Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La “non-dea” Atalanta, gasp, eph, sob, aiut, gulp, ops, cul de sac…

Onomatopee più o meno sono, molto disneyane, salvo la prima che, oltre a rappresentare uno stato d’animo di cui parlerò più avanti, così come delle altre onomatopee, è anche la contrazione giornalistica del cognome di un allenatore di calcio (Gasperini) molto, ma molto antipatico, anzi antipaticissimo e dalla voce un po’ stridula, squittente, quello dell’Atalanta, che giornalisti pigri e banali si ostinano a chiamare “dea”. Infatti, Atalanta, nella mitologia greca non era propriamente una “dea”, ma la figlia di un re, cioè di un capotribù del tempo classico. La squadra di calcio “Atalanta”, attualmente in auge calcisticamente parlando, fu fondata a Bergamo nel 1907, e nulla c’entra con l’Olimpo greco, se non nelle memorande fantasie liceali di qualche fondatore, ovvero di qualche stanco e poco creativo giornalista odierno. Non so chi abbia iniziato a chiamare la squadra di calcio di Bergamo con la metafora-metonimia “dea” (roba di questi ultimi anni, comunque), ma immagino come se ne sia gloriato di fronte ai complimenti degli incliti (cioè, ignoranti tecnici). Amen.

Bergamo

Propriamente, Atalanta (in greco antico: Ἀταλάντη, Atalántē) è una figura, si può dire, trans-umana della Mitologia greco-antica, figlia di Iaso, re della regione di Arcadia e di Climene, sua moglie.

Il mito narra del desiderio di un figlio maschio da parte del padre di Atalanta, cosicché, quando nacque la bimba indesiderata, secondo l’èthos dei tempi, la abbandonò sul monte Pelio. Un’orsa inviata da Artemide/ Diana se ne prese cura fino a che fu trovata da dei cacciatori i quali la tennero con loro e la fecero crescere.

Cacciatrice fin da subito, Atalanta uccise con arco e frecce i centauri Ileo e Reco, suoi aspiranti stupratori, ma falliti. Non fu accolta fra gli Argonauti, alla cui spedizione alla ricerca del Vello d’oro nella Colchide aveva chiesto di fare parte, poiché Giasone era, anche lui al modo del tempo, maschilista. Ferì in una battuta di caccia il tremendo cinghiale “calidonio”, di cui l’uccisore, Meleagro, le fece poi dono del vello.

Come può capitare, la sua fama di cacciatrice (mascolina, dunque!) fece sì che il suo stesso padre, che l’aveva ripudiata e cacciata, perché femmina, la riconobbe nella dignità di sua figlia. Al padre, che la voleva sposa di un uomo che la meritasse, promise di diventar moglie di chi fosse riuscito a batterla nella corsa, mentre chi avesse perso la tenzone avrebbe perduto anche la vita. Allora le scommesse avevano anche poste in palio del genere.

A un certo punto, dopo che ebbe battuto molti pretendenti, arrivo un tal Melanione, che chiese un aiuto ad Afrodite (Venere), probabilmente gelosa di Artemide-Diana. Gli dei dell’Olimpo avevano sentimenti, vizi e virtù molto… umane. Il trucco escogitato dal pericoloso nume dell’amore fu questo: Melanione ebbe da Afrodite tre mele d’oro raccolte nel Giardino delle Esperidi, che lasciò cadere a terra, per tentare Atalanta. Lei non resistette all’inaspettato dono, si fermò per tre volte e perdette così la corsa.

Ovidio canta di Atalanta ne Le Metamorfosi, così come altri autori classici. Potremmo dire con linguaggio attuale che Atalanta fu una sorta di wonder woman, o almeno un modello per questo “tipo”. Oppure ancora, per meglio dire, un modello di autonomia dal padre e dalle condizioni femminili del suo tempo.

Jean Shinoda Bolen, analista junghiana tratta di Atalanta nei suoi volumi Artemide. Lo spirito indomito dentro la donna, e Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia femminile editi da Astrolabio, quasi come ipotesi di donna autonoma dai “poteri forti” del padre e degli eroi.

Quindi Atalanta è impropriamente definita “dea” da pennigrafi indolenti e poco documentati.

Tornando ai monosillabi del titolo, registriamo gasp, oltre che come abbreviazione dell’antipatico allenatore della non-dea Atalanta, in quanto manifestazione di difficoltà improvvise, eph come moto di meraviglia impaurita, sob come un piagnucolare semi-infantile (tipo quello dell’allenatore dell’Inter, Antonio Conte), aiut come semplice figura di troncamento di “aiuto!” richiesta di soccorso, gulp, come improvviso stupore, ops, come incidente inaspettato, tipo urca, ho fatto cadere il vaso…

Infine un accenno al detto francesizzante cul de sac, che significa angolo da cui non si può scappare, oppure metaforicamente, con riferimento al famoso allenatore di tre (dico 3!) anni di gloria al Milan, dove Berlusconi gli aveva comprato i tre migliori giocatori del mondo di quel tempo, a parte Maradona, cioè Van Basten, Gullit e Riijkard, oltre a Baresi, Donadoni, etc., e trenta (dico 30!) anni di scritti (chissà se qualche ghostwriter…): Arrigo Sacchi, laudator del gioco di squadra, che non avrebbe vinto nulla se non avesse avuto a disposizione da Berlusconi i fuoriclasse sopra citati. Quando leggo i suoi commenti sugli altri, squadre e allenatori, e noto il suo uso corrente, non poco presuntuosetto, di concetti e termini psico-socio-filosofici come “conoscenza”, “cultura del lavoro”, “autostima”, “filosofia” (ma dai, Sacchi, su!) “leadership“, lemma comunque usato ed abusato a proposito e a sproposito, mi chiedo quanto e che cosa sia farina del suo… sacco. Mi è venuto bene l’involontario bisticcio retorico, vero?
Supò, Sac, sei un guru da poco

E via dilettandomi.

Post correlati

0 Comments

Leave a Reply

XHTML: You can use these tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>