Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Ambasciatori filosofici per la famiglia, per la politica, per la scuola, per la sanità, per il lavoro, per la giustizia, per la fede religiosa, per lo sport,… per la vita. “Philia” (Amicizia), una associazione per “non-filosofi-ma-filosofi”

Un’idea, solo un’idea venutami mentre parlavo con i colleghi dell’Associazione Phronesis, quella di poter ciascuno di noi farsi ambasciatore di filosofia laddove vive, dove lavora, dove si diverte, dove si cura o cura gli altri, dove studia, dove fa sport.

Non si può imporre il sapere, nessun sapere, un sapere che si occupa del sapere non si impone, perché è uno stile di vita e una scelta morale. Ma la filosofia può “vivere” ovunque, come provo a fondare con esempi.

Un esempio concernente la filosofia e la famiglia: la famiglia vive avvalendosi di molte discipline e ambiti, a partire da quello relazionale. La famiglia è il luogo per eccellenza dove si sviluppa la relazione affettiva che “produce” sentimenti e quindi vita, ma nel contempo essa sviluppa economia e logistica, economia con il reddito prodotto dai partecipanti, dal lavoro che compiono, sia che i componenti siano imprenditori sia che siano lavoratori. E la filosofia? Beh, permea tutta la vita della famiglia con l’apprezzamento della pari dignità di tutti i componenti, insieme con l’irriducibile differenza di ciascuno, per ruolo, età, contributi alla famiglia stessa: in famiglia si praticano, di fatto, senza dichiararlo, saperi come l’antropologia filosofica, come l’etica della vita umana e come un’economia sociale egualitaristica. Quanta filosofia!

Un esempio concernente la filosofia e la politica: addirittura possiamo dire che la filosofia costituisce i fondamenti della politica, sia come filosofia politica sia come filosofia del diritto, poiché la politica – tautologicamente – governa la polis e la governa tramite leggi condivise perché votate a suffragio universale, che è il sale e il metodo aureo della democrazia. Nella politica, però, sopravvive subdolamente un nemico acerrimo della filosofia: l’ideologismo. Si badi bene, non sto riferendomi alle ideologie politiche, che dai tempi antichi fino alla contemporaneità sono state il sistema nervoso e “affettivo” dei sistemi politici e di governo: vi erano partiti nel mondo semitico ebraico (da destra a sinistra, utilizzando indebitamente e anacronisticamente lo schema della Rivoluzione Francese), i sadducei, i farisei, gli zeloti, gli esseni; vi erano dei partiti nell’antica Roma, i populares e gli optimates; sono vissuti dei partiti nel Medioevo, i guelfi e i ghibellini addirittura, gli uni e gli altri, suddivisi al loro interno in sotto gruppi (i bianchi e i neri tra i guelfi: Dante Alighieri era un guelfo nero, vale a dire un cattolico laico, Romano Prodi direbbe “adulto”); i partiti moderni sono nati, infine, per sintetizzare, dalla Rivoluzione Francese, con i concetti “logistici” di destra, centro e sinistra (in quei frangenti si distinguevano da destra a sinistra, in vandeani, girondini, giacobini e montagnardi), a loro volte ulteriormente suddivisi – in tempi recenti – in numerosi altri partiti, più o meno numericamente e politicamente consistenti.

Non cito in questa sede le suddivisioni politiche orientali, come quelle del ceppo indo-cinese e giapponese, che complicherebbero troppo il testo.

Le ideologie politiche sottese a ogni schieramento, ad esempio, citando quelle moderne, il conservatorismo storico, il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il cattolicesimo democratico e/o conservatore, l’ambientalismo, etc., sono state e sono ciò-che-dà-senso e ragion politico-morale alla stessa militanza e appartenenza a uno schieramento. Ben diverso dalle ideologie, che sono non solo legittime ma necessarie, è l’ideologismo, che è quella forma di pensiero escludente che pone davanti a ogni giudizio su un atto o una posizione altrui non condivisa, la lente della militanza, che non solo non è di aiuto alla qualità dell’analisi, ma è fuorviante proprio sotto il profilo di una filosofia politico-morale che rispetti, democraticamente, sia il pensiero altrui, sia la sua legittimità etica, così impedendone la legittimazione fors’anche giuridica.

