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Intelligenza umana e intelligenza artificiale, tra ragionevolezza e “effetto wow”

Intellectus, ratio, noùsphrònesis, intelletto, ragione, prudenza, modi diversi di descrivere le facoltà intellettive dell’uomo, in latino, in greco, in italiano. Termini, assieme a molti altri, collocati nella storia dell’uomo occidentale (tralascio quella dell’homo orientalis, per la quale non possiedo competenze specifiche).

Proviamo a dirci brevemente che cosa intendiamo di solito per “intelligenza”.

L’intelligenza è un insieme di facoltà mentali e psichiche le quali, tramite processi cognitivi come l’apprendimento, la riflessione e la comprensione, consentono di capire le cose e i concetti producendo idee e pensieri, atti ad organizzare il comportamento soggettivo, in ogni senso e per qualsiasi fine. L’intelligenza non appartiene solo all’homo sapiens, poiché in modi differenti è parte delle strutture psichiche degli animali e comunque di organismi viventi.

Di seguito un elenco di capacità derivanti dall’intelligenza: astrazione, logica, comprensione di concetti e fatti, autoconsapevolezza, apprendimento, conoscenza emotiva, ragionamento, pianificazione, creatività, pensiero critico, risoluzione di problemi, etc.

Si può anche dire che l’intelligenza è la capacità di percepire o dedurre informazioni anche non evidenti mediante l’intuizione, per applicarle come conoscenza e produrre comportamenti adattivi, per cui l’uomo riesce a cavarsela anche in situazioni limite (le grenz Situazionen di K, Jaspers).

John Locke

In realtà, non si può dire che tutti gli studi sull’intelligenza umana, anche ad oggi, non hanno ancora definito una declaratoria ufficiale dell’intelligenza umana universalmente riconosciuta e condivisa, tali e tante sono le differenze tra le strutture antropologico culturali e filosofiche presenti nelle varie culture mondiali, tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud del mondo.

Forse si può riconoscere che tutti convengono sul fatto che l’intelligenza sia la capacità/ facoltà, in particolare di un soggetto umano, atta affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi teorici e pratici nuovi o sconosciuti. Analoga, anche se diversa, è descritta pure l’intelligenza “animale”, fermo restando che, biologicamente, anche noi sapiens siamo “animali”.

Per alcune scuole di pensiero, soprattutto antiche, la sede dell’intelligenza non è il cervello e la si identifica come la qualità, esclusivamente umana, di capire un fenomeno e le sue relazioni con tutti gli aspetti non apparenti che interagiscono con tale fenomeno, la capacità quindi di leggervi dentro.

Tradizionalmente l’intelligenza è stata attribuita alle sole specie animali, a partire dall’uomo, ma oggi essa viene da alcuni attribuita, in misura minore, anche alle piante e agli organismi unicellulari. Direi che basta intendersi: se definiamo l’intelligenza con facoltà essenzialmente adattiva al mondo, per analogia, possiamo attribuirla anche a ogni altro essere vivente.

Cominciamo a introdurre il tema dell’intelligenza artificiale, anticipando solo che essa si propone lo scopo di creare macchine che tentino di riprodurre o di simulare l’intelligenza umana.

Forse a questo punto è utile tornare alla linguistica che concerne il concetto e il lemma “intelligenza”, prima di approfondire il tema di quella artificiale.

La parola intelligènza deriva dal sostantivo latino intelligentĭa, a sua volta proveniente dal verbointelligĕre, “capire”.

Il vocabolo intelligĕre è formato dal verbo legĕre, “cogliere, raccogliere, leggere” con la preposizione inter, “fra” (quindi, ‘scegliere fra, distinguere’); l’intelligenza, quindi, è letteralmente capacità di stabilire correlazioni e distinzioni tra elementi (di “leggere tra le righe”, come si dice).

Una opinione autorevole, quella di 54 ricercatori di tutto il mondo che concordarono su questo testo:

«A very general mental capability that, among other things, involves the ability to reason, plan, solve problems, think abstractly, comprehend complex ideas, learn quickly and learn from experience. It is not merely book learning, a narrow academic skill, or test-taking smarts. Rather, it reflects a broader and deeper capability for comprehending our surroundings—”catching on”, “making sense” of things, or “figuring out” what to do.»(IT)«Una generale funzione mentale che, tra l’altro, comporta la capacità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in maniera astratta, comprendere idee complesse, apprendere rapidamente e apprendere dall’esperienza. Non riguarda solo l’apprendimento dai libri, un’abilità accademica limitata, o l’astuzia nei test. Piuttosto, riflette una capacità più ampia e profonda di capire ciò che ci circonda – “afferrare” le cose, attribuirgli un significato, o “scoprire” il da farsi.»
(Mainstream Science on Intelligence, 1994)

Alcune altre definizioni risalenti ai decenni scorsi:

  • La capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove. (William L. Stern)
  • La misura della capacità di un agente di raggiungere obiettivi in una varietà ampia di ambienti. – (S. Legg e M. Hutter, quest’ultima definizione è stata formulata nel tentativo di sintetizzare una varietà di settanta altre definizioni diverse).

