Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Le cause plurime del terrorismo islamista

la Torre di BabeleCaro lettore,

anche per fare un esercizio personale, stamani voglio con te fare una riflessione su ciò che succede nel Vicino Oriente e nel Nord Africa, con gli intrecci paurosi tra miseria, ignoranza, violenza terroristica e guerre, perché a volte c’è il rischio di rinunziare a ogni ragionamento razionale, per rifugiarsi in discorsi da bar sport, pericolosamente generici, banali e manicheisti.

Allora: facendo mente locale, mi sembra si possa dire che le fonti del terrorismo islamista, che è uno dei “terrorismi” contemporanei, sono di tre specie o “famiglie”: a) una di carattere antropologico, b) una derivante dalle conseguenze del colonialismo classico francese e inglese e dal neocolonialismo statunitense, c) una terza autoprodotta all’interno del “continente islamico”, come lotta endemica tra le due grandi correnti: il sunnismo e lo sciismo.

Tutto ciò avviene dopo lo scompaginamento del mondo bipolare pre-Berlino/’89, che ha liberato forze di tutti i tipi, prima trattenute dall’equilibrio del terrore atomico, o comunque della ormai tacita (post Yalta) divisione delle sfere di influenza tra USA e URSS, con il terzo -sempre più gigantesco- convitato della Cina. Dopo l’89 sono emersi poi altri centri di gravitazione economica e politica, come l’India (oramai popolosa come la Cina e avviata a diventare nell’arco di una ventina d’anni la prima potenza industriale del mondo, secondo le prospezioni di Economist, 2013).

Osserviamo dunque un mondo multipolare, non più caratterizzato dal confronto Est-Ovest, ma piuttosto dal contrasto Nord-Sud, con l’Africa sempre più drammaticamente coinvolta in sussulti di guerre, in rigurgiti di dittature  e povertà estreme, nel quale si innestano le tematiche di cui sopra.

E veniamo alle tre “fonti”. Abbiamo detto che la prima fonte è quella antropologica, che io dividerei in due dimensioni: la prima, più