Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Occorre concordare e stipulare tra tutte le Nazioni del mondo (anche extra ONU) un accordo tipo “Nuova Jalta (oYalta)”… e fors’anche una sorta di “nuova jalta” della comunicazione tra le persone e tra i popoli

Ne parla Massimo Cacciari da qualche tempo. Opportunamente.

“Jalta” ha rappresentato nel 1945 il nuovo “Ordine mondiale”, suddiviso tra le grandi “potenze” allora vincitrici del nazi-fascismo. Le tre figure, Churchill, Roosevelt e Giuseppe Stalin erano i capi di quelle Nazioni. Di quelle tre potenze ne sono rimaste due, gli USA e la Russia (per l’ex URSS), perché la Gran Bretagna è oggi, e oramai da decenni, una media potenza, anche se possiede l’arma nucleare.

Devo dire che, personalmente, tra le persone rappresentate nella famosa foto (sotto riportata) mi dà abbastanza fastidio Churchill, di cui ricordo non solo i meriti da premier durante la guerra, ma anche il suo radicale razzismo e spirito colonialista presenti, soprattutto nella prima fase della sua vita politica, e in seguito a lungo. Né dimentico il suo sprezzante e spregevole giudizio verso l’Italia e gli Italiani. Mi sarebbe piaciuto che il carteggio tra lui e Mussolini non fosse andato perduto: ne avremmo letto delle belle, circa il suo spirito democratico, si può ragionevolmente ritenere.

Per documentare il mio gentile lettore, riporto di seguito nel dettaglio gli accordi ufficialmente raggiunti a Jalta:

  • una dichiarazione in cui si affermava che l’Europa era libera, e che invitava allo svolgimento di elezioni democratiche in tutti i territori liberati dal giogo nazista;
  • la proposta di una conferenza (da tenere nell’aprile 1945 a San Francisco) in cui discutere l’istituzione di una nuova organizzazione mondiale, le Nazioni Unite (ONU); in particolare a Jalta si considerò l’istituzione del Consiglio di sicurezza, di cui fecero parte le Nazioni vittoriose;
  • lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania, visti come “prerequisiti per la pace futura”; lo smembramento (che prevedeva che USA, URSS, Regno Unito e Francia (non ho mai capito questo gran ruolo della Francia, che è stata una potenza sconfitta quasi come l’Italia, ma si trovò dalla parte “giusta” al momento giusto, non con il generale Petain ma con il generale De Gaulle) gestissero ciascuno una zona di Occupazione) doveva essere provvisorio, ma si risolse nella divisione della Germania in Est e Ovest che finì solo nel 1990;
  • furono fissate delle riparazioni dovute dalla Germania agli Alleati, nella misura di 22 miliardi di dollari;
  • in Polonia si sarebbe dovuto insediare un “governo democratico provvisorio”, che avrebbe dovuto condurre il paese a libere elezioni nel più breve tempo possibile;
  • riguardo alla Jugoslavia, fu approvato l’accordo fra Tito e Subašić (capo del governo monarchico in esilio), che prevedeva la fusione fra il governo comunista e quello in esilio;
  • i sovietici avrebbero dichiarato guerra al Giappone entro tre mesi dalla sconfitta della Germania; in cambio avrebbero ricevuto la metà meridionale dell’isola di Sachalin, le isole Curili e avrebbero visti riconosciuti i loro “interessi” nei porti cinesi di Port Arthur e Dalian;
  • tutti i prigionieri di guerra sovietici sarebbero stati rimandati in URSS, indipendentemente dalla loro volontà.

Inoltre in Romania e Bulgaria furono insediate delle Commissioni Alleate per governare tali Paesi, appena sconfitti. Nella relazione finale venne inserito l’impegno a garantire che tutti i popoli potessero scegliere i propri governanti, impegno palesemente disatteso nei decenni successivi.

Gran parte delle decisioni prese a Jalta ebbero profonde ripercussioni sulla storia mondiale fino alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991. Per quanto, nei mesi immediatamente successivi, sovietici e anglo-americani avessero proseguito con successo la loro lotta comune contro la Germania nazista e l’Impero giapponese, molti storici hanno considerato la conferenza di Jalta il preludio della Guerra fredda. Giudizio oltremodo plausibile.

Ancora oggi, nei manuali di storia la conferenza di Jalta viene descritta come l’evento epocale in cui i tre leader mondiali si spartirono l’Europa in sfere d’influenza, benché fosse già chiaro, sulla base dell’andamento militare del conflitto, che l’Unione Sovietica sarebbe stata potenza dominante nell’Europa Orientale e Centrale. Tale stato di cose era stato deciso prima dalle vittorie sovietiche sui campi di battaglia del Fronte orientale nel 1942-1944, poi dall’incapacità o non volontà degli Alleati di aprire un reale secondo fronte fino allo sbarco in Normandia del giugno 1944. Altri studiosi invece ritengono che si debba far riferimento agli accordi raggiunti alla Conferenza di Teheran nel novembre 1943, cui seguirono quelli presi a Mosca nell’ottobre del 1944, come vero inizio della divisione del mondo in blocchi contrapposti

Per  l’ambasciatore Sergio Romano furono tre le ragioni che hanno creato il “mito di Jalta”:

  1. Uno scritto del 1958 di Charles De Gaulle, che recita: La sovietizzazione dell’Europa Orientale non era che la conseguenza fatale di quanto era stato convenuto a Jalta. Il generale francese Charles de Gaulle fu profondamente irritato per non essere stato invitato a Jalta.
  2. Il Partito repubblicano americano dell’epoca, per vocazione anti-rooseveltiano. In opposizione al Presidente degli Stati Uniti, questo partito sostenne che Franklin Delano Roosevelt abbia presenziato al vertice già stanco e malato, e quindi si sia lasciato convincere da Stalin a cedergli metà dell’Europa occidentale (metà del continente europeo costituiva l’URSS europea).
  3. La propensione dell’uomo a trovare sempre un unico fatto che spieghi tutto, un’unica causa degli eventi, quando invece «le vicende storiche sono il risultato di una molteplicità di fattori che sfuggono quasi sempre al loro controllo».