Mi spiego meglio: non sto dicendo che non si debbano riconoscere i diritti incomprimibili di chi vuole lottare contro una tirannia, un’autocrazia o una dittatura criminale (ho in mente ovviamente il nazismo, il fascismo e il comunismo staliniano e polpottiano) con ogni mezzo, anche militare, poiché si tratta di lottare contro delle deformazioni mostruose e disumane della politica, che non intendono ragioni democratiche, ma sentono solo l’uso di una forza o addirittura l’esercizio di una necessaria violenza (ad e. la Resistenza italiana), ma sto dicendo che non si devono applicare le lenti dell’appartenenza politica quando, in un regime liberal-democratico come il nostro, garantito da una splendida Carta costituzionale, che è intrinsecamente antifascista, si rischia di non legittimare esplicitamente un avversario politico, semplicemente perché si ritiene che non abbia completo “titolo democratico”, magari perché provvisto di mezzi comunicazionali importanti (Berlusconi, ad e.). Questo è stato uno dei limiti di cultura politica della sinistra in Italia negli ultimi trent’anni. Un esempio illuminante: si pensi agli USA, dove i candidati alla presidenza sono legittimati a raccogliere risorse pressoché senza limiti per le loro campagne elettorali tese a vincere, nazione dove sussiste, pure nei limiti umani, una vera democrazia e un reale equilibrio “montesquieiano” tra i poteri, soprattutto tra quello esecutivo (governo) e quello giudiziario (magistratura).

Contro l’ideologismo la filosofia è un anticorpo forte, perché può mettere in campo la logica, l’etica, un’antropologia umanistica completa, e anche (se si vuole) la stessa metafisica classica, che riconosce la validità/ verità essenziale di ogni ente, quindi, nel nostro caso, anche dell’avversario politico, che non va mai “demonizzato”, ma vigorosamente combattuto.

Un esempio riguardante la filosofia e la scuola: a scuola la filosofia permea ogni agire, dai suoi contenuti culturali e disciplinari agli aspetti pedagogici e didattici. La filosofia è un “ambiente”, non solo una materia che andrebbe proposta nelle scuole di ogni ordine e grado, se pure in modi metodologicamente diversi, ma è anche un anticorpo previo contro l’ideologismo che può svilupparsi nell’età adulta. Mi spiego meglio con alcuni paradossi, citando tre grandi pensatori contemporanei, Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Giovanni Gentile. Ebbene, pur essendo (nel comune sentire) i prodromi ideologico-filosofici, rispettivamente, del comunismo realizzato (spesso chiamato furbescamente socialismo, che è tutta un’altra “cosa”), del nazionalsocialismo e del fascismo, se si volessero studiare nel profondo, possono anche essere il fondamento di una critica alle tre deformazioni politiche. Marx, pur fondando una politica che poteva essere, in sé, violenta e autoritaria (peraltro ai tempi dei suoi studi e della sua militanza politica eravamo a metà Ottocento, e i lavoratori erano ferocemente sfruttati), non avrebbe mai accettato le derive paranoiche e delinquenziali dello stalinismo e del polpottismo, dicendola qui con molta semplicità; Nietzsche, proponendo una critica al cristianesimo in qualche modo “prono ai troni” dei suoi tempi, e proponendo ed esaltando il concetto di “superuomo”, l’Übermensch, non sottende alcun sentimento razzista e antisemita, ma intende e propone che l’uomo debba saper trovare dentro sé stesso la forza per “superarsi”, per andare-oltre la mediocrità e raggiungere il livello morale e culturale che gli spetta: nulla, dunque, a che vedere con il nazismo; Gentile è stato iscritto al fascio, ha vissuto al suo interno, è stato ministro nei primi governi Mussolini definendo anche una robusta riforma della scuola che è sopravvissuta fino a pochi decenni fa, riforma criticabile per certi aspetti, come la suddivisione troppo rigida tra saperi scientifici e umanistici (che invece sono co-esistenti e co-presenti in tutte le discipline di insegnamento), ma non è mai stato razzista e antisemita. Ed è stato ucciso da un commando partigiano sulle porte di casa, con un’azione che, a mio giudizio, è stata inutile e stupidamente crudele.

