Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

vaffanculo, ovvero va a fa’n culo (eh?)

bottegaCaro lettor,

non è che la mia prosa sia  scivolata così grillinamente in basso. Gli è che ogni espressione ha un’origine, un fomite, un primo pronunziante l’espressione stessa. Nel caso, lungi da esserlo stato il comico politicante, si può far risalire il detto, forse, al Rinascimento italico. Si sa che gli artisti, dai maggiori a quelli più andanti, operavano a bottega con dei garzoni, aiutanti, giovani mandati lì dai padri, per i quali questi ultimi pagavan pigione e anche l’istruzione professionale del “maestro” pittor, o scultor, o fabbro-ferraiol-armaiol che fosse.

E allora cotesti giovini stavano lì rispettosamente, non com’è in uso ai nostri tempi che si dan perfin le terga al professore in aula, in ascolto attento dell’artigiano-artista che li aveva accolti, a volte come figli, per imparare un’arte.

Nelle botteghe dei pittori fiorentini o veneziani molti giovini operavano: pare che Jacopo Robusti, il sommo “Tintoretto”, ne avesse un tempo fino a quaranta. E che facevano costoro per li primi tempora? Preparavano le malte per l’a-fresco, sminuzzavano il lapislazzuli e il carminio per gli azzurri e i rossi, e per tutti gli altri colori, e dopo un po’ di tempo il magistro li invitava a tirar di rosso e blu i mantelli e i cieli e l’acque, fino a che non avessero imparato la lezione.

Sol dopo anni di duro esperimento, veniano invitati a provar la forma umana, ma non le mani, li piedi e i volti, ché eran ancora compito del capo, ma forse le terga delle figure umane e animali, che son più tonde e facili da fare.

E allora, nelle botteghe piene di colori e tele e pennelli e secchi, si poteva udir il perentorio invito del maestro: “Zuane, va a fa’n culo (eh?)!, nel senso di procedere alla dipintura delle terga di una figura umana o di cavallo, o animal altro che fosse.

Oggi l’espressione ha assunto un significato che ha nitor d’insulto, e un senso ambiguo e sessualmente inteso, ma così non era.

E adunque, come possiamo mettere le cose? Dirla ancora come un tempo? Ovvero tener per buono il nuovo senso? Sia come sia, è difficile astenersi dall’uso attual, per tutti i diavoli, e per i loro accolti umani che meritano l’invito, pure troppo gentil, talora.

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