Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

“Il canto concorde del trovatore inesistente”, tra figli di madri e di padri ignoti

Qualche anno fa ho pubblicato una silloge generale delle mie liriche dal titolo sopra stante, ma solo fino alla virgola (Ed. Segno, Tavagnacco, Udine, 2017 ISBN 978-88-9318-197-6).

Solamente alla fine dell’articolo il lettore (forse non tutti) conoscerà il senso di questo pezzo, se saprà leggere non solo le righe, ma anche tra le righe.

Il caro Tarcisio Valentinis da Rivignano, storico locale di leggendaria acribia, in perfetta amicizia, utilizzando l’immenso archivio di schiatte e storie familiari di questa zona della Bassa Friulana, che ha raccolto e digitalizzato in oltre un quindicennio, qualche anno fa mi fece dono della mia genealogia dei Pilutto-Pilutti, a partire da un Marco-Mattia del 1550. Una ventina di generazioni trascorse fino a mia figlia Beatrice, di famiglie sparse lungo l’asta del Tagliamento, dalla friulanissima e dolce San Daniele in collina fino alla semi veneta Latisana.

L’occasione del racconto è la mia passione per le antiche storie e per la poesia, e la conferma è il fatto che mia figlia studi filologia medievale. In questo caso ho deciso, proprio per ambientare altre vicende e figurazioni di storie sconosciute (pur se probabili), di porgere al lettore una breve narrazione sui trovatori, che erano clerici vagantes, cantastorie, poeti di strada e di corte, perché in qualche modo sento verso di loro una certa analogia, nella e della mia vita. E, in un certo senso, che qui non posso svelare per prudenza, una affinità elettiva che si sovrappone alla realtà, perché anche io-sono un clericus vagans, che qualcuno non conosce (o fa finta di non conoscere), nonostante mi muova nelle sue vicinanze, silenzioso e guardingo.

Propongo, dunque, un’esegesi plausibile del semi-titolo, che svolgerò verso la fine, a quel punto suddividendo in questo modo i due sintagmi: a) canto concorde, b) trovatore inesistente.

Nei secoli XII e XIII, chiamati dagli storici Basso Medioevo incontriamo la figura del trovatore (o trovadore trobadore – al femminile trovatrice trovatora trovadora – in occitano trobador pronuncia occitana: trußa’ður, al femminile trobairitz pronunzia occitana trußaj’rits. Si trattava di un compositore ed esecutore di poesie e liriche in lingua occitana, la lingua d’oc, che era parlata in varie inflessioni territoriali in quasi tutta la Francia a sud della Loira.

Questi cantastorie, a differenza di tutti gli altri parlanti in pubblico, ecclesiastici e persone in vista, non usavano il latino, che era la lingua ufficiale dell’epoca. L’occitano era pertanto una delle tante “uscite” linguistiche volgari, cioè popolari, che si stavano sviluppando in tutta l’Europa dei Comuni, dei Monasteri, dei Feudi e delle prime Universitates Studiorum, sia che fossero di fondazione ecclesiastica o monastica come lo Studium Bononiense (voluto da Domenico Guzman, organizzato da Tommaso d’Aquino, frequentato, tra altri insigni teologi e filosofi, da Gerolamo Savonarola, che ivi entrò studente ed uscì con il titolo di magister, like me – lo dico sottovoce – cinquecento anni dopo), la Sorbonne a Parigi, lo Studium Oxoniense (Oxford) fondato dai Padri francescani, e l’Università di Salamanca (XI-XII secc.), sia che fossero state istituite per volere imperiale come lo Studium Cividalense (con Paolo Diacono) e quello Palatino di Aquisgrana (con Alcuino di York), risalenti addirittura al IX secolo.

