Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

petaloso

petalosoSembra che il piccolo Matteo forlivese, lodato dagli austeri Cruscanti, non sia il primo “autore” del tenero lemma, perché qualcuno lo ha trovato in un trattato di botanica del 1693. Anch’io ho inventato un neologismo qualche anno fa: “bambazza”, che voleva essere la crasi tra bambina e ragazza, un  essere incerto, dunque, a metà strada tra le due età, un essere che conservava aspetti in via di superamento, ma che faceva trasparire le novità di un nuovo stato, di una nuova modalità umana, espressiva ed estetica. Petaloso, dove il suffisso “oso” è perfetto come aggettivo.

Beatrice mi fa notare, scherzando, che il campione nazionale di invenzioni neologistiche è Luca Giurato, impagabile paperista e naturalissimo autore di esilaranti gag.

Sappiamo che il linguaggio umano, declinato nelle varie lingue e idiomi, è in continua evoluzione, dinamicamente teso a rappresentare il flusso della vita concreta, nella storia. Così si avviano ad esistere, ad arricchirsi e infine anche, in qualche caso, a declinare, per ragioni varie, plurime, complesse. Pensiamo al greco e al latino classici, che furono nel Mediterraneo quello e di più di ciò che oggi è l’inglese, una lingua comune, costituendo poi il nucleo originario delle lingue romanze, e in parte anche di quelle germaniche e slave.

Per questo è importante apprezzare le novità, ma vigilare e curare il patrimonio straordinario delle lingue che i nostri avi, nel corso della storia, ci hanno lasciato, apprezzando con il giusto orgoglio particolarmente la lingua nazionale, l’italiano, dal suono armonioso e ricco di un vocabolario sterminato, atto a rappresentare infinite sfumature di senso e significato, dovizioso di sinonimi e di altri modelli significanti, adatto ad ogni tipo di linguaggio, da quello poetico a quello narrativo, da quello tecnico a quello simbolico, fonte di metafore e traslati di ogni genere e specie. Molto più ricco dell’onnipresente inglese, che dilaga anche quando non necessario, in tutti gli ambienti. Vi è perfino chi sostiene che dovremmo adottarlo come lingua didattica, per insegnare, in Italia, le varie discipline. Mi sembra una stupida follia.

Accogliamo, o ri-accogliamo anche “petaloso” nel novero sterminato delle espressioni linguistiche, difendendo nel contempo la varietà dei modi verbali, che rappresentano ogni storia, ogni emozione, ogni pensiero che si trasforma in qualcosa di trasmissibile, condivisibile, in vita.

Una volta tanto lasciamo perdere spread, jobs act, trendy et similia anglofila, mehercules!

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1 Comments

  1. Ma quale testo del Seicento? Quale italiano?
    Si tratta di un trattato scientifico in cui il sintagma “flos petalosus” è declinato all’ablativo “flore petaloso” ([pianta] ‘dal fiore petaloso, dai molti petali’). L’aggettivo latino “petalosus” è talvolta presente nei nomi scientifici di alcune piante: “Distomum petalosa”, “Acrodactyla petalosa”, “Acrolichanus petalosus”, ecc. Questo aggettivo, tuttavia, non c’entra nulla con la formazione italiana “petaloso” (“petalo” + “-oso”), coniato di recente dal piccolo Matteo e prima di lui da Michele Serra (Panorama, 1991), secondo i meccanismi formativi propri dell’italiano.

    Grazie delle precisazioni scientifiche Rocco Luigi, non sono un botanico e neanche un lettore di Michele Serra. Come avrà certamente compreso, la mia citazione del termine “petaloso”, a questo punto solo redivivo, è stata l’occasione per una breve riflessione intorno alla dinamica degli idiomi e delle lingue, di cui qualcosa so. Un sommesso consiglio: il mio blog non è un “social”, per cui, magari, sarebbe forse meglio non esordire con domande secche e perentorie come ha fatto lei, perché sottendono una acribiosa stizza, e una mancanza di rispetto evidenti, e fuori luogo. Mi stia bene, grazie ancora. Renato

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