Le valutazioni storiografiche sulla conferenza in Crimea sono state fin dall’epoca dei fatti ampiamente discordanti.

Ora, la situazione mondiale è fuori dal controllo delle vecchie “grandi potenze”. Neanche l’ultima di queste, e la più potente, gli USA, hanno l’influenza economico-politico-militare anche solo di venti o venticinque anni fa, come era ancora ai tempi del Presidente Bill Clinton, che fu l’ultimo ad avere voce nella definizione di importanti accordi concernenti gli scenari più delicati e pericolosi del Pianeta, si pensi a Oslo-1995, con le intese fra Israeliani e Palestinesi.

Il mondo è profondamente cambiato, sotto molti profili, politico, economico, sociale, culturale

C’è il politically correct, con la sue distorsioni concettuali e valoriali, con la sue “narrazioni” insensate, come la cancel culture. Spiegare ai giovani e ai ragazzi come sono andate le cose in passato partendo dall’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo è profondamente stupido, prima che irrispettoso dei fatti e del giudizio sui fatti, dei sentimenti di chi nel tempo ha gestito territori e nazioni. Certo è che l’uomo ha alternato guerre a brevi periodi pacificati (non di pace in senso stretto, quasi mai), ma sotto traccia c’è sempre stato un pensiero, anche se eticamente spesso non condivisibile: anche Genghis Khan aveva un pensiero politico quando aggrediva le immense plaghe asiatiche fino all’Europa, pensiero politico che non si può valutare in modo anacronistico, magari alla luce dei pacifismi odierni, che in molti casi sono a geometria variabile, forti contro qualche “aggressore”, ma debolissimi contro altri.

Anche oggi vi sono popoli dimenticati, come i Tibetani, gli Yanomani, i Kurdi, intere tribù centrafricane, etc., e vi sono dei popoli che non riescono a pacificarsi con i Palestinesi e gli Istraeliani, che possiedono parimenti il diritto naturale alla vita e a una Terra, a una Patria da amare, a una lingua, a un’economia, all’acqua, al cibo, a una “redenzione” totale del loro destino. Popoli che hanno la medesima origine storico-antropologica, semiti raccontati nella Bibbia e nel Corano, che adorano (più o meno) lo stesso unico Dio.

Abbiamo l’idiotissima “cultura woke“, sospettosa di ogni espressione men che vigilata, preludendo (speriamo di no) a una sorta di macro censura “democratica” sulle espressioni che disturberebbero sensibilità varie. Questa cultura dell’attenzione (come si traduce malamente) tenderebbe a rispettare tutto e tutti, illudendosi di poter togliere ogni minimissimo sospetto che vi siano pregiudizi o ingiustizie nelle espressioni narratologiche delle cose del mondo, passate, presenti e pro futuro.

Osserviamo una crisi profonda nei rapporti e nella relazioni inter-soggettive e tra gli stati. Pare sia sempre più difficile comunicare, mentre i mezzi e strumenti di comunicazione si moltiplicano, dalla telefonia a internet ai social, permanendo sempre la possibilità di conversare de visu, che resta il più efficace sistema di comunicazione, fonte più potente della relazione inter-soggettiva.

Stiamo vivendo, come da quasi un decennio afferma Papa Francesco, una Terza guerra mondiale a pezzi, dove si scontrano Nazioni, Eserciti più o meno regolari, combattendo guerre mai dichiarate, interessi economici, patrimoni finanziari ed energetici, che provocano milioni di vittime innocenti e generano migrazioni epocali assolutamente non “impedibili”, perché sono come maree da tsunami.

Una “Nuova Jalta” potrebbe dunque essere pensata considerando tre o quattro macro zone di influenza: USA, Russia, Cina, India e alcune micro zone, Iran, Pakistan, Sudafrica, Brasile, nei cui ambiti potrebbero essere ritenuti plausibili interessi comuni da tutelare ragionevolmente senza scontri frontali, ma stipulando accordi equilibrati sull’utilizzo delle risorse disponibili, sulla tutela dell’ambiente, che è patrimonio comune di tutti i popoli del mondo.

Si potrebbe partire dalla gravissima crisi Vicino-Orientale di queste settimane, decidendo finalmente ciò che il buonsenso aveva dettato oltre mezzo secolo fa. due Popoli, due Nazioni, due Stati, autonomi e sovrani, sul cui destino potrebbero impegnarsi in una forma di civile tutela, non tanto l’inerme e contraddittoria ONU, ma le potenze maggiori sopra citate (USA e Cina in primis) e le potenze regionali, come l’Egitto, la Turchia e la Saudi Arabia. Intanto. In attesa che la grande Persia Iraniana torni a consigli più dialoganti.

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