Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

A Berceto un festival del pensiero pensante e pensato

… in un borgo appenninico dove si è svolto il Primo festival nazionale della Coscienza, sull’onda di una ripresa filosofica italiana molto interessante. Modena, Sarzana e altre località già da anni offrono occasioni di pensiero pensante, quasi facendo a gara per riportare al centro il diritto alla conoscenza argomentativa e logica in un tempo di crisi del linguaggio e delle relazioni interumane.

Sono tra i relatori con illustri colleghi come Boncinelli e Galimberti, e ne sono onorato. Ospite invitato, mi dicono, per la mia presenza sul web e una biografia e bibliografia di studioso pratico, si vede, per loro interessante. In Friuli un poco meno (sorrido).

A oltre ottocento metri, sull’Appennino parmense che già odora di mare, lungo l’antichissima via Francigena, e il fresco dei boschi concilia il sonno e la riflessione. Son venuto solo, la filosofia è anche solitudine, anche se non sempre. A volte è condivisione, confronto, a volte ricerca della solitarietà e del silenzio.

Devo parlare della “coscienza morale”, di che cosa si intenda oggi e nella storia per coscienza, per quel luogo dello spirito dove si decide tramite un giudizio circa la bontà o malignità delle azioni umane. Parlare della coscienza oggi può apparire perfino inattuale, vista la confusione lessicale e teoretica in essere. Oggi sembra si possa ammettere ogni scelta purché possibile, alla volontà umana o alle tecno-scienze, superando sempre i limiti posti dai costumi etici e dal diritto di migliaia di anni.

Non so come andrà a finire, anche perché non “andrà mai a finire”, o almeno non siamo nelle condizioni di poterlo ipotizzare. Solo i media da strapazzo e i non-pensatori di ogni genere  e specie riescono a ipotizzarlo. Troppe sono le varianti, innumerevoli i vettori causali, imprevedibili le decisioni e le azioni umane, per poter ipotizzare come si porrà tra qualche tempo la dimensione etica e quindi la coscienza nella vita degli esseri umani.

In un certo linguaggio teo-filosofico si può dire che la coscienza è la persona stessa, non di più e non di meno.

La strada che conduce al paese è tortuosa come anche in certe zone delle nostre montagne furlane, tipo le Valli favolose, e chi mi conosce sa quanto mi sono care. La montagna è boscata con ampie zone di scisti scuri. Il paesaggio silente, due auto sole incrocio da Borgotaro a Berceto, e poi l’accoglienza amicale, mi riconoscono dalle immagini del blog, Renato, caro professore possiamo darci del tu? Come no?, giro per stradine, la Collegiata di San Moderanno, antichissima, VIII secolo, dei tempi del re longobardo Liutprando, il castello diruto su in alto. Cammino sugli spalti come un armigero e godo la brezza delle antiche montagne.

Mi presenta Mariangela dell’editore Guanda, che bello, dicendo due cose di me che mi fanno pensare come il lavoro paghi, sempre, la fatica, e il ricordo di chi mi ha dato la genetica e la forza per studiare. Chi, se non i miei genitori? E chi ha avuto pazienza di sopportarmi in questi decenni.

Ecco il pezzo clou del mio intervento, letto lentamente nell’attenzione degli astanti…