La tradizione trobadorica inizia nell’XI secolo in Occitania sviluppandosi nelle corti aristocratiche, per poi spostarsi verso l’Italia Settentrionale e in Sicilia alla corte di Federico II di Svevia, senza trascurare anche qualche presenza in Spagna (in Catalogna soprattutto) e in Grecia. Non vi è dubbio che l’arte trobadorica ha influenzato in qualche modo la cultura letteraria di tutta l’Europa medievale, lasciando elementi nel cosiddetto minnesang tedesca, nella scuola siciliana di un Cielo d’Alcamo, nella poesia toscana dei Gunizelli e dei Cavalcanti, della lirica mozarabica ispanica di galizia e Portogallo, e naturalmente anche dei trovieri di lingua d’oil del Nord della Francia. La peste nera di metà del XIV secolo contribuisce al declino del movimento trobadorico, che però trova una rifioritura all’inizio del periodo Umanistico in Francia, a Tolosa con i Jeux Floraux.

Gli autori pubblicano Canzonieri di stile monodico, proponendo testi di cavalleria e di amor cortese, di forme piuttosto retoriche e intellettualistiche. Tra le opere non mancano “canzoni” di carattere popolaresco. Più o meno si possono intravedere tre modelli stilistici: quello leggero, il trobar leu, quello più ricco, trobar ric, e quello più complicato, il trobar clus, chiuso, talora con stilemi metafisico-teologici. I generi si distinguono nel canso, nel sirvente (aaah, ecco il ricordo carducciano “di nonna Lucia e del sirventese del Trecento!”), e in tenzones.

Etimologicamente, il termine “trovatore” trae il suo significato dall’uso provenzale di trobar: “poetare”, corrispondendo al francese trouvère (XII secolo), da cui il termine italiano trov(i)èro. Se ci rivolgiamo alla lingua latina non rinveniamo qualcosa di analogo, per il medesimo significato, e precisamente i verbi della quarta coniugazione “invenire” e “reperire”. O, forse, si potrebbe ipotizzare un legame con il verbo latino “turbare”, ma l’ipotesi è controversa.

G. Paris (in Romania VII 1878:418-419) aveva proposto un derivato dal latino tropu (un grecismo: da trópos) nell’accezione di “uso artistico di una parola”, che Venanzio Fortunato (VI secolo d.C.) impiegò nel senso di “modo di cantare, canto”. A mio avviso, non da trascurare.

Con le ricostruzioni si è andati più in là mediante i germanici dar tröv “emettere un suono” e dar triev “dare ascolto” (J. Jud in Vox Romanica XI 1950:252), a conferma dell’impiego musicale col composto contropare “confrontare”, “comparare”.

Un sintetico quadro sulle denominazioni romanze di trovare è abbozzato nel lavoro di C. Beyer, Die Verben des “Essens”, “Schickers”, “Kaufens” und “Findens” in ihrer Geschichte vom Latein bis in die romanischen Sprachen, Leipzig-Paris 1934.

I primi studi sui trovatori si focalizzano intensamente sulle loro origini, ma nessun consenso accademico è stato mai raggiunto in questo campo. Oggi, si possono distinguere almeno undici teorie concorrenti (gli aggettivi utilizzati di seguito sono una mescolanza proveniente dal dizionario inglese di musica Grove e da “Le origini e il significato dell’amor cortese” di Roger Boase, che riporto integralmente:

