Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Un martire-eroe, Aleksey Navalny (non sarà l’ultimo), e in Italia Salvini prende le parti di Putin. Vergogna e abominio, come a nche in Russia dove il potere impedisce alla madre di Aleksei, Ljudmila, di poter onorare il figlio con una tomba sulla quale pregare

Non conosciamo la forza della sua testimonianza. Speriamo sia immensa.

Martirio“, in greco vuol dire testimonianza.

Aleksey era stato incarcerato da qualche tempo in un istituto nella Russia artica, storico luogo di gulag, e precisamente nella colonia penale IK-3 vicino alla località di Kharp, e non distante dal campo di prigionia staliniano di Vorkuta: questo eroe, Navalny, alto, bell’uomo, era sempre più magro. Era tornato nella sua amata Patria maltrattata dopo essere stato curato in Germania da un avvelenamento propinatogli dai servizi russi. Lottava per la libertà in Russia da tutta la sua vita. Era pericoloso per il potere dell’autocrate, che lo temeva. Non so se avevano deciso che morisse. Dai comportamenti dell’amministrazione penitenziaria russa (Putin) sembrerebbe che sia stato così.

Ed è morto. Dicono, ufficialmente, per trombosi. Ma fino a un paio di giorni fa stava bene, come afferma Juljia Borisovna Navalnaya, la sua dignitosissima moglie, da Monaco di Baviera.

Si è tornati ai tempi dei processi pretestuosi, se non dei tempi staliniani degli anni ’30, quelli dei gulag mortali e delle fucilazioni alla Lubianka, ai tempi brezneviani di scrittori come Solzhenitsyn, Siniavski e Daniel, e, più recentemente, alle uccisioni di Litvinenko a Londra e di Anna Politkovskaya a Mosca, e a quando, se “andava bene” si veniva esiliati, dopo un periodo trascorso in uno dei cento e più manicomi dell’Unione Sovietica.

Un dissidente, Navalny, come quelli degli anni ’60 e ’70, attivo in modo non-violento. Erede di quelli che Stalin costringeva ad auto-accusarsi delle peggiori nefandezze tradimenti negli anni Trenta, il più famoso dei quali fu Leone Davidovic Trotskij, ucciso da sicari stalinisti (Ramon Mercader, cognato di Vittorio De Sica) a Ciudad de Mexico. Ma andarono al plotone di esecuzione anche bolscevichi della prima ora, compagni di Vladimir Ilich Ulianov (Lenin), come Bucharin, Zinovev e Kamenev, tra altri, numerosissimi.

I “dissidenti” non erano dei ribelli anti stato: in modo diverso e individuale sono sempre stati dei patrioti russi, come specifica Roy Medvedev, capaci di avere il coraggio di manifestare liberamente il proprio pensiero politico.

Il “potere” sovietico o russo che sia, ha sempre identificato i “dissidenti”, o come traditori antisovietici e quindi del popolo, o comunque traditori della Patria. Coloro che si sono coraggiosamente posti di fronte al potere non sono però mai stati un movimento unitario, capace di fare veramente fronte ai vari tipi di autocrazia, che risalgono addirittura allo zarismo.

La polizia segreta dello zar, i vari sistemi NKDV, GPU e KGB sovietici (nomi diversi di questa triste istituzione), si è sempre mossa per zittire, alla fine, fisicamente, ogni forma di dissenso.

Uno striscione della dissidenza, Per la nostra e la vostra libertà

La repressione del dissenso prevedeva vari provvedimenti, dal licenziamento dal lavoro alla cacciata dalle scuole, l’arresto, la privazione della cittadinanza e la detenzione in ospedali psichiatrici o nei gulag (Gulag è l’acronimo, introdotto nel 1930, di Gosudarstvennyj Upravlenje Lagerej, Direzione centrale dei lager), e la fucilazione, che riguardò, nel periodo staliniano, forse oltre settecentomila persone, la maggior parte delle quali, comunisti.

L’articolo 58 del Codice penale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa che riguardava chi “tradiva” lo Stato, promulgato nel 1927, prevedeva un massimo di 25 anni di carcere. Nel 1966 fu inoltre sancito che la pubblicazione di “notizie false” fosse punibile con la reclusione fino a tre anni.

Con Navalny hanno risolto il problema alla radice.

Molti Russi stanno partecipando al ricordo di Alexeij, a loro rischio e pericolo. Ciò significa che il grande Popolo Russo, abituato a ogni sofferenza della Storia, pure nella sua aggressività geografico-antropologica, riesce a pensare e a riflettere sul bene e sul male che gli appartiene. Non a caso Federico Dostoevskij, forse il più grande scrittore dell’Ottocento, è un figlio della Russia. E russo è l’eroico Padre Pavel Florenskij, morto, lui fucilato come usava ai tempi del “tiranno di Gori” (Stalin), come Navalny, nel grande Nord artico.

Sono personalmente vicino a questa gente, abitante l’infinita Pianura Sarmatica che inizia dal germanico Fiume Elba e termina sui Monti Urali, e dispersa nella Taigà siberiana, che da lì volge, traversata da alcuni dei più grandi fiumi del mondo, l’Ob, lo Jenisei e la Lena, fino all’Oceano Pacifico, che spaventano e rendono inquieti, ma che danno anche forza e grandezza.

Sono stato contento di vedere la politica italiana in Piazza Campidoglio senza bandiere e con fiaccole di vita per la libertà in Russia, con l’unica stonatura di una Lega che si barcamena per esserci, mentre convintamente continua a sostenere l’autarca crudele del Cremlino.

L’ultima è il travaglio e il dolore di mamma Lyudmila, cui il potere russo impedisce di dare una tomba al figlio ammazzato. Viene in mente un paragone del mito poetico cantato da Omero, che riguarda la morte di un altro eroe, Ettore, figlio del re di Troia Priamo, ucciso dal (quasi) invincibile Achille. Il re, in ginocchio, supplica l’eroe acheo di ridargli la salma del figlio per poterlo seppellire con onore, e Achille acconsente.

La barbarie sanguinaria dell’antico soldato è capace di onore, il potere dell’autarca russo, no.

Consiglio – sempre in tema – ai miei lettori, oltre che alla rilettura di Alexander Solzhenitsyn (che basta e avanza, con Una giornata di Ivan Denisovic e Arcipelago Gulag) di dare uno sguardo a un Youtuber molto intelligente, che si chiama David Legenda (pseudonimo), che sta percorrendo la vecchia URSS in lungo e in largo, su vecchi aerei Antonov, Iliushin e Yakovlev, in treno e su masturke (grossi taxi) collettive, per farcela vedere in tutta la sua drammatica verità.

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