Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’uomo di superficie

Consiglio il libro da cui traggo il titolo di questo post.

Vittorino Andreoli, psichiatra diverso da quei suoi colleghi e psicoterapeuti che vanno per la maggiore in video, quasi sempre campioni dell’ovvio e del risaputo, ha scritto un libro accessibile e profondo.

Accessibile per il suo linguaggio diretto e appassionato, profondo perché scevro dalle furbizie comunicative degli instant book e delle rubriche da rotocalco.

L’uomo di superficie“, edito da Feltrinelli, è un trattato in forma di racconto sulla bellezza superficiale, come mito dei nostri tempi. Una riflessione sapiente sull’apparire-di-un-essere privo di sostanza, l’essere della levigatezza e della bellezza esteriore, per la quale molte e molti sono disponibili a qualsiasi sacrificio economico e personale.

Andreoli racconta brevemente la sua vita, le sue radici, dice della “religione del padre” che gli ha insegnato i valori, e che gli è presente in ogni momento della sua vita e delle sue scelte. Sento al modo suo le stesse cose.

E poi si diffonde con sapienza scrittoria a descrivere le varie parti del corpo modificate dalla chirurgia e estetica, dalle protesi ornative e meccaniche (piercing e tatuaggi), al fine di rappresentare a se stessi, ma soprattutto agli altri, che sono giudici inappellabili, una immagine giusta e vincente (termine abominevole) per questi tempi devastati dal vuoto del pensiero riflettente e dall’assenza del silenzio sapiente.

Ed elenca esempi e modelli della società della comunicazione e dello spettacolo, che costituiscono punti di riferimento per chi non è più in grado di pensare a se stesso come un valore in sé, non bisognevole di imitare chicchessia per essere presentabile a se stesso e agli altri, non necessitato a specchiarsi per migliorare l’autostima.

Consiglio questo libro a giovani e meno giovani, a genitori e figli, a laici e presbiteri, a dipendenti e imprenditori, a dirigenti e subalterni, perché permette una sosta, una pausa di meditazione sulla corsa che si sta facendo verso nebulose, se non pericolose mete; per raddrizzare il senso della corsa, magari rallentando, guardandosi un po’ in giro per contemplare il variare delle stagioni, il mattuttino pianto di un neonato, l’abbaiare lontano di un cane, il bisbiglio della propria coscienza, e forse il soffio dello Spirito tra i rami degli alberi.

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