Arabe (anche arabiche o ispano-arabiche)
Ezra Pound, nel suo Canto VIII, splendidamente dichiara che Guglielmo d’Aquitania “aveva portato la canzone oltre la Spagna / con i cantori e le vielle…” facendo riferimento alla canzone trobadorica. Nel suo studio, Lévi-Provençal si dice che abbia trovato quattro stanze arabo-ispaniche quasi o completamente ricopiate nel manoscritto di Guglielmo. Secondo fonti storiche, Guglielmo VIII, il padre di Guglielmo, aveva portato a Poitiers centinaia di prigionieri musulmani. Trend ammette che i trovatori abbiano derivato il loro senso formale e anche la materia tematica della loro poesia dai musulmani andalusi. L’ipotesi che la tradizione trobadorica venisse a essere creata da Guglielmo (più o meno, dopo la sua esperienza delle arti moresche, mentre stava combattendo per la Reconquista in Spagna) viene anche sostenuta da R. M. Pidal all’inizio del XX secolo, ma le sue origini risalgono al Cinquecento, a Gianmaria Barbieri (morto nel 1575) e a Juan Andrés (morto nel 1822). Meg Bogin, traduttore inglese delle trobairitz, si mantiene nel solco di questa ipotesi. Certamente “un corpo di canzone di pari intensità, profanità ed erotismo [esisteva] nell’arabo a cominciare dalla seconda metà del IX secolo.

Bernardino-marianiste o cristiane
Secondo questa teoria, è la teologia sposata da Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle) e la  mariologia sempre più in auge che più fortemente influenzeranno lo sviluppo del genere trobadorico. Specificamente, l’enfasi sull’amore spirituale e religioso, il disinteresse, il misticismo, e la devozione per Maria spiegherebbero l'”amor cortese”. L’enfasi riformista di Roberto d’Arbrissel sul “matronato” per raggiungere i suoi fini può spiegare l’atteggiamento del trovatore verso le donne. Cronologicamente, tuttavia, questa ipotesi è dura da sostenere (le forze ipotizzate come la causa dell’insorgere del fenomeno arriveranno più tardi). Ma l’influenza della teologia mariana e bernardina può essere presa in considerazione senza che venga a essere implicata la teoria delle origini. Questa teoria venne proposta per la prima volta da Eduard Wechssler e successivamente da Dmitri Scheludko (il quale mette in risalto la riforma cluniacense) e Guido Errante. Mario Casella e Leo Spitzer vi hanno aggiunto l’influenza “agostiniana”.

Celtiche o cavalleresco-matriarcali
La sopravvivenza di usanze sessuali pre-cristiane e i codici guerrieri delle società matriarcali, celtiche, germaniche o britanniche, tra l’aristocrazia d’Europa, può avere inciso sull’idea (fusione) dell'”amor cortese”. L’esistenza del matriarcato pre-cristiano è di solito stato trattato con scetticismo, dato che soltanto fino all’Europa dell’Alto Medioevo vi si può trovare la persistenza d’elementi culturali pagani in seno al suo tessuto sociale.

Latino-classiche
La teoria del latino classico produce paralleli tra Ovidio, specialmente i suoi Amores e Ars amatoria, e la lirica dell’amor cortese. L’aetas ovidiana che predomina nel XII secolo all’interno e nei dintorni di Orléans, l’ideologia quasi-ciceroniana che prevale nella corte imperiale, e i frammenti di Platone allora a disposizione degli studiosi, sono stati tutti citati come influenze classiche sulla poesia trobadorica.

(Cripto-)catare
Secondo questa tesi, la poesia trobadorica è un riflesso della dottrina religiosa catara. Mentre la teoria viene sostenuta a tratti dal resoconto tradizionale e quasi-universale del declino dei trovatori in coincidenza con la soppressione del catarismo durante la crociata albigese (prima metà del XIII secolo). Il significato esplicitamente cattolico di molti componimenti trobadorici arcaici non danno ugualmente sostegno alla teoria.

Liturgiche
La lirica trobadorica potrebbe essersi sviluppata dalla liturgia e innodia cristiana, oltre che dall’influenza del Cantico dei cantici. Non vi è alcuna precedente poesia latina che somigli a quella dei trovatori. Su queste basi, nessuna teoria delle origini di quest’ultima dal latino classico o post-classico può essere costruita, ma ciò non ha scoraggiato alcuni nel credere che un corpus latino preesistente deve esserci stato, anche se è andato perduto. Il fatto che molti trovatori avessero ricevuto la loro istruzione grammaticale in latino attraverso la Chiesa (dai clerici, chierici) e che molti venivano formati musicalmente tramite la Chiesa è ben documentato. La scuola di musica di Saint-Martial a Limoges ne è un esempio. I tropi “para-liturgici” già vi erano in uso nel periodo precedente alla comparsa dei trovatori.