I tre paradossi stanno a significare come la filosofia, nella sua storia, dai pre-socratici ai contemporanei, possa essere un filo rosso unitivo di tutti i saperi proposti, magari attraverso la logica formale che collega la matematica alle discipline “umanistiche”.

Un esempio riguardante la filosofia e la sanità: i servizi sanitari si occupano dell’uomo, di tutto l’uomo, dell’uomo integrale, della psiche e del sòma, dell’animamente-spirito e del corpo. Quello sanitario è – con quello della scuola e dell’università – il servizio pubblico di gran lunga più importante. La filosofia permea tutto quell’ambito, completamente, anche se non ci si rende sempre conto di ciò. L’etica della vita umana o bioetica deve sovrintendere a tutto l’agire medico-infermieristico, dalla nascita alla dipartita di ogni essere umano da questa vita. Ogni azione sanitaria con le sue correlazioni socio-assistenziali possiede intrinsecamente una dimensione eticamente fondata e quindi filosofica, sia quando si tratta di scelte cliniche di merito, che prevedono sempre un discernimento morale, sia quando si gestisce ciò che attiene alla spesa e agli investimenti nel settore, che non deve essere considerato secondario a nessun altro.

Temi come l’inizio e il fine vita, come l’affacciarsi al mondo e le “cose-ultime”, sono filosofici, e per chi ha la fede, religiosi, e non possono essere trattati in modo meccanicistico e ancora meno economicistico, come traspare abbastanza spesso. Non ci devono essere schieramenti contrapposti tra chi-è-per-l’eutanasia e chi è contrario, ma si deve riflettere a partire da ciò che si attribuisce in termini di valore alla vita e a ciò che significhi l’abusato sintagma qualità-della-vita. Non faccio esempi di cui ho già qui trattato nel corso del tempo: la mia raccomandazione è questa: non ci si faccia, anche su questi temi, travolgere dall’ideologismo dell’appartenenza, per cui se si è radicali-di-sinistra si è per l’eutanasia e per la gravidanza per altri, mentre se si è cattolici (magari, prodianamente “poco o non-adulti) si è contrari. Ho opinioni che si sono evolute nel tempo: se ai tempi della decisione sulla sorte della povera Eluana Englaro ero, nelle condizioni di informazione oggettiva in cui vivevo, molto perplesso sulla decisione assunta che poi determinò la fine della sua vita il 9 Febbraio del 2009 (giorno del mio compleanno, forse segno di un qualche genere, a volte penso…), ora mi sono convinto che in certe situazioni debba essere assunta in scienza e coscienza una decisione che appartiene al nesso logico-morale, inevitabile e necessario, caro alla teologia/filosofia morale di Tommaso d’Aquino, tra male minore e maggiore e tra bene maggiore e minore, per cui si possa essere guidati alla scelta più congrua sotto il profilo etico. Circa invece la gravidanza per altri ho e conservo una contrarietà radicale, per ragioni etiche già più volte illustrate in questa sede, così come per l’adozione di bimbi da parte di coppie omosessuali. Sono arretrato? Non mi interessa questo giudizio, perché fondo la mia posizione morale sulla riflessione filosofica che si avvale, in questi casi, di nozioni pedagogiche e di clinica psicologica, che non sono condivise da tutti, non so se dai più o dai meno, ma stanno nel dibattito, e soprattutto nella mia coscienza razionale.

