Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La guerra di Pietro

Konijc (Bosnia), 1943

Partiti nottetempo per destinazione ignota dal porto di Ancona, il IV Reggimento bersaglieri aveva raggiunto il porto di Valona in Albania. La nave era salpata al crepuscolo e aveva navigato tutta la notte, completamente al buio per non offrirsi bersaglio agli aerei alleati. I soldati non avevano dormito granché, appollaiati qua e là sul ponte. Qualcuno fumava. Qualche gruppetto accennava un canto. Pietro si era messo a prua perché voleva vedere la costa dove sarebbero arrivati. Un’idea ce l’avevano, sapendo che l’Italia era in guerra nei Balcani. Si trattava di sapere in quale porto sarebbero arrivati.

Pietro era mitragliere servente al pezzo, soldato scelto, perché durante la leva a Palermo lo avevano addestrato sulla Breda 20 millimetri, che era micidiale, come urlava inorgoglito il sottufficiale istruttore.

Papà mi diceva che non era diventato caporale per la sua timidezza, ma il colonnello comandante lo voleva sempre vicino. perché si fidava di lui. Non come attendente ma quasi guardia del corpo. Il colonnello morì, spezzato in due da un colpo di obice nei pressi del lago di Konijc. E fu lì che accadde l’episodio più tremendo della guerra di mio padre. La guerra di Pietro.[1]

Il suo racconto, che così scrivo a memoria.

Una notte Pietro era di guardia, fucile a tracolla con il colpo in canna e la baionetta inastata. Le ore passavano nel buio caldo e pieno di rumori, non quelli delle cannonate del giorno, ma quelli di movimenti furtivi che la notte non riusciva a nascondere. Commilitoni che uscivano dalle tende, qualche ordine secco dei sergenti, magari il colonnello che, insonne, si aggirava per il campo. Bisognava stare sempre all’erta, perché il “nemico” non era riconoscibile a uno sguardo: gruppi diversi combattevano e si combattevano. Partigiani comunisti, nazionalisti cetnici, sbandati dell’esercito monarchico jugoslavo, situazioni dove i cecchini potevano approfittare di un fuoco o di una lampada imprudentemente lasciata accesa. Tutti potevano indossare diverse divise e così ci si confondeva. Anche divise di nemici uccisi. Ci poteva essere un cetnico vestito da alpino…

Pietro stava pensando al giorno prima, quando aveva assistito alla fucilazione di alcuni partigiani jugoslavi. Aveva ringraziato il Signore di non essere stato scelto per il plotone di esecuzione. Si chiedeva spesso, Pietro, che cosa ci facessero là gli Italiani, a casa d’altri.

E capiva ancora meno la spedizione in Russia, dove avrebbe potuto pure esserci. Era stato il colonnello a volerlo in Jugoslavia. Questi pensieri gli avevano impedito di raccontarmi questi fatti tragici fino a dopo i miei vent’anni. Un sorta di senso di colpa, feroce, silenzioso, tremendo.

Fu un attimo. Si sentì all’improvviso aggredire da dietro, un uomo lo aveva preso per il collo e cercava di buttarlo a terra. Pietro si divincolò e si liberò. L’aggressore aveva in mano un grosso coltello da caccia[2] e cercava di colpirlo. Fu una lotta breve. Pietro schivò un fendente e colpì a sua volta con la baionetta al torace quel ragazzo, che piombò a terra in una pozza di sangue. Pietro [e questo lo immagino io] non sapeva che fare, con quel morente davanti agli occhi, scuro di capelli, suo coetaneo, più o meno, un turco-bosniaco o montenegrino, probabilmente.

Chiamò il sergente di turno che arrivò e allertò immediatamente una squadra per sincerarsi che non fosse in atto un attacco diversificato.

Mandò Pietro in tenda riposare e lo sostituì al posto di guardia. Pietro non voleva andarsene, ma ubbidì. Non riusciva a dormire, tormentato dai pensieri. Mi disse: “Renato, vevi copât un fantat c’al ere a cjase so, e iò no.[3] E lo ripeté un paio di volte prima di zittirsi. Con dolore antico. Poi mio padre mi disse che era stanco e che voleva andare a dormire.

Forse si trattava di quel sonno che non aveva avuto in dono quella notte maledetta sul lago di Konijc.

Pietro era sicuro di poter avere ucciso dei “nemici” con la “sua Breda”, ma questa era un’altra cosa, non li aveva mai visti in volto quei soldati morti, perché un’arma da fuoco potente allontana il soldato dalla sua vittima, è un’arma terrificante, spietata e letale, mentre un duello all’arma bianca all’antica è personale, quasi “intimo”. Diventi fratello di sventura della tua vittima… questo cercava di farmi capire papà.


[1] Echeggiando De André.

[2] Questo aspetto potrebbe suggerire che si trattava di un partigiano aggregato da poco ai reparti.

[3] Friul.; Renato, avevo ucciso un ragazzo che era a casa sua, e io no.

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