Feudali-sociali o -sociologiche
Questa teoria, o insieme di teorie correlate, ha guadagnato terreno nel XX secolo, come un approccio alla questione più metodologico che teorico, chiedendo non da dove provenga la forma o il contenuto della lirica, ma piuttosto quale situazione/circostanze la fecero sorgere. Sotto l’influenza marxista, Erich Koeler, Marc Bloch e Georges Duby hanno suggerito che l'”egemonia essenziale” della moglie del signore nel castello durante la sua assenza fosse una forza trainante. L’uso della terminologia feudale nelle poesie trobadoriche viene considerato probatorio. Questa teoria è stata sviluppata in direzione di una spiegazione psicologica piuttosto distante da una motivazione sociologica.

Folcloristiche o ritualistiche popolari primaverili (Spring Folk Ritual)
Secondo Maria Rosa Menocal, Alfred Jeanroy per primo suggerì nel 1883 che folclore e tradizione orale diedero origine alla poesia trobadorica. Secondo F. M. Warren, fu Gaston Paris, il critico letterario di Jeanroy, nel 1891, che per primo individua le origini trobadoriche nelle danze festive delle donne che ascoltano la primavera nella Valle della Loira. Questa teoria da allora è stata ampiamente screditata, ma la scoperta delle jarchas sollevano la questione dell’estensione della letteratura (orale o scritta) nell’XI secolo e ancor prima.

Latino-medievali o mediolatine (goliardiche)
Hans Spanke analizza la connessione intertestuale tra latino medievale e volgare (come le canzoni goliardiche). Questa teoria è sostenuta da Reto Bezzola, Peter Dronke e dal musicologo J. Chailley. Secondo loro, trobar significa “inventare un tropo”, essendo il tropo una poesia dove le parole vengono utilizzate con un significato diverso da quello che comunemente hanno, vale a dire metaforico e metonimico. Questa poesia era originariamente inserita in una serie di modulazioni finali di una canzone liturgica. Poi il tropo diventa un pezzo autonomo organizzato in forma di stanza. In questa connessione, Brinkmann sottolinea l’influenza dei poeti della “scuola della Loira” del tardo secolo XI, come Marbodio di Rennes e Ildeberto di Lavardin.

Neoplatoniche
Questa teoria è una delle più cervellotiche. Gli “effetti nobilitanti dell’amore” nello specifico sono stati identificati come neoplatonici. Il fatto che questa teoria richieda una seconda teoria su come il neoplatonismo fosse stato trasmesso ai trovatori viene visto come una forza o una debolezza; forse può essere correlata con una delle altre storie delle origini o forse svolgere solo un ruolo marginale. Käte Axhausen ha “sfruttato” questa teoria e A. J. Denomy l’ha collegata con l’arabo (attraverso Avicenna) e il cataro (attraverso Giovanni Scoto Eriugena.”

Il primo trovatore di cui sopravvive un qualche componimento è Guilhem de Pietieus, ovvero Guglielmo IX d’Aquitania, (1071–1127). Peter Dronke, autore di La lirica medievale, tuttavia, crede, come vari altri critici, che «le [sue] canzoni rappresentano non gli inizi di una tradizione, ma il massimo del suo compimento.

Il suo nome si è conservato poiché egli era il Duca d’Aquitania, ma la sua opera ha a che fare con strutture già pre-stabilite; Ebolo II di Ventadorn viene spesso accreditato come predecessore, sebbene nessuno dei suoi componimenti ci sia pervenuto. Orderico Vitale ci dice che Guglielmo compose le sue canzoni, riguardo alle sue esperienze avute, al ritorno dalla Crociata del 1101 (1102 ca.). Questo può essere il primo riferimento alle liriche trobadoriche.