Infine, anche sull’infinito dibattito intorno alla pandemia Sars Cov-19, ho registrato il fervoroso dibattito nel mio Cronache dall’Humanovirus, pubblicato alla fine del 2021, nel quale, tutto sommato, apprezzo quanto fatto dalla politica amministrativa con i vaccini e le terapie varie, ma sono rimasto nel dibattito anche con persone amiche, che hanno – in scienza e coscienza – dissentito, segnalando dubbi scientifici sugli effetti delle vaccinazioni e gli aspetti economico-industriali tutt’altro che disinteressati (come è ovvio che sia, dico io) sviluppatisi attorno e sul tema, e che hanno comunque voluto (e vogliono tuttora) confrontarsi con me.

Un esempio concernente la filosofia e il lavoro: l’ambito del lavoro si può basare molto sulla filosofia, per quanto concerne tutti i lavori, a partire dal concetto di valore e da quello di proprietà. Il valore ha a che fare prima di tutto con il patrimonio umano, che deve essere analizzato innanzitutto alla luce di un’antropologia attenta alle differenze, all’unicità irriducibile di ognuno, ma anche alla pari dignità tra le persone, siano essi lavoratori e imprenditori, clienti e fornitori, ovvero rappresentanze dello stato o del mercato; va considerato il valore come entità economica che nel lavoro si manifesta e cresce; la proprietà stessa va considerata da due punti di vista: quello legale e civilistico, per cui si può definire “privata”, e quello sociale, per cui la si deve intendere come valore comunitario. Abbiamo qui dunque interpellato l’antropologia filosofica, la morale economica e la giustizia sociale: in altre parole, in termini generali la Filosofia. Un intreccio straordinario e quasi ancora del tutto da esplorare e praticare è quello relativo al Modello 231 dell’Azienda etica(-mente fondata), cui mi sto dedicando da anni.

Un esempio concernente la filosofia e la giustizia: quanta filosofia dentro l’ambito della giustizia, intesa sia come ambito e potere giudiziario costituzionalmente riconosciuto, sia come virtù umana o cardinale fondamentale! Partendo da questa ultima accezione, il termine giustizia, prima ancora che afferente al diritto, appartiene – letteralmente – al contesto della filosofia morale, dai tempi di Aristotele, che scrisse ben tre “Etiche”, tra le quali ricordiamo di più quella “a Nicomaco”, scritta con intenti pedagogici per suo figlio, ma anche per il suo più grande studente Alessandro il Grande, re di Macedonia, di cui fu precettore. La “Giustizia” è la virtù/ valore/ principio che aiuta l’uomo a dare a ciascuno ciò che è suo, a dirimere le controversie (si ricordi anche l’esempio biblico del re Salomone che di fronte a due madri che reclamavano come proprio un bimbo, ordinava di dividerlo in due con la spada, per capire chi amasse veramente quel bambino in tal modo rivelandosi la vera madre); la “Giustizia” è il sistema che definisce i confini del diritto, e si fonda sui valori condivisi da una comunità, ma soprattutto sul valore assoluto (vale a dire “sciolto-da-ogni-vincolo”) dell’essere umano e dei beni di natura su cui ha un mandato, non la proprietà.

Un esempio concernente la fede religiosa: la filosofia ha sempre avuto a che fare con le religioni, nel corso della storia e fino ad oggi. I filosofi greci non erano dei grandi “tifosi” dei dèi olimpici, e per questo a volte le città che li ospitavano non gradivano la loro presenza. Con l’avvento del Cristianesimo, sulle prime, con Costantino, Galerio, Teodosio e Graziano imperatori, all’inizio, con il Decretum di Milano del 313, il Cristianesimo fu considerata religio imperii, e poi l’unica religio imperii, con pene annesse per i renitenti, i fedifraghi e gli apostati.

