Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Strutture catto-comuniste?

Caro lettore,

par proprio che certe strutture dello Stato odino l’economia nelle sue espressioni organizzate, come le aziende.

Nella situazione odierna, criticissima perché è in atto una rivoluzione su scala planetaria degli assetti del lavoro, delle produzioni e dell’economia, le aziende soffrono, i lavoratori soffrono, vi è disoccupazione, insicurezza, che è causa di riduzione dei consumi (e fin qui anche nulla di male), ma perfino dei consumi primari.

La gente ha paura.

Ma in questo contesto difficile, sembra che alcuni uffici pubblici non abbiano il senso delle cose, manchino proprio della cognizione di ciò che sta succedendo.

Sto parlando di certi controlli in aziende che nulla hanno da nascondere, e che sembrano fatti per trovare comunque qualcosa che non va sotto il profilo civilistico, penale, fiscale, (fermo restando che lo Stato deve stanare i furbi e gli imbroglioni ovunque si annidino).

E ciò accade mentre lo Stato stesso deve oltre 70 miliardi alle imprese che hanno lavorato per la Pubblica Amministrazione (stamani pare che il Governo ne stia smobilizzando 20 per quest’anno), imprese che boccheggiano, e se non provviste di capitale circolante, che oggi le banche (brutte bestie!) negano, rischiano di morire, non di debiti, ma di crediti!

A volte mi vien da pensare che effettivamente sia diffuso in quegli ambienti un sentimento che certa pubblicistica un poco raffazzonata descrive con un termine impreciso, ma evocativo ed efficace come “cattocomunismo“, linguisticamente una crasi tra cattolicesimo e comunismo.

Sotto il profilo teorico vi è molto da discutere di questa parola, poiché pare arbitrario avvicinare due mondi ideali così diversi, distinti e distanti come il cattolicesimo (che significa in greco “verso il tutto“), e comunismo il cui significato socio-politico è fin troppo noto.

Ma così è: probabilmente chi ha promosso il termine (non ricordo chi sia stato, forse Giorgio Bocca negli anni ’70?), ha cercato di creare una crasi tra la tradizione comunista, che aborre la proprietà privata dei mezzi di produzione e di conseguenza il frutto della sua messa in opera, il denaro, e la tradizione cattolica, che in certe sue pieghe ha talvolta ritenuto il denaro come opera del diavolo.

Invece così non è, come insegna lo stesso Maestro nostro di Nazaret, che dialogava con tutti, farisei e pubblicani, poveri e ricchi, che giudicava per come avevano il cuore, e chiedeva se questo fosse di pietra e o di carne, come anche san Paolo ricordava.

E’ chiaro che non di odio si tratta, ma di insipienza organizzativa.

Però il sospetto resta. E forte.

Lo dico da socialista riformista cristiano, consapevole della bontà dei beni (e anche del denaro onestamente guadagnato) in base al loro utilizzo, secondo un’etica del fine, dove questo fine è l’uomo stesso.

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