Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Gli imbrattatori (illi illaeque qui virtuose docendi populo credunt)

Girano con secchi di vernice (lavabile) e si scagliano contro quadri e monumenti, sporcandoli. Per protesta.

Babbei e babbee

Sono giovanotti e giovanotte sensibili ai problemi ambientali e del clima, di cui nessuno si ricorda. Secondo loro.

Hanno almeno un diploma liceale e forse anche una laurea, magari in scienze della comunicazione, perché sono dei comunicatori. Fanno performance. Ricordano il Sordi (Alberto) che visita con la moglie la Biennale di Venezia, laddove la signora, stanchissima e sudata, si siede sulla sedia della “guardiana” e viene presa per una “installazione” da ammirare. Un’installazione-performance che interessa un gruppo sempre più nutrito di visitatori, i quali smettono di guardare le opere esposte, concentrandosi sulla genialata di quell’artista capace di far sedere una signora viva-addormentata in mezzo alla mostra.

Addirittura, talmente realistica è l’opera costituita dalla signora seduta addormentata sudata, che un pietoso visitatore la deterge con acqua fresca. Al che la signora si rianima, si agita, e scatta in piedi, alla velocità consentitale dalla sua incipiente pinguedine da mezz’età. E urla contro chi si trova tutt’attorno. Arriva Sordi e la porta via.

Informo il mio gentil lettore e lettrice che la parte relativa alla detersione pietosa è stata da me inventata di sana pianta, perché non presente nella sceneggiatura del film e pertanto scena non mai girata.

Cambio di scena. Siamo nelle Terre di Mezzo del Friuli. Ristorante in mezzo alla campagna. Mi fermo, pranzo e poi, memore di antiche storie, mi intrattango con la titolare sul nome del ristorante: in friulano “Cà dal Pape“, trad. it. “Qui dal Papa”. Nome oltremodo curioso. Che c’entra il Papa con il paesino sperduto nelle campagne del remoto e poco conosciuto Friuli? C’entra, perché i Friulani, al di là dello stereotipo che li considera solo burberi e chiusi, hanno un fondo di ironia nel loro carattere di “Popolo del Confine”, aduso a due millenni e mezzo di scorrerie a diversi padroni “foresti”, come Roma, Langobardia, Venezia, Patriarchi germanici (mezzi-foresti), Austro-Ungarici.

Il nuovo nome ha sostituito qualche anno fa il nome storico “Al cacciatore”, che aveva attirato le ire degli animalisti locali e non. Stanchi di subire attacchi violenti da parte di una squadra di eroi difensori dell’animale, ma ignari che anche l’uomo lo è, e loro in ispecie, e stanchi di quasi-sconfitte in tribunale, dove valorosissimi avvocati ambientalisti riuscivano a mostrare che quei giovani erano solo dei “generosi idealisti”, i proprietari si sono decisi a ri-nominare il locale con quell’evocativa e rispettabilissima dizione, soprattutto per la parte cattolica degli animalisti, che si annovera cospicua.

Finiti gli attacchi, prosperità e pace per il locale.

Che cosa accomuna quei ragazzotti che nottetempo facevano fuggire animali dalle gabbie, danneggiavano distributori di carburante che servivano il popolo lavoratore, facevano esplodere piccole cariche sulle porte di qualche macelleria, e gli imbrattatori di queste settimane?

Mi pare di poter dire una sola parola e poche altre a commento: ignoranza. Crassa.

Un’ignoranza sia tecnica sia morale, di tipologia infantile, quasi come quella del bambino che batte i piedi perché vuole assolutamente quel giocattolo in vetrina, che fomenta arroganza, presupponenza e protervia. Perfetta scala crescente di dis-valori proposta da Norberto Bobbio.

Il ciclo psicologico e comportamentale è chiaro. Uno pensa di avere ragione su una cosa e vuole, fortissimamente, alfierianamente vuole essere ascoltato e ubbidito, perché lui/ lei è il centro-del-mondo e tutto-gira-attorno-a-lui/lei… Ti ricordi caro lettore, cara lettrice, di quello spot dove una bella ragazza australiana, Megan Gale, pubblicizzava Vodafone con la frase pronunziata in un italiano “stanliano” (cioè simile a quello di Stanlio, il geniale Stan Laurel): “thuttho inthorno a thei“. E giù imprecazioni, le mie! Perché mi chiedevo se quel messaggio, apparentemente innocuo, potesse fare danni ai giovanissimi ottenni o novenni o decenni telespettatori che, incantati, guardassero la bella donna giovane suscitando in loro il desiderio inconscio di un cellulare magari con attaccata la bella donna. Come zia giovane, naturalmente.

Freudismi sghembi e un pochino paranoici, i miei? Non so, non lo so, ancora.

Bene: quelli che al tempo facevano le “birichinate” (così le chiamavano in tribunale gli avvocati, anche se le “birichinate” costavano da cinque a diecimila euro per volta), e quelli che oggi imbrattano dipinti e monumenti, sono della stessa pasta. La pasta di quelli che non accettano la fatica dell’argomentazione logica, dell’impegno diuturno politico e sociale, della rappresentanza degli interessi, del coglimento e dell’accettazione delle diverse sensibilità individuali.

Farei così, permettendomi un suggerimento al valoroso, e da me molto stimato, Ministro Guardasigilli Carlo Nordio: dopo il fermo di polizia, processo per direttissima (come fanno a New York) e condanna al lavoro di ripulitura immediata dei quadri o del monumenti sporcati. E, non una ramanzina retorico-moralistica, ma un corso di Etica generale e speciale sul rispetto degli altri e del mondo che NON possediamo individualmente, a cura di un filosofo pratico. Io lo terrei, come si dice tra il popolo, anche agratis. E so che anche diversi colleghi e colleghe dell’Associazione Nazionale per la Consulenza Filosofica, farebbero altrettanto.

Far pulire gli oggetti sporcati, finché brillino come opere michelangiolesche o canoviane appena uscite dallo studio di uno dei due geni, che amavano dare anche l’ultimo tocco ai loro capolavori.

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