Ma due sommi pensatori riportarono in auge le filosofia, se pure “dentro” la religione cristiana e la teologia, Origene di Alessandria prima e sant’Agostino in seguito. Da lì in poi la filosofia rinacque, se pure sotto l’egida della teologia, finché Tommaso d’Aquino, con il raffinatissimo prologo di sant’Anselmo d’Aosta (o di Canterbury), pur definendola ancilla Theologiae (ancella della Teologia, con tale titolo intendendo, però, non una subalternità ma una fornitrice di strumenti speculativi e dialettici indispensabili per una buona teologia) ri-sdoganò del tutto la riflessione filosofica, ben presto seguito da moltissimi altri, dentro la Chiesa stessa e poi, dai secoli XV, XVI e XVII prevalentemente al di fuori, nel mondo laicale, a partire da Descartes e Galileo, che pure erano integerrimi cristiani cattolici. A quel punto si compiva la separazione storica fra sapere teologico e saperi filosofico-scientifici, per dare vita al pensiero moderno.

Filosofi moderni insigni come Hegel, che era un teologo per studi accademici, ritenevano che la religione fosse un sapere previo alla filosofia, cioè alle scienze dello Spirito, per cui la religione, sostenuta da una struttura sempre più imponente, la Chiesa, anzi le Chiese, Cattolica, Ortodossa e Riformata (e qui tralascio riflessioni più approfondite), ha iniziato a vivere di una sua vita del tutto autonoma e vicina soprattutto alla sensibilità popolare, pur non essendo mai (stata) trascurata dai regnanti e dagli uomini di potere, cui piaceva far benedire sempre le proprie “legioni” da un presbitero o da un vescovo, come già fece il vescovo Ademaro di Puy nel 1089 con i Crociati sotto le mura di Jerusalem, fino ai nostri tempi.

Accademicamente si studia anche la filosofia delle religioni che affronta i percorsi storico-teologici di ogni pensiero legato al tema del divino, così come ci sono studi di sociologia delle religioni, di antropologia delle religioni e di psicologia delle religioni. Un mondo.

Un esempio riguardante la filosofia e lo sport: nello sport l’atteggiamento morale fondamentale è la lealtà, poiché si tratta di un ambito che – di per sé – può essere considerato la metafora dello scontro fisico classico uomo-contro-uomo. Nello sport la filosofia comporta l’apprezzamento e l’accettazione reciproca fra i contendenti dell’eguale dignità fra loro, sia tra quelli che vincono spesso o quasi sempre, come certi “campioni”, sia tra quelli che non riescono ad ottenere grandi risultati, o solo raramente. La filosofia può far capire a chi pratica sport che chi vince non è-superiore a chi perde in quanto essere umano, ma gli è pari in dignità, pur vincendolo nella prestazione. Si tratta di etica sportiva, che deve governare anche l’organizzazione e la gestione dello sport, evitando gli eccessi presenti soprattutto in certe discipline professionistiche come il calcio, il basket americano, gli sport motoristici, il golf e perfino il ciclismo, dove c’è chi, il campione, prende milioni e il gregario percepisce compensi come un operaio generico, facendo pero, tutti e due, gli stessi chilometri, e il secondo più fatica, perché meno forte e perché deve portare la borraccia al primo.

Mi si spiega da parte dell’amico economista che il compenso-lo-fa-il-mercato. Sì, capisco, ma anche il mercato, se tutti i soggetti si accordano in un modo eticamente fondato sull’equilibrio tra prestazioni ed emolumenti, può essere calmierato.

Infine. Da tempo sto proponendo all’associazione della filosofia pratica nazionale (che peraltro ho presieduto per un biennio) cui afferisco, di uscire dal guscio di una fors’anche troppo elegante specializzazione e dall’allure della raffinatezza speculativa e intellettuale, promuovendo anche un soggetto “parallelo”, dove possano ritrovarsi i non-filosofi, che comunque hanno la stessa (o anche maggiore) passione per l’uomo e per la sua vita nel mondo, avendo conoscenze e specializzazioni diverse.

Lo si potrebbe chiamare Philia, Amicizia, proprio nel senso che davano a questo termine gli antichi sapienti, che non ritenevano molto utili le pur elevate teoresi che elaboravano, se queste non si diffondevano con una condivisione più larga, ad esempio in una “scuola” di pensiero, o tra il popolo.

A questa passione, Socrate pagò il prezzo della propria vita.

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