Guardandoci un po’ indietro ci possiamo soffermare possiamo soffermarci sul Saggio sull’Intelletto umano del filosofo inglese John Locke nel quale egli descrive la mente umana, dalla sua nascita, come una aristotelica tabula rasa (anche se non usa esattamente queste parole) riempita in seguito attraverso le esperienze. Il Saggio fu una delle principali fonti dell’empirismo moderno ed influenzò molti filosofi dell’Illuminismo, come George Berkeley e David Hume.

In quest’opera, di carattere filosofico-pedagogico, Locke sostiene che il processo di apprendimento prenda avvio dall’esperienza, che può essere interna o esterna al soggetto, la quale attraverso l’associazione di idee semplici, porta alla formulazione di idee complesse e di un giudizio. A ben vedere si può percepire come questa tesi abbia non soltanto un fondamento di tipo pedagogico (storicamente innovativo) ma anche un fondamento di tipo psicologico; la psicologia infatti pone alla base del processo di apprendimento oltre alla percezione e all’esercizio anche l’esperienza.

Il Libro II del saggio descrive la teoria delle idee di Locke, inclusa la distinzione tra idee acquisite passivamente, cioè le idee semplici, come “rosso”, “dolce”, “rotondo”, e quelle costruite in modo attivo, cioè le idee complesse, come i numeri, le cause e gli effetti, le idee astratte, le idee delle sostanze e quelle di identità e diversità. Locke distingue tra le qualità reali primarie esistenti dei corpi, come la forma, il movimento e la disposizione delle particelle che li compongono, e le qualità secondarie che sono “il potere di produrre varie sensazioni in noi” come il “rosso” ed il “dolce“. Queste qualità secondarie, afferma Locke, sono dipendenti dalle qualità primarie. Egli inoltre delinea una teoria della identità personale, offrendo un criterio largamente psicologico.

Dopo questa carrellata assai sommaria (ad esempio non ho interpellato in grandi filosofi greci classici, perché proposti altrove in questo sito e per non appesantire troppo questo testo) sulle teorie moderne e contemporanee su ciò che si debba intendere con il termine “intelligenza”, passiamo a dire qualcosa sulla intelligenza artificiale (in sigla IA), che è una disciplina dedicata allo studio delle possibilità circa se e in che modo si possano progettare e realizzare sistemi informatici in qualche modo definibili “intelligenti”, al punto da essere in grado di simulare la capacità e il funzionamento del pensiero umano.

«L’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.» (Definizione accettata dal Parlamento europeo nel 2020)

Definizioni specifiche possono essere date focalizzandosi sui processi interni di ragionamento o sul comportamento esterno del sistema intelligente e utilizzando come misura di efficacia la somiglianza con il comportamento umano o con un comportamento ideale, detto razionale:

  1. Agire in modo analogo a quanto fatto dagli esseri umani: il risultato dell’operazione compiuta dal sistema intelligente non è distinguibile da quella svolta da un umano.
  2. Pensare in modo analogo a quanto fatto dagli esseri umani: il processo che porta il sistema intelligente a risolvere un problema ricalca quello umano. Questo approccio è associato alle scienze cognitive.
  3. Pensare razionalmente: il processo che porta il sistema intelligente a risolvere un problema è un procedimento formale che si rifà alla logica.
  4. Agire razionalmente: il processo che porta il sistema intelligente a risolvere il problema è quello che gli permette di ottenere il miglior risultato atteso date le informazioni a disposizione.

L’intelligenza artificiale è una disciplina dibattuta tra scienziati e filosofi poiché manifesta aspetti concernenti in modo molto importante la dimensione etica dell’agire umano oltre che teorici e pratici. Ad esempio, Stephen Hawking nel nel 2014 ha messo in guardia riguardo ai pericoli dell’intelligenza artificiale, considerandola una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità.

Riportare di seguito un parere recentissimo di Geoffrey Hinton, ritenuto il principale “inventore” della A.I. Hinton ha espresso opposizione all’uso di armi letali a controllo automatico. Generalmente si rifiuta di esprimere predizioni a lungo termine riguardo ai rischi della singolarità tecnologica, osservando che il progresso esponenziale nel settore causi troppa incertezza sul futuro.

Tuttavia, il periodico The New Yorker gli ha attribuito una recente conversazione con il ricercatore Nick Bostrom nella quale avrebbe affermato di non aspettare lo sviluppo di un’intelligenza artificiale forte prima di diversi decenni (“non prima del 2070”) e che non ci sia speranza di controllare l’uso dell’intelligenza artificiale nel futuro, affermando che i sistemi politici ne faranno uso per terrorizzare la popolazione, e che entità come la National Security Agency stiano già cercando di sfruttare tali tecnologie. Riguardo ai rischi della singolarità tecnologica, non esclude la possibilità di sopravvivenza dell’umanità, ma osserva che non ci sono precedenti di una specie di intelligenza inferiore capace di controllare una specie superiore.