Orderico ci fornisce inoltre (1135) ciò che potrebbe essere la prima descrizione dell’esibizione del trovatore: un testimone oculare racconta di Guglielmo d’Aquitania.

(LA)

«Picauensis uero dux… miserias captiuitatis suae… coram regibus et magnatis atque Christianis coetibus multotiens retulit rythmicis uersibus cum facetis modulationibus. (X.21)»

(IT)

«Allora il duca di Poitiers… le miserie della sua prigionia… davanti a re, magnati e adunanze cristiane raccontava molte volte con stanze ritmiche e poesie brio

Storicamente solo negli ultimi decenni del secolo XII esplode l’attività del trovatore, con l’attestazione di circa duemilacinquecento liriche (Akehurst, 23), a partire dalle zone dell’Aquitania occidentale (Poitou e Saintonge) e dalla Guascogna, per poi espandersi verso il Limosino e l’Alvernia, nonché in Provenza. Nel suo massimo splendore l’arte trobadorica diventa popolarissima a Tolosa e a Quercy.

All’inizio del XIII secolo inizia a diffondersi prima in Italia, in Catalogna, e poi nel resto della Spagna, influenzando inoltre tutte le scuole letterarie d’Europa: la scuola siciliana, quella toscana e infine quella tedesca, mozarabica e portoghese, costituendo il cosiddetto rayonnement des troubadours (l’irradiamento dei trovatori).

I più famosi nomi tra le file dei trovatori appartengono a questo periodo, durante il quale l’arte lirica dei trovatori arriva al culmine della sua popolarità con il maggior numero di poesie sopravvissute. Distinta come genere diventa la canso, o canzone d’amore, il cui maggior maestro e trovatore che riassume il periodo classico, è Bernart de Ventadorn, tenuto in gran considerazione dai suoi contemporanei, e altrettanto lo è stato Giraut de Bornelh assieme con Bertran de Born, il maestro riconosciuto del sirventes.

La lingua dei poeti classici, insieme alla sua grammatica e vocabolario, allo stile e ai temi, erano l’ideale a cui aspiravano i poeti del risveglio trobadorico a Tolosa e i loro contemporanei catalani e castigliani. Durante il periodo classico le “regole” di composizione poetica furono per la prima volta standardizzate e scritte da Raimon Vidal e successivamente da Uc Faidit.

I trovatori a noi noti provengono da esperienze diverse, conducendo la loro vita in una molteplicità di modi, vivendo e viaggiando in molti luoghi differenti, e attivi in molti tipi di contesti sociali. I trovatori non erano solo intrattenitori girovaghi e, in genere, restavano in un posto per un lungo periodo di tempo, sotto la protezione e il mecenatismo di un ricco nobile o una nobildonna. Tuttavia, molti viaggiavano in modo notevole, soggiornando da una corte all’altra.

Il loro status sociale era il più disparato, dall’alta nobiltà come lo era il Duca d’Aquitania e Jaufré Rudel, alla classe cavalleresca (Cercamon e Marcabru).

Da principio, i trovatori erano sempre dei nobili, talvolta di alto e talvolta di basso rango. Molti trovatori vengono descritti nelle loro vidas come cavalieri poveri, tra cui: Berenquier de Palazol, Gausbert Amiel, Guilhem Ademar Guiraudo lo Ros, Marcabru, Peire de Maensac, Peirol, Raimon de Miraval, Rinaut de Berbezilh, Uc de Pena, Albertet de Sestaro.

In seguito i successivi trovatori potevano appartenere alle classi inferiori, che vanno da quella media di mercanti e “burgers” (borghesi, persone stanziate in città) ai commercianti e ad altri che svolgevano lavori manuali, come Salh d’Escola, Elias de Barjols, Elisa Fonsalada o il menestrello Perdigon o il pescatore Elias Cairel.

