Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

“Da”, “con”, “dallo/ a”, “per il”, “con il/ la”: l’importanza delle preposizioni e delle preposizioni articolate nella lingua italiana

Nella mia vita filosofica non posso trascurare la buona filologia: un filosofo-teologo non può evitare di considerare questa fondamentale scienza linguistica, pena un’idea e una prassi confusiva, inutile e dannosa del pensiero critico, che è tipico dell’essere umano.

Il tema è attuale e concerne il discorso Covid-19 su cui si è scatenata una bagarre tremenda sui dati. Qui non entro nella questione tecno-scientifica, perché non sono né medico né biologo, ma un altro tipo di “animale pensante”, come i miei cari lettori ben sanno.

Distinguere, per esempio, nel computo delle persone mancate, tra coloro che sono morte “da” o “per” infezione da Coronavirus e coloro che sono decedute “con” lo stesso virus, ma sostanzialmente per gravi patologie pregresse, o per veneranda età, può sembra question di lana caprina, ma non è così.

Qualcuno potrebbe commentare così “Sempre morti, sono“, ebbene sì, ma una cosa è morire di vecchiaia e un’altra, radicalmente differente, è morire per una patologia. Effettuare un’analisi differenziata sulle cause di morte, in questa vicenda, è fondamentale per varie ragioni: cliniche, statistiche, di organizzazione sanitaria, di spesa socio-sanitaria e assistenziale, etc., ma anche di tipo sociologico, politico, etico, psicologico e filosofico. Non è dunque domanda da poco se anteporre alla causa di decesso una preposizione che dica “è stato il virus“, oppure una preposizione che affermi “la persona è morta con il virus“.

Certamente, il clinico potrebbe spiegarmi che è difficile stabilire se la “goccia” causale “virus” sia stata decisiva per il decesso o meno, in una situazione già compromessa. Accetto, ovviamente e umilmente, ma insisto.

Da profano nelle arti mediche, ma non in quelle socio-politiche faccio un esempio: come è stato possibile, anche ammettendo che la Germania fosse più attrezzata per la fase acuta con un numero di posti in terapia intensiva adeguato, mentre l’Italia ha dovuto, specialmente nel mese di marzo, inseguire con affanno il risultato di una capienza sufficiente (quasi graziata dalla riduzione delle infezioni a partire dai primi di aprile), considerando che la grande Nazione tedesca ammonta a oltre 80 milioni di persone e l’Italia ne annovera comunque 60, che il numero di deceduti sia così diverso, e così inferiore lassù rispetto al nostro territorio?

Non è che in Germania hanno proceduto a redigere la triste contabilità con conteggi elaborati su basi matematico-statistiche differenti rispetto alle nostre? La domanda è retorica, poiché la risposta, nota a molti (non a tutti) è SI’.

Perché questo? Cui prodest? Forse che una certa drammatizzazione della situazione italiana fa il gioco di qualcuno in Italia e non solo? Questa mia è una domanda da dietrologo complottista quasi ipocondriaco? Oppure è una domanda che merita di stare in un dibattito dialogico serio?

Avendola formulata io, mi rispondo con un sì deciso, sì, cavolo! Qui da noi si notano già divisioni profonde sulla domanda leniniana “che fare?”. Vi è chi va in affanno per il vaccino e chi propone anche altre strade medico-farmacologiche come quella della plasmaferesi, tecnica già molto nota e praticata; i primi si scatenano contro i secondi e danno spettacolo sul web e in tv. Che deve pensare o dire la persona semplice, ma non stupida, di questo dibattito fra (quasi) sordi?

Mio gentil lettore, ti pare cosa buona e giusta che a ora di cena, uno dei più pagati conduttori televisivi ospiti cotidie un prof (veramente?) di medicina che appartiene senza se e senza ma al primo gruppo dei due qui sopra citati? Senza contraddittorio, peraltro. Mi astengo, ovviamente, dal seguire il citato programma. E mi laudo, sommessamente, per questo.

E dunque, è lecito e legittimo chiedere più precisione nella comunicazione dei dati di cui tratto in questo pezzo, visto che si notano diversità anche tra ciò che comunica l’Istat e l”Istituto superiore di sanità, ambedue istituzioni pubbliche?

Non appena avrò l’occasione lo chiederò direttamente al prof Brusaferro, che conosco, e che presiede la seconda delle due istanze sopra citate. Non credo che, se c’è qualcosa di non chiaro nelle notizie che vengono diffuse, questa non-trasparenza riuscirà a farla franca perpetrando in qualche modo un grave inganno.

La strada è sempre quella della documentazione seria, dell’analisi delle fonti e della loro probatorietà. La verità è irresistibile e, prima o poi, riemerge sempre dai fumi della confusione colpevolmente creata da persone interessate solo a proprio particulare, anche a danno dei più, e in violazione del primario diritto alla conoscenza, e di tutti gli altri diritti civili e sociali garantiti dalla Costituzioni democratiche.

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