Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Una volta c’era il “Padre” (sym-bolon del potere absolutum) e ora c’è l'”Iphone-(S)oggetto”, che sostituisce il “Padre”, come cantava Giorgio Gaber preconizzando Piepaolo Pasolini che parlava della tv, e che oggi ci ripropone, tra altri, Massimo Recalcati, chiosando a sua volta Gaber

Anni fa proponevo l’idea che il ’68 avesse distrutto le “Quattro Grandi P“, il Padre, il Prete, il Padrone e il Professore: i symbola del potere-senza-discussione derivante dalla storia, ineludibile, inaccessibile, indistruttibile, incoercibile, perfino ineffabile, ma senza sostituire a quel potere un qualcosa che potesse ridare un ordine razionale (nota bene: sintagma sociologicamente descrittivo e non eticamente valutativo) e in qualche modo “eticamente” (avverbio da intendersi nel senso etimologico primigenio di “usi&costumi”, non di valutazione del “merito morale” circa la distinzione tra bene e male) equilibrato e consono alla convivenza tra gli esseri umani, in ogni ambito della vita di ciascuno, e delle vite di tutti.

Il ’68 aveva certamente consegnato una sorta di “diritto di replica” al figlio, al fedele, al dipendente (Statuto dei diritti dei lavoratori, Legge 300 del 1970, tra altri diritti acquisti come quello del licenziamento per giusta causa previsto dalla Legge 604 del 1966), e allo studente, ma ha anche contribuito a smantellare l’antropologia operativa delle differenze di ruolo, quella di personalità, del sapere e dell’esperienza. Mi spiego: va bene che ogni essere umano, in qualsiasi posizione sia collocato nella gerarchia “naturale” (si dia a questo “aggettivo” il mero significa etimologico, senza ulteriori aggiunte semantiche di carattere storico-filosofico) e sociale, che comunque esistono (l’assenza anarchica di ogni gerarchia è una pura e pericolosa illusione sconfitta dalla storia), abbia riconosciuta una pari dignità di persona, ma senza confusione di ruoli.

Il padre(-madre) non è/ non può essere amico/a, nel senso correntemente semantico del termine, del figlio/a; il padrone non può (e non deve), ad esempio, convocare assemblee di tutti i dipendenti per stabilire le strategie aziendali (l’esperienza negativa dei primi soviet russi lo mostra, e lo conferma anche il cooperativismo yugoslavo-titino, che non ha espresso molto di più in termini di vera partecipazione democratica all’economia); il prete, “messo (un po’) in riga” dal Concilio Vaticano Secondo, è comunque una figura non confondibile con il fedele, in termini di ruolo (né il recente Sinodo indetto da papa Francesco ha definito molto di diverso); il professore, addirittura, assieme al padre, è la figura che è stata più “colpita” dal ’68: ha perso molto della dignità del ruolo, molto del carisma da differenza di ruolo, ed è diventato spesso un bersaglio di studenti pigri e genitori nutriti dalla cultura sessantottina (ecco!). Un vero circolo vizioso.

Al mio gentile lettore, dopo questa prima disamina, può forse sembrare di trovarsi, con me, di fronte a una specie di rinnegato del suo tempo, perché io in quegli anni ero studente liceale, che però non ha mai perso di vista lo studio per conquistare diritti, perché sapevo che quella scuola era la mia unica possibilità di affrancamento da un destino di sequela della durissima, e purtuttavia dignitosissima, vita di mio padre.

Il mio continuare-a-essere-di-sinistra, se pure da sempre moderata, socialista riformista, aggiungevo io turatian-nenniano e a volte per far incacch.re qualcuno, perfino craxiano, anche se non era vero (ed è forse questa iniziale scelta moderata che mi ha permesso di essere coerente con me stesso fino ad ora, a fronte di innumerevoli “salti della quaglia” di miei coetanei che allora erano di estrema sinistra ed ora mi hanno spesso sorpassato abbondantemente a destra), oggi mi consente di essere critico senza essere distruttivo con i cambiamenti seguiti al ’68, che ha opportunamente e positivamente contribuito a dissolvere gli eccessi autoritaristici del “padre”.