Di status clericale o comunque di formazione ecclesiastica erano: Aimeric de Belenoi, Folchetto di Marsiglia (futuro vescovo) Gui d’Ussel, Guillem Ramon de Gironella, Jofre de Foixà, Peire de Bussignac, Peire Rogier, Raimon de Cornet, Uc Brunet e Uc de Saint Cir.

Tra costoro, i menestrelli o giullari (joglars), a differenza dei trovatori, non componevano, ma cantavano e recitavano opere altrui, ovvero dei trovatori. Non era raro all’apogeo della cultura trobadorica vedere un trovatore attaccare con disprezzo un menestrello onde ristabilire i rispettivi ruoli. Un trovatore poteva dunque scrivere la sua composizione ed eseguirla lui stesso, oppure farla eseguire da un menestrello. Nonostante le distinzioni rilevate, molti trovatori erano anche noti come joglars, prima o anche dopo che iniziassero a comporre, come Aimeric de Belenoi, Uc Brunet e Uc de Saint Cir.

Soprattutto dalla metà del XII secolo, venivano distinti abbastanza rigorosamente i trovatori, che erano autori dei brani poetici cantati da menestrelli prevalentemente esecutori, detti joglars, dal latino ioculatores, dando adito anche alla forma francese jongleur, al castigliano juglar e all’inglese juggler (giocoliere), riferito a un tipo più specifico di esecutore.

Ad esempio, dalla poesia di Bertran de Born si apprende che i joglars fossero esecutori che non solevano comporre e che spesso eseguivano le canzoni dei trovatori, cantando, suonando strumenti, danzando e facendo inoltre acrobazie.

E vengo all’impegno assunto nell’incipit, di distinguere i due sintagmi e di spiegarli, almeno per quanto possibile: ebbene, Il Canto concorde rappresenta una coerenza di canto, un fil rouge che unisce le mie liriche, dal verso libero al rigoroso sonetto endecasillabico. Pezzi scritti nel tempo della mia vita, dalla tarda adolescenza a questi ultimi anni; Il Trovatore inesistente rappresenta me stesso, ma non perché non firmi ciò che scrivo, ma perché vi son persone che ignorano la mia esistenza.

Tarcisio mi raccontava che i documenti degli archivi che compulsa presentano fatti che paiono dei nostri tempi: figli di Non Nominato o Non Nominata, ma non perché non si sapesse chi fosse il padre o la madre, ma perché non era opportuno rivelarlo.

Casi nei quali un cognome era tale se registrato dalla madre in un paesello, e talaltro se registrato dal padre in un paesello attiguo: di due fratelli.

Fino a metà agosto del 1871 in territorio italiano l’anagrafe passò dalla giurisdizione ecclesiastica a quella civile, per cui la stessa persona risultava diversamente chiamata se figlia “legittima” o solo “naturale”.

Giovani donne rimaste vedove con figli e senza mezzi, si mettevano con un celibe purché fosse tale e restavano incinte, dopo di che si sposavano e il figlio nasceva cinque mesi dopo le nozze. Oppure, un emigrante metteva incinta una ragazza, poi spariva e quel bimbo restava senza cognome, perché la madre per vergogna lo nascondeva, e veniva in seguito chiamato con un cognome a ventuno anni, ad esempio, “Spaccapietra”, perché il padre sconosciuto sapevasi che esercitava tale duro mestiere in Germania.

Oggi siamo ai temi della maternità surrogata e del declino demografico, nel contempo, allora si veniva al mondo come capitava.

Io ho un nome e un cognome che viene dalle nebbie di mezzo millennio dipanate da Tarcisio; sono un trovatore, conosciuto a molti, ma per alcuni inesistente, anche se il mio canto è concorde e sono presente anche nei pressi di chi non mi conosce, ma prima o poi mi conoscerà.

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