Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Sindacato unitario o unico?

Bruno-BuozziCaro lettor domenicale,

sono convinto che, se si vuole litigare, si litiga anche quando si condividono i concetti di un altro con il quale si vuol litigare. Figurarsi quando l’altro, con un’espressione imperfetta o non propriamente adeguata, ti offre il destro per attaccarlo, e a maggior ragione se ti è antipatico. Ed è accaduto di nuovo tra il Capo del Governo e i Sindacati. Renzi certamente non perde occasione per questionare con chi pensa non sia in sintonia con i suoi “tempi riflessivi” e operativi, poco curandosi delle sue dizioni verbali, ovvero utilizzando una cultura di base, la sua, che non è eccelsa, anche se usata con arguzia e intelligenza furba. Questa volta l’occasione è di parlare del sindacato, che lui, oltre le innumerevoli sigle e siglette contrattanti furentemente battaglianti per la rappresentanza, auspicherebbe “unico”. Subito la levata di scudi dei confederali, che l’hanno accusato di derive totalitarie. Duole, anzi mi fa innervosire, sentir citare il totalitarismo persone ancora meno colte di Renzi, come i segretari di Cgil e Uil.

E allora, sindacato unitario o unico? “Unico” significa totalitarismo oppure può essere segno di unitarietà d’intenti raggiunta? Il sindacato italiano è mai stato unitario e anche unico? In giro per il mondo i sindacati “unici” sono presenti solo nelle dittature o anche in forme statuali diverse? Domanda retorica, perché nei regimi totalitari i sindacati sono delle dependance della politica e dello stato, mentre in altre nazioni, come la democratica Germania, sono compattamente “unici”, e anche in Italia vi sono state esperienze unitarie come quella nei metalmeccanici negli anni ’60 e ’70. La polemica, l’ennesima tra Renzi e i segretari di Cgil, Cisl e Uil di questi giorni impone all’osservatore che non usa gli organi inferiori per ragionare, una serie di domande.

Aggiungo poi che i toni dei dirigenti sindacali sono sempre gli stessi da trenta/ quarant’anni: “il problema vero (loro sanno sempre più degli altri qual è il problema vero) è che il governo dovrebbe pensare ad altro, non a definire il futuro del sindacato“. Che tristezza,  perché poi, quando va al governo qualcuno di loro, fa esattamente, né più né meno, quello che si può fare correntemente, cioè poco. Ma giudicare il lavoro degli altri è sempre facile, come quando si impancano ad insegnare il mestiere alle direzioni aziendali; per parte mia, nella mia antica e non lunga carriera sindacale non ho mai fatto il mestiere degli altri.

Ma per iniziare a parlare decentemente del tema è corretto dare uno sguardo alla storia, sia pure in estrema sintesi, intendo alla storia sindacale e , grosso modo, del diritto del lavoro e sindacale. Partiamo pure dall’origine anglosassone di tutto questo movimento.

  • 1833 Factory Act – English Parliament (Reform Bill 1832)
  • 1865 Regio Decreto sul lavoro
  • 1871-1893 Patto di Fratellanza tra le SOMSI (Mazzini-Saffi)
  • 1891 Rerum Novarum di papa Leone XIII
  • 1892 Congresso costitutivo del Partito Socialista Italiano a Genova
  • 1893 Nascita leghe (tipografi, ferrovieri) della Confederazione generale del lavoro (la Fiom nel 1901)
  • 1906 viene fondata la CGIL a Milano dove confluiscono le leghe di categoria
  • 1908 primo CCNL quello dei vetrai, e a seguire tipografi, ferrovieri, edili, etc
  • 1923 Regio decreto n. 602 sulle 8 ore (e 48 settimanali)
  • 1926 Patto di Palazzo Vidoni (sindacalismo corporativo)
  • 1942 Codice Civile (Libro V)
  • 1944 Patto di Roma (CGIL unitaria fino al 1948 – Cisl, e 1950 – Uil)
  • 1944 Decreti luogotenenziali sulle Commissioni interne
  • 1944 fucilazione di Bruno Buozzi
  • 1948 Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 1, 2, 36, 39, 40, 41, 46 etc.)
  • 1949 Decreto legge sul Collocamento pubblico
  • 1966 Legge 604 sui licenziamenti individuali (Giusta causa e giustificato motivo)
  • 1968/69 nascita della FLM, federazione unitaria dei metalmeccanici
  • 1970 Legge 300 “Statuto dei diritti del lavoratori”
  • 1972  a Montesilvano convegno di nascita della “federazione Unitaria” Cgil-Cisl-Uil
  • “ANNI DI PIOMBO”
  • 1972/1977 Legislazione al femminile (parità e lavoratrici madri)
  • 1983 D. Lgs 846 sui contratti di formazione e lavoro
  • 1989 BERLINO caduta del muro
  • 1990 L. 108 sui licenziamenti individuali nelle piccole imprese
  • 1998 L. 196 sul lavoro interinale
  • 2003 D. Lgs. 276 “Legge Biagi”
  • 1995/2004/2008/2012 (riforme pensionistiche Dini/ Maroni/ Damiano/ Fornero)
  • 2015 Jobs Act

Una lunga storia dunque, faticosa, a tratti eroica, ma evolutiva, mentre oggi sembra come imbalsamata in una struttura autosostentante e molto autoreferenziale, lenta nei movimenti, nelle ottimizzazioni e nell’aggiornamento. Avendone fatto parte, e trovandomi talora come controparte, dopo una vita di studio e di aggiornamenti, a volte provo imbarazzo per alcuni miei interlocutori.

In Italia vi son ancora decine di sigle sindacali e diritti sindacali diffusi, esagerati nel Pubblico impiego (dove c’è la blindatura dello Stato giuridico), appena e da poco temperati dal dimezzamento dei permessi retribuiti deciso opportunamente dalla ministra Madia.

Dire quindi “sindacato unico”, nel linguaggio semplificato del giovin primo ministro può essere una semplificazione, piuttosto che un’ulteriore spinta dell’uomo solo al comando, metafora ciclistica di cui i segretari dei sindacati ignorano la provenienza. Renzi è furbo e talora giullaresco, e agli ami che lancia nel fiume spesso abboccano pesci molto tonti, come in questo caso. E anche quelli che auspicano la smetta presto di fare politica, come si legge del segretario della Cgil del Friuli Venezia Giulia, Belci, rischiano il patetismo: questo signore sessantaquattrenne auspica che la smetta con la politica un uomo di quaranta anni. Non so se si è accorto del ridicolo che suscita con tale auspicio.

Per parte mia, che combatto quotidianamente la tonteria sopraveniente, dire che sarebbe ora di vedere in Italia un sindacato veramente unitario, e alla fine del processo forse anche unico, è cosa buona. Altrimenti il mondo, e soprattutto i giovani lavoratori andranno tutti da un’altra parte.

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