“—Nei giorni di ciascuno di noi, quando il silenzio ci aiuta nella riflessione interiore, quando si riesce ad abbandonare lo strepito quotidiano, sorge dalle profondità dell’anima un fiotto irrefrenabile, come una colata di lava incandescente, come un torrente reso turbinoso dalla piena. Pensieri, rimorsi, ipotesi, pentimenti, moti d’ira raffrenati, intuizioni … e poi é come se, su tutto questo materiale confuso, si ergesse un giudice pacato e severo: la nostra coscienza. Per giorni, settimane, mesi, a volte anni, essa tace, avvolta nell’oscurità dell’anima, nel torpore di una volontà ferita, ma a un certo punto essa riemerge, senza prepotenza, —senza iattanza, in punta di piedi, quasi per non disturbare. E allora lentamente illumina l’ombra profonda che c’è dentro di noi, prima con barlumi infinitesimi, che ci permettono di intravedere qualcosa, e poi con sempre maggiore vigore ci mostra la nostra condizione. —Fino a che non riusciamo a vedere con chiarezza ciò che prima era avvolto dalle caligini, avviluppato dalle panie della nostra cecità. Ci mostra il male che è dentro di noi, la nostra superbia e la nostra cupidigia, madri maligne delle cattive azioni che abbiamo compiuto. —Siamo stati superbi e dunque abbiamo smesso di ascoltare, di imparare, di avere attenzione per noi stessi e per gli altri, travolti da quella che pensavamo fosse una vera, sana attenzione per noi stessi. Siamo stati cupidi e dunque abbiamo desiderato per noi beni sbagliati, finiti, disordinati, pensandoli adatti alla nostra vita. Abbiamo messo la sordina alla retta ragione scambiando il male con il bene.

—Come impostare allora la vita, allorquando, alla fine di un lungo tunnel male o punto illuminato, si trova la via d’uscita? Non certo pensando di avere sconfitto tutta l’umana fragilità che è in noi, che ci costituisce, almeno parzialmente. Essa è parte non eliminabile della nostra struttura personale, e ci rende cagionevoli, bisognosi di aiuto. Essa è uno specchio nel quale ritrovare la via dell’umiltà, che si oppone alla superbia come il bene al male. Il problema che ci sta di fronte è come riuscire ad armonizzare ricomponendo le nostre straordinarie facoltà di esseri intelligenti, cioè come ricostruire la nostra identità creaturale.

—Lo sforzo è grande e non privo di incertezze, cadute, ripensamenti, stanchezza. La perseveranza è la virtù da invocare e praticare. Proprio quando sembra che non ce la facciamo, che l’impegno sia troppo grande, smisurato, allora capita che ci accorgiamo di avere fatto un passo avanti, magari impercettibile. Ciò che fino a qualche tempo prima ci pareva nebuloso e incerto, comincia a stagliarsi alla nostra coscienza con un certo nitore.

—Ecco: la cosa giusta da fare è questa. Lì mi stavo sbagliando… La coscienza non ha voce stentorea, più spesso fa fatica a varcare la soglia della nostra percezione interiore, perché siamo affannati a fare mille cose, frastornati da innumerevoli interessi e incombenze. E non ci mettiamo in ascolto.

—Ma la voce (la coscienza) è resistente. E capace di emergere nei momenti di silenzio, quando finalmente fermiamo il nostro attivismo e ci predisponiamo al riposo. Occorrerebbe andarle incontro ogni giorno. Donarsi momenti di contemplazione e di cura del nostro spirito, fermandoci a osservare le cose, gli altri, il mondo, ma da fermi. In silenzio. E valutare le nostre azioni, soppesarle, confrontarle, chiedendoci se sono state congrue con il nostro esistere, se sono state buone, per noi e per gli altri.

—I credenti di tutte le religioni e i seguaci di tutte le etiche dei valori lo chiamano esame di coscienza, o giù di lì, ciò che è il solo modo che permette a quella presenza avvolta nella nostra oscurità interiore, di uscire dalla latenza cui spesso la costringiamo, per illuminare finalmente la nostra via di una luce pura.”

E poi la declinazione delle varie etiche, tra libero arbitrio e cultura degli uomini, tra scienza e fede, dialogando con un pubblico attento e rispettoso.

Son venuto via dal borgo montano, leggiero, in fronte la brezza sottile del mistero e del vento. Dove tornare.

 

(di seguito i Power Point utilizzati, anche se solo in parte)

la Coscienza morale2

la Coscienza morale3

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