Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Adaequatio ignaviae, o di alcuni modi di dire cretini

massima einsteinianaCaro lettor del sabato,

permettimi un elenco ragionato di idiozie verbali, in uso quotidiano, di questi tempi un po’ cretini. Ce l’ho un po’ con

quelli che scrivono “apocalisse” volendo significare catastrofe, cataclisma, tragedia, disastro, ecatombe (come traslato che significa “molte vittime”, letteralmente “strage di cento buoi”). Apocalisse (parola greca), se non agli incliti, è noto significhi “rivelazione“: quindi non funziona neanche come metafora. Rivelazione di cosa, del terremoto in Giappone, di una vendetta divina?

quelli che scrivono “bufera” volendo significare confusione, difficoltà, casino, e così via. Titoli di giornali a iosa: sempre “bufera su … e su … e su …”. Privi di fantasia e soprattutto di un lessico professionale,

quelli che chiamano i mezzi di comunicazione “midia”, invece che “media”, scambiando il latino per l’inglese,

quelli che dicono “Naik” invece di “Nike”, marca di calzature sportive, scambiando questa volta il greco per l’inglese,

quelli che dicono smart work, perché telelavoro gli fa schifo,

quelli che rispondono sempre “Sì, ma…”, dove ciò che conta non è il ma il ma, un’avversativa, anche quando sono strenuamente d’accordo con l’interlocutore, dimostrandosi del tutto incapaci di un minimo rinforzo, che sarebbe un “dar ragione”, un “riconoscere come valide le ragioni dell’altro”, se ci sono,

quelli che dicono “Senza se e senza ma“, per dire che “è così e basta”, e sono spesso gli stessi di cui sopra,

quelli che dicono “bla bla,  e poi, della serie …”, intendendo che si tratta di un qualcosa di scontato, risaputo,

quelli che dicono “In buona sostanza“, invece di “per dire, in definitiva, oppure un appropriato cioè, etc.”,

quelli che dicono sempre “Ci vuole ben altro!” (i “benaltristi”!), dopo avere impazientemente ascoltato l’altro,

quelli che esordiscono con un “Al di là di …”, prima ancora di focalizzare l’”Al di qua” del discorso nel quale sono impegnati,

quelli che ci tengono a sottolineare subito “Non solo, ma anche …”, mettendo immediatamente in mora il discorso dell’interlocutore,

quelli che ti dicono “Tranquillo“, quando li chiami perché sei in ritardo. Basterebbe dire “va bene“,

quelli che dicono “ni” volendo significare né “no” né ““. L’ambiguità della vita e il dubbio non si definisce con un monosillabo privo di ogni significato,

quelli che hanno abolito il congiuntivo, rendendosi incapaci di esprimere ipotesi, esortazioni, opzioni, auspici, e così mortificando gli scenari più umani dell’umana esistenza,

quelli che usano il congiuntivo esortativo imperfetto (dicesse), invece di quello presente (dica), sbagliando la consecutio temporum per sciatteria romanesca,

quelli che chiamano le scarpe con il nome della marca, perché usano impropriamente le figure retoriche,

quelli a cui scappa di dire sempre “Francamente…”, perché hanno bisogno di sottolineare che non è scontato “parlare francamente”,

quelli che dicono “Assolutamente sì, assolutamente no” volendo dire sì e no, ma hanno bisogno di un inutile avverbio di modo,

quelli che dicono “Sarò sincero”, perché hanno bisogno di sottolineare che non sono menzogneri, (almeno da ora in avanti),

chi chiama gli “infermi” “allettati”, così confondendo il dolore con il desiderio,

i burocrati che scrivono sui moduli socio-sanitari primipara attempata per dire neo-madre trentenne,

chi dice “diversamente abili” ai “disabili”, con chi chiama i “ciechi” “non vedenti”, i “sordi” “non udenti”, i “vecchi” “anziani“, i “muti” “muti”, perché “non parlanti” non gli è ancora venuto in mente, e diversamente onesti ai delinquenti,

quelli che dicono “piuttosto che” (un’avversativa) invece che usare correttamente la congiunzione “e“, se l’elenco è lungo,

chi parla come un documento ingiallito degli Uffici Finanziari,

chi usa quasi solo acronimi, ignorando che un gruppo di lettere iniziali puntate si chiama proprio così,

chi usa il “giuridichese”, fatto per escludere i più da un normale processo di comprensione,

i politici che insultano gli avversari trattandoli a male parole, o minimizzando il loro operato,

gli adolescenti che offendono la gente per strada, ma di più con i loro genitori,

i provocatori di professione, perché ritengono di dire sempre cose clamorose,

quelli che dicono “eclatante”, non perché non conoscano gli aggettivi italiani, ma perché il francese fa più elegante. Ma forse non sanno che “eclatante” significa “scoppiante”,

chi ti parla sopra, dopo averti fatto una domanda,

i politici senza un mestiere proprio,

i sindacalisti che lucrano nomine per avere uno stipendio, indipendentemente dal valore aggiunto che sono in grado di creare,

il politichese di “nella misura in cui” e del “cui prodest” (a chi giova) usato spesso senza sapere che cosa significa,

quelli che ti chiedono “Come stai?”, anche se in realtà non gliene frega niente di te,

i falsamente modesti, laici e anche chierici, ché in realtà adorano la ribalta, il potere e la gloria,

 

una piccola parte degli umani, scimmie nude ma consapevoli, e anche con me stesso, che non riesco a fare di meglio.

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