Ciò che mi ha salvato è stata anche la cultura filosofica, la quale mi ha fornito gli strumenti per distinguere le due dimensioni, che consentono di unire e distinguere essere umano da essere umano, la dimensione di persona che dice “pari dignità” tra tutti gli umani (quante centinaia di volte lo ho scritto, detto e ripetuto!), e la dimensione di personalità che dice “unicità” e “irriducibile differenza” di ciascuno/a da ciascun altro/a.

La filosofia mi ha aiutato, ma soprattutto una certa filosofia, quella realista (di Aristotele e Tommaso d’Aquino, senza che io rinneghi il valore delle filosofie post-cartesiane, che hanno avuto il grande merito di riporre-al-centro, anche se forse troppo al centro, l’io individuale), che non pretende di piegare il mondo all’individuo, un po’ anti-cartesiana e anti-lacaniana, se posso arditamente avvicinare questi due pensatori, il primo (René Descartes) perché fa sottostare l’esistenza del mondo alla sua percezione (con mons. Berkeley e gli idealisti del grande Ottocento germanico, a partire da Kant e passando per Fichte, Schelling e soprattutto Hegel), il secondo (Jacques Lacan) perché sostiene la pluralità del manifestarsi dell’io individuale, vale a dire l’inesistenza di un io solido, quasi parmenideo, continuamente consapevole della sua ontologica essenza-sostanza-natura.

Respingo fermamente questa visione, poiché mi sembra, oltre che inadeguata e non veritiera sotto il profilo ontologico, anche sufficientemente “furba” nel senso di contribuire a togliere peso al valore morale dell’agire individuale. Si tratta sempre dello stesso tema: vale a dire, del rapporto tra libertà dell’agire morale e “malattia mentale” che può portare all’agire criminale, come mostrano il manuali psichiatrici più attendibili.

Se si accetta in modo integrale la visione dell’iodiviso, o addirittura frammentato, fatte salve le diagnosi neuro-etico-psichiatriche dell’agire criminale nello spettro schizotipico, non si può che convenire sul fatto che quasi tutto il diritto penale e le sue applicazioni, dal Codice di Hammurabi e dal Decalogo esodeo e deuteronomico fino a oggi, sono quasi del tutto privi di senso, proprio nell’accezione antropologico-morale del termine.

Il ’68 è l’ultimo o, per meglio dire, il penultimo figlio di Descartes, perché l’ultimo è proprio l’Oggetto che preconizza Giorgio Gaber, l’Iphone, così come è chiosato da Massimo Recalcati.

Il Padre è oggi sostituito dall’Oggetto: l’Iphone, (Gaber-Recalcati), che scrivo in maiuscolo perché è un Oggetto-Soggetto, un po’ alla tedesca.

Nella piéce musical-teatrale “Polli d’allevamento”, con la quale Gaber “ruppe” in qualche modo con i “rivoluzionari” del Movimento del ’77, un mix politico-culturale che lo aveva in un primo momento affascinato, questo aspetto viene spiegato con rigorosa e poetica acribia dal grande poeta-attore.

Gaber capì molto per tempo che, accanto alla giustamente radicale critica all’autoritarismo, stava crescendo un mondo che aveva perso la bussola, affidando all’improvvisazione e alla commistione dei ruoli sociali e familiari tutto l’avvenire, con conseguenze drammatiche, ad esempio, nella qualità della preparazione scientifica e didattica dei futuri insegnanti. I ragazzi di oggi, che hanno ripreso a studiare seriamente, nulla sanno del “sei politico” che per un certo periodo venne utilizzato (si fa per dire) ad architettura, mi pare in quel di Venezia. Che razza di architetti sono usciti da quella scuola, senza che io voglia generalizzare, perché i conti si fanno sempre con le persone singole.

No, lo giuro sul mio Iphone” afferma con sicura convinzione una ragazza “portata” dai genitori a colloquio con Recalcati, che le aveva chiesto, con tono da zio confidente “...ma tu, sei sempre connessa?”

No, no” risponde la ragazza, ma Recalcati si accorge che non è vero.

Posso anche fermarmi qui con i ragionamenti, perché ho posto all’attenzione del lettore anche troppi argomenti.

Non sono pessimista per il futuro, perché mi ritengo realista e non solo in filosofia, ma anche nel quotidiano concreto.

Vedo speranza nel futuro delle generazioni in costruzione, sperando anche che il mondo trovi il modo di darsi un nuovo ordine rispettoso dei diritti di tutti i popoli e di tutte le nazioni.

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