In un’intervista rilasciata al New York Times nel maggio 2023 (qualche giorno fa), Hinton rivalutò le sue previsioni sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, affermando che la sua precedente aspettativa sul tempo necessario per lo sviluppo della tecnologia (30-50 anni nel futuro) fosse sbagliata e il progresso stia avvenendo più velocemente, sostenendo che i ricercatori dovrebbero evitare di applicare la tecnologia su larga scala fino a quando non sono confidenti di essere in controllo.

Tanto per non dimenticare: l’Intelligenza artificiale. Molti certamente ricordano il film Minority report, nel quale Tom Cruise fa parte della polizia predittiva, che si occupa di prevenire i delitti e arresta i probabili/ possibili/ (quasi) certamente progettatori ed esecutori di delitti di tutti i generi.

Nella sceneggiatura di questo film di Spielberg l’intelligenza artificiale lavora mediante collegamenti informatici che imitano l’intelligenza umana mediante l’analogia e la logica razionale di base, ma, di contro, come abbiamo visto, un pensatore laicissimo come Stephen Hawking, ancora nel 2014, ha messo in guardia l’ambiente accademico e il sistema massmediologico dai pericoli dell’AI.

Per concludere può essere utile ricordare i prodromi dell’intelligenza artificiale, che si possono trovare addirittura nei secoli passati, in alcune ricerche di matematici e fisici come, nel 1623 Wilhelm Schickard, nel 1674 Gottfried Wilhelm von Leibniz, nel 1834, 1837 Charles Babbage, nel 1937 Claude Shannon a Yale, nel 1936 Alan Turing, e poi Mc Culloch e Pitts nel 1956 al Dartmouth College, fino alle ultime evoluzioni fisico-informatiche.

Tutto bello (o quasi), perché tutto ciò che la scienza produce è importante per l’uomo e per l’umanità tutta, specialmente quando scopre ciò che può essere utile in natura e si muove per proteggere la natura come in questo periodo sarebbe essenziale. La scienza e la tecnica possono servire per ridurre l’inquinamento da combustibili fossili… ad esempio, riprendiamo con il nucleare di ultima generazione? … e quando servono per migliorare la difesa del territorio e del clima terracqueo, nonché per sconfiggere sindromi e malattie.

Ma l’intelligenza artificiale, se considerata addirittura sostitutiva di quella umana, rischia di essere una delle modalità attuali del peccato di superbia. Sto pensando alla gravidanza surrogata, alla clonazione umana, a tutto ciò che mette in questione la struttura morale della realtà naturale.

Il rischio è che questo nuovo strumento sia considerato più per quello che può essere definito “Effetto Wow“, come spesso capita alle novità in questa società iper-mediatizzata e dell’immagine apparente sine ulla essentia (senza alcuno spessore).

E’ vero che la cultura umana ha modificato la natura delle cose, ma non bisogna esagerare. A questo proposito, ci si deve porre, a mio parere, una domanda: c’è un sapere che riesce e mettere in guardia da questo rischio? Domanda retorica, perché la risposta è di tutta evidenza, almeno da due millenni e mezzo.

Questo sapere è sempre e comunque la Filosofia. La filosofia non morirà mai e non potrà essere sostituita assolutamente dal machine learning, poiché questo sapere umano si interroga sui princìpi primi, sulle ragioni dell’esistenza umana cosciente nel mondo, sul funzionamento della logica e dell’argomentazione razionale,sul bene e sul male, sulle scelte morali e sulla scala virtuosa o viziosa dell’agire libero.

E, oltre alla frequentazione dei grandi classici, dai due Greci che non occorre nominare tanto sono conosciuti, che distinguevano fra intelletto e volontà, un modo straordinario di classificare le principali facoltà umane che si integrano, ad Agostino e Tommaso d’Aquino, fino a Kant e Hegel, a Heidegger, a Emanuele Severino, e al padre Cornelio Fabro, da Flumignano di Talmassons (Ud) per la cui biografia scrissi la prefazione, mi consolo con questo pensare.

Il compito di chi la pratica è immenso, ed è un consigliabile dovere per tutti accettarne le critiche e le proposte per partecipare a un dialogo in grado di definire il migliore utilizzo di questo strumento.

Ci penso ogni giorno per rinforzare il mio impegno, nel mio piccolo, per proporre la filosofia come sapere che riesce, analizzando con cura razionale ogni cosa e ogni fatto, a discernere le strade buone dalle strade male della vita di ognuno, delle famiglie, delle aziende e di ogni gruppo organizzato, dei popoli e delle nazioni.

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