Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Dei Diritti, uno scivolamento semantico

La constatazione di una “crisi culturale[1] strutturale”, la quale è costituita da più elementi: crisi di identità individuale e sociale, incertezza sul futuro, declino demografico, etc., dà conto di una prima, attuale “circolarità negativa” visibilissima, che si può ritenere -nel contempo e reciprocamente- causa/effetto di assoluta evidenza.

Questa “circolarità negativa” si manifesta nel modo di essere delle persone, nelle loro incertezze, nel disorientamento diffuso, nella difficoltà di comprendere i macrofenomeni della mondializzazione e del rimescolamento etnico-religioso-culturale in atto, e, infine, nella messa in questione di principi (o valori o, per meglio dire, virtù) che fino a pochi decenni fa apparivano fondamentali (umiltà, disponibilità all’ascolto, obbedienza, prudenza, e così via).

Probabilmente la “matrice essenziale[2] di tale crisi è individuabile innanzitutto nella prospettiva pseudo-razionalista di uno scientismo che -con la sua arroganza[3] ha finito per mettere in questione le stesse condizioni di possibilità di una epistemologia cognitiva aperta, cioè di un processo di conoscenza del reale “certa ed evidente”, e nel contempo disponibile ad ammettere condizioni di impossibilità di mostrazione empirica di tutto ciò che si osserva. Infatti, la prospettiva pseudo-razionalista pone come unicamente plausibile una conoscenza derivante solo dalla sperimentazione scientifica tout court.

Questa impostazione, negando ogni valenza di dignità razionale a ciò che sfugge all’analisi scientifica così com’è oggi, impoverisce in maniera decisiva la possibilità di approcci umanistici integrati, che comprendano anche la realtà della ricerca spirituale delle filosofie e delle religioni, bellamente ignorando che il “senso del sacro”, come insegnano anche gli antropologi atei, appartiene all’uomo di tutti i tempi e di tutte le regioni del mondo.

Ciò ha inficiato -conseguentemente- anche la possibilità di declinare un “sapere etico” fondato su “principi di certezza”, come scienza del giudizio sull’agire libero dell’uomo, dove l’uomo stesso è soggetto e oggetto del suo agire, e fine prossimo dell’agire stesso.[4]

L’impossibilità di una “conoscenza certa ed evidente” dei principi pone in questione l’insieme del processo cognitivo dell’essere umano.

I dibattiti infiniti (e ferocemente ideologici) sui temi di “etica della persona”, cioè sulla vita umana, di questi ultimi anni, lo testimoniano.

La vicenda di Eluana, la fecondazione assistita, l’aborto, il tema delle droghe sono stati e sono temi raramente declinati con il criterio dei saperi interdisciplinari (filosofia, diritto, biologia, medicina, etc.), e più spesso sono stati oggetto di furibonde polemiche, grida scomposte e liti politiche.

Ciò sta anche a significare come lo stesso, tuttora immenso e in molte parti del mondo negletto, tema dei “diritti fondamentali della persona” (a sessantadue anni dalla Dichiarazione dell’ONU) stia semanticamente scivolando verso una accezione tesa a sottolineare prioritariamente i “diritti civili individuali” (testamento biologico, matrimonio gay, etc.), perdendo progressivamente di vista ciò che costituisce il fondamento dei diritti stessi, l’aggancio alla politica e al sociale, la sua natura comunitaria e collettiva (diritti politici e sociali).

Un altro aspetto della “deriva culturale attuale” è costituito dalla pervasività della comunicazione [5], resa possibile dalla Rete globale e dagli strumenti connessi, oramai alla portata di tutti. Sta perfino crescendo la generazione dei “digitali nati”, dodici/quindicenni che preferiscono la comunicazione informatica al dialogo diretto con l’altro.

Il rischio di questo scenario è duplice:

–         innanzitutto, a) proponendo una massa smisurata di informazioni rende molto difficile l’individuazione di criteri di scelta e discernimento tra le notizie e i dati disponibili,

–         e b) sposta il focus della comunicazione dal suo stesso fine che è la relazione dialogica -che prevede un adeguato “investimento emotivo”- allo strumento, con una confusione perniciosa di mezzi e fini: il telefonino con il quale si producono sms diventa il canale privilegiato della relazione intersoggettiva, non solo della comunicazione operativo-formale.

Da ultimo, si può dire, che anche la politica ci mette del suo: da un lato con la tendenza alla personalizzazione delle opzioni partitiche (abbiamo sempre più “cognomi/simbolo di partito”, o loghi che cambiano al variare della loro “vendibilità” politico-elettorale) e al rischio di creazione di nuove oligarchie, dall’altro con l’incapacità di declinare un riformismo reale, che esca dalle dichiarazioni per incarnarsi in fatti e decisioni coraggiose (si veda il conservatorismo di certi “sindacati e partiti progressisti”, e l’ossimoro ci sta tutto!).


[1] In questo caso l’aggettivo “culturale” va inteso tenendo conto del campo semantico di maggiore ampiezza (come nel termine tedesco di “Kultur”), che comprende l’insieme degli elementi che costituiscono il “modo d’essere di un popolo”, non solo nel senso più ristretto di “insieme di saperi”. Va inoltre considerata principalmente come una “specifica” del nostro mondo occidentale, pur non essendone esenti gli “altri mondi”, come l’Islam o l’Oriente, che è destinato nei prossimi decenni ad una primazia planetaria, e non solo sul piano economico.

[2] Nel senso proprio di “datrice di sostanza, di effettività”.

[3] Cfr. certe affermazioni e scritti recenti di U. Veronesi, R. Dawkins, M. Hack, P. Singer, e, per certi aspetti, anche P. Odifreddi, P. Angela e altri. Con ciò non si vuole certamente dire che la ricerca scientifica non debba procedere, così come si muove l’intelligenza umana, ma agendo su uno sfondo di umiltà, sola virtù che fa accettare il limite connesso con l’intelligenza stessa dell’uomo.

[4] Andrebbe indagato con cura anche un certo “lascito sessantottino”, soprattutto per la perdita di vista di una corretta antropologia delle relazioni: la confusione padre/amico nasce da lì con conseguenze perniciose.

[5] Un altro elemento da approfondire è il ruolo della televisione, che in questi ultimi trent’anni ha contribuito a sedimentare un humus culturale -peraltro in tutto l’Occidente e non solo- che ha favorito la perdita di vista di una autonomia di giudizio e di scelta personale. Parliamo del condizionamento psicologico e morale individuale e collettivo provocato dal sistema mediatico.

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