della chirurgia estetica, ma per la sua stessa natura biologica. Dei quarantacinque muscoli facciali, a parte quelli funzionalmente necessari per masticare, baciare, annusare, soffiare, strizzare gli occhi, battere le palpebre e contrarre la pelle per scacciare via le mosche, tutti gli altri servono esclusivamente per esprimere emozioni. Non servono per nutrirsi, per abbattere il nemico, allevare la prole o compiere l’atto sessuale.

I ventriloqui dimostrano che non sono (assolutamente, ndr) necessari per parlare. E non lo sono nemmeno per respirare, ascoltare o dormire, L’esuberanza della muscolatura facciale serve per l’espressione delle emozioni, e non solo le più importanti, ma anche e specialmente certe peculiari sottigliezze dell’uomo civilizzato, come l’arroganza del sopracciglio marcato, il sarcasmo a bocca storta, il finto candore degli occhi sgranati, l’impassibile indifferenza, i sorrisini e i sogghigni.

Pensa un po’, caro lettore, quanto valgono, oltre a ciò che viene pronunziato verbalmente, il non-verbale, la pronuncia, i tempi della lettura e anche solo le espressioni facciali, trascurando la seduta e le varie differenti posture corporee.

Noi esseri umani, ma anche i gatti e i cani, SIAMO (le due specie animali sono) la COMUNICAZIONE, ed essendo-noi–la-comunicazione dobbiamo fare molta attenzione alla QUALITA’ della nostra comunicazione stessa, dobbiamo avere cura di COME parliamo, delle COSE che diciamo, delle FONTI che supportano i nostri asserti. Altrimenti piombiamo nel genericismo diffuso, nell’incuria dialettica e nella banalizzazione concettuale.

Se infine consideriamo che la comunicazione, intesa come processo generale dei rapporti inter-umani, è il fondamento e lo strumento principale per la RELAZIONE, allora ci rendiamo conto di quanto importante sia la sua buona qualità, di come possa condizionare in bene o in male “come-stiamo-con-gli-altri”. Si pensi che un telegramma “sbagliato” fra il barone Ottone di Bismarck, capo del Governo del Kaiser Federico Guglielmo Hohenzollern e l’imperatore dei Francesi Napoleone III scatenò la guerra franco-prussiana che terminò con la catastrofe di Sedan e fu uno dei prodromi della Prima Guerra mondiale.

Nientemeno. Bene, nel piccolo (grande) della vita di ognuno valgono le medesime regole di ingaggio, caro lettor mio!

E pensare che in questo mio pezzo mi sono limitato a criticare toni e tempi di lettura, non facendo alcun cenno ai testi che a volte sono inutilmente drammatizzanti, incoerenti e falsificati: nello stesso tg a volte si sentono dati diversi dello stesso fenomeno, ahimè, e questo è poco. Di più, è sapere che i dati, per come sono offerti (qui mi sto riferendo alla brutta epopea del Covid) sono spesso fuorvianti e falsi, disonesti e tabellati in modo statisticamente scorretto.

E qui viene il pensiero, non del complottista, ma dell’analista logico che non si accontenta di quello che passa il convento mediatico, ma si interroga sempre sulle fonti e sugli intendimenti veri degli ispiratori di chi comunica.

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