Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Mundi gloria immerito victoribus transit, aeterna his qui non agniti vicerunt

Caro Roberto, supermassimo italiano: gli inglesi si sono confermati vieppiù nazionalisti e prepotenti, tali quali sono dai tempi di Elisabetta Prima, convinti di essere sempre i migliori: Joshua aveva perso e gli hanno dato la vittoria. Lascia perdere, il mondo ha visto la verità e lo scandalo.

Allontanati adesso in punta di piedi, perché chi non ti vuole non ti merita: la gloria fasulla (quella del tuo avversario e della poco nobile nazione ospitante) sparisce in un lampo.

…e se ti capita leggi qui sotto il Proemium del mio prossimo libro, una raccolta di articoli pubblicati in quasi dieci anni su un quotidiano del Friuli, in una rubrica ora venuta meno senza una spiegazione, nel silenzio assoluto, in un assordante agostano stridire di cicale.

Quando finisce un lavoro di solito si tira una riga e si fa un bilancio. Dopo quasi dieci anni è terminata silenziosamente la mia rubrica sul Messaggero Veneto “Gente&Lavoro”. Mi era stata chiesta in ragione di mie conoscenze e competenze in tema. Per sei o sette anni mi è stata addirittura pagata, e negli ultimi tre si è trattato di puro volontariato.

Ora, senza che alcuno del giornale si peritasse di dirmi qualcosa, la rubrica è finita. È morto il re viva il re. È sempre una liberazione qualcosa che finisce. La morte in primis. Forse intuisco pure la ragione del finire: non sono in linea con la Pravda (“verità” in russo) del padrone. 

In questo caso la fine di un lavoro è perfino liberatoria, dopo un numero di anni e di articoli, circa centosettanta, adeguato e sufficiente a scrivere una storia. Le storie finiscono, tutte, perché sono semplicemente umane, come insegna il biblico Qoèlet. Le storie finiscono e ricominciano sotto altre spoglie e per altre ragioni, ma sono altre storie. Sono sempre stato un cultore delle fines historiarum: non mi sono mai fatto beccare dalla greca τύχη, la neutra sorte dei nostri destini, obsoleto o stanco di stare lì. Mi compiaccio di avere sempre anticipato l’obnubilamento della mia presenza in loco, in ogni ambito.

Sapendo del mio ingombro ho sempre scelto di stare in punta di piedi nei luoghi della vita, sempre con la cintura ai fianchi e il bastone in mano, pronto a partire, come il Signore insegna agli Israeliti in cammino. In viaggio, in transito, di passaggio, precario, quasi effemeride sotto il profilo dell’eternità, mi sono mosso nel mio tempo e tra le persone. Venuto al mondo per scomparire, anche se il mio essere è immortale.

Ho preferito spesso la distanza e il silenzio. Ho considerato gradevole il distacco e l’allontanamento, creativo il ripensamento e il ritorno per altre e segrete vie. Ho sempre scelto la diagonale piuttosto che i lati ad angolo retto, ma non per risparmiare tempo ed energie, solo per transitare lungo vie sconosciute e impervie ubi sunt leones, i leoni dell’incognito e dell’imprevisto, condizionato sempre dalla mia finitezza, ma fiducioso dell’infinita possibilità di invenire nuove strade di conoscenza.

Il destino mi ha accompagnato leggero dandomi un peso tale da non curvarmi, dandomi uno sguardo tale da non accecarmi, sempre grato alla mia natura genetica per la miopia, qualità atta a sfumare i contorni del reale, specialmente quando è sgradevole. Non bisogna esagerare con la vista e con l’udito, perché ci si potrebbe schifare del mondo, e a volte anche di se stessi. Se il tempo mi ha segnato, come è naturale che sia, le rughe sono dissimulate da una specie di sorriso che lo scorrere degli anni mi ha lasciato in dono, e che mi esce spontaneo. Raramente, così come è stato della compagnia del riso. Ma va bene così, al mondo riso e pianto si equilibrano: io ho portato un contributo moderato all’uno e all’altro”.

Caro Roberto, anche tu sei immortale come ogni anima creata.

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