Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Rappresentare chi? Come?

Caro sindacalista,

mi sei caro perché ti conosco non poco, e so che ti occupi di cose importanti riguardanti molti altri. A volte resti un poco indietro, ma poi recuperi. Almeno fino a ora sei riuscito a farlo.

Ma è sempre più difficile. Il mondo sta vorticosamente cambiando, il lavoro pure, i lavoratori di più: sono sempre più acculturati, sempre più distanti dagli schemi classici della rappresentanza sindacale. Oppure no, in certi casi: semplicemente egoisti, specie quelli già tutelati.

Ora ti sei messo d’accordo con i tuoi colleghi sulla “rappresentanza“. Tema importantissimo, perché se questa va in crisi, va in crisi tutto il sistema democratico. Se chi si affida a te perché hai mostrato competenza e passione, poi non ti segue più, vuol dire che c’è qualcosa che non va.

Non può neanche consolare il fatto che oggi sia in crisi la rappresentanza politica ancora di più di quella sociale o sindacale, che la Chiesa stessa stia cercando una dimensione dialogica più adatta ai tempi secolarizzati che viviamo.

Però, hai aspettato vent’anni, trent’anni prima di metterti d’accordo con i tuoi colleghi su come si rappresentano i lavoratori.

Benissimo che ora ci sia un regolamento attuativo dell’articolo 39 della Costituzione italiana. Benissimo, ma non basta. Sono d’accordo che tu abbia messo una soglia del 5% degli iscritti al tuo sindacato per definire il diritto di rappresentanza, e una congrua presenza di tuoi iscritti tra le Rappresentanze Unitarie elette dai lavoratori.

Ottimo, ma non basta. Ora occorre un altro “salto”, a partire, secondo me, da una razionalizzazione delle strutture di servizio: perché non pensare a un progetto di medio periodo per un unificare i “servizi”, i Patronati, i Caaf, le Agenzie che ogni sindacato gestisce da solo. Questo permetterebbe di essere presenti in modo più efficiente e di qualità ovunque, senza fare della concorrenza inutile.

Ma c’è di più: bisogna pensare anche alla dimensione politica: a ventiquattro anni da “Berlino”, e dal suo simbolo infranto dalla Storia, quanto più forte sarebbe un Sindacato unitario, anche se riccamente nutrito delle varie “culture politiche”  prodottesi nel tempo, invece della frammentazione attuale.

E infine, c’è il tema della preparazione culturale dei sindacalisti, e anche della loro selezione. Il Sindacato, oggi più che nel passato, in modo inevitabile, deve confrontarsi con la complessità e il cambiamento, con scolarizzazioni più elevate, con persone di etnie differenti, culture, culti religiosi e sistemi valoriali plurali.

Come potrà farcela se il dialogo non funziona? Come fare per rappresentare queste persone?

Studiare, studiare, studiare, con lo spirito socratico ispiratore del “sapere di non sapere“. E non temere di innovare -anche radicalmente- le organizzazioni, le metodologie, le prassi operative, lo stile della comunicazione e la qualità della relazione intersoggettiva e con i gruppi.

Buon lavoro,

 

tuo Renato

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