Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Tempora bona veniant

Il tropo liturgico ottocentesco recita così: tempora bona veniant, cioè verranno [o potranno venire] i tempi delle cose buone, riferendosi al percorso della salvezza delle anime. Possiamo mutuare la frase per riferirci anche ai corpi e alle cose umane, ai beni, che si dicono “bona“, esattamente come l’aggettivo “buono“, o “buoni“, si veda il caso del neutro plurale del titolo [bonum, i – bona, orum]. Il tropo continua così: Pax Christi veniat, Regnum Christi veniat, verrà la pace di Cristo, verrà il regno di Cristo, e poi il refrain Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat, un po’ controriformista o papalino alla Pio X.

Bello, però, solenne come erano le liturgie, cioè le azioni del popolo in preghiera, un tempo, purtroppo sostituite da canti e cerimonie spesso trascurate e sciatte.

Papa Ratzinger aveva provato a proporre un recupero della bellezza liturgica nei canti e nelle omelie, ma non c’è riuscito. Si fa, anche nella Chiesa [come nelle aziende], con il patrimonio umano che si ha, con tanto realismo e anche un po’ di rassegnazione. Utinam [voglia il cielo che] che in questo caso “rassegnazione” si possa intendere nel suo senso proprio, profondo, di “ri-segnazione”, cioè di ri-partenza, di rilancio. Speriamo.

Per qualche imperscrutabile ragione questo 2017 rappresenta per me e anche per il contesto che mi sta intorno un anno difficile, che Elisabetta II definirebbe forse quasi orribile (lo disse dell’anno in cui sui figlio Charles divorziò da Diana Spencer), forse in assoluto esagerando, ma dal suo punto di vista forse no.

In ogni caso un anno impegnativo, arduo, da affrontare con una dose di pazienza e di slancio anche un poco iracondo. Il mio lavoro si è sviluppato ancora in qualità, sapendo che devo vigilare affinché la quantità non debordi e mi faccia peggiorare ciò che conta di più, la qualità. La salute è stata messa a dura prova, fatto inaudito nella mia vita sportiva, ma sto lavorando per recuperarla e tornare in bici. Altri aspetti sono problematici ma li taccio, ché ho sempre posto limiti alla confidenzialità di questo mio luogo pubblico, ossimoro amatissimo e utile, per chi mi conosce bene e di più per chi mi conosce poco o punto, e magari pretende di conoscermi. Ho continuato a incontrare persone attente e persone disattente, persone grate e persone ingrate, così come si suddividono sociologicamente e caratterialmente nell’universo umano.

Nel mondo invece le cose, anche se guardate di fatto con gli occhiali della vicinanza, vi sono molte cose che non vanno, a partire dall’uso delle capacità cognitive, quelle sì messe sotto scacco in maniera preoccupante. Da almeno dieci anni scrivo, dico, insisto sul fatto che la vera origine (originante) della crisi odierna non è etica, politica o sociale o, meglio, lo è anche, ma è innanzitutto intellettuale, cognitiva, riflessiva, cioè del pensiero e dell’argomentazione logica.

Il pensiero umano ogni tanto va in crisi, come è successo in certi periodi storici, che potremmo definire “assiali”, e sto pensando ad esempio alla fase che segnò la fine dell’Impero Romano d’Occidente o, ancora di più, alla parte centrale del “secolo breve”, il XX, che vide il mondo scannarsi in due guerre mondiali e in vari tremendi totalitarismi. Che cosa è stata la versione staliniana del socialismo se non una crisi terribile del pensiero critico, così come in dimensioni ancora più patologiche, il nazismo, e ora il terrorismo insensato degli jihadisti?

Si diceva un tempo “il ben dell’intelletto” per significare il maggior bene di cui l’uomo è dotato, ben superiore a ogni altro, al sentimento, alle emozioni, alle passioni di ogni genere e specie, poiché esso permette di accedere alla conoscenza delle verità “locali”, che possono qualificare la realtà delle cose, delle vite, di ogni uomo e  di tutti gli uomini. L’intelletto muove il pensiero e questo permette alla ragione di esercitarsi nella logica, nell’argomentazione razionale, atta a comprendere il flusso degli accadimenti e il fluire dei ragionamenti, la loro verifica e anche la loro falsificazione, se del caso.

L’intelligenza autoriflessiva dell’uomo e il linguaggio sono i due elementi che lo differenziano radicalmente dagli altri animali, compresi i parenti più prossimi, come i primati. Ebbene, forse questa intelligenza negli ultimi anni si è essenzialmente esercitata nell’innovazione tecnologica della telematica e delle varie ingegnerie, bio-meccaniche, molecolari, etc., ma ben poco nella riflessione razionale sull’uomo e sulle derive che sta scegliendo: l’ambiente è devastato dai cambiamenti climatici in qualche misura determinati dall’agire umano in campo economico e geo-politico; le relazioni internazionali tra le nazioni sono precarie e confuse, dove la fine dello scontro tra est e ovest è stato sostituito dal contrasto/ conflitto/ confronto tra nord e sud del mondo, che determina guerre non dichiarate e grandi migrazioni; la comunicazione è diventata pervasiva e fuorviante mediante il web e altri mezzi del tempo reale, per cui si hanno spesso sensazioni deformate della realtà; il divario di qualità della vita tra le nazioni è aumentato e anche tra le categorie sociali, dove si rilevano nuove fasce di precarizzazione e di impoverimento; i sistemi del welfare classico sono in crisi, non sostituiti dai nuovi welfare aziendali o privati. E così via.

In questo contesto i giovani osservano con patemi d’animo il loro futuro, e si adattano sempre di più alla sua nebulosità, accettando lavori quasi senza regole, anzi una nuova concezione del lavoro, che va declinata al plurale: nuovi lavori. Personalmente ci sono dentro da più di due decenni e questo è forse il mio vantaggio e la mia relativa tranquillità. Ebbene sì, il lavoro classico, contrattuale, con orari e regole giuridicamente scanditi, è in declino, perché sta sempre più assumendo i connotati di una declinazione esistenziale dentro altre declinazioni: si vive, si lavora, si viaggia, si studia, si lavora ancora studiando, si studia lavorando, si accettano cambiamenti, flessibilità di orario e di location, dove scompare la vecchia classe lavoratrice, sostituita da miliardi di singoli operatori di tutti i mestieri, ciascuno dei quali sta cambiando al proprio interno.

Le forze politiche sono al lumicino in quanto a qualità del personale che vi si dedica, e pure le forze sociali, i sindacati, non sono mai stati guidati da gruppi dirigenti così scarsi sotto il profilo qualitativo.

In ogni caso non posso e non voglio indulgere al pessimismo, ché sarebbe fuori luogo perché in mezzo a tanta devastazione intellettuale ed etica intravedo barlumi luminosi, proprio nel mondo giovanile, che secondo me riuscirà a prendere per mano questo mondo, usando i mezzi potentissimi che la tecnologia gli mette a disposizione. il 2.0, il 4.0 o quello che volete, saranno un risparmio di tempo stupido e un salvadanaio di creatività, per una ripartenza, un rilancio, che non solo è possibile ma è nelle cose stesse, è nella sinusoide degli eventi, è sullo sfondo della speranza di cui si intravedono i prodromi, i segnali deboli epperò nitidi, per chi li sa scrutare.

Ebbene sì, Tempora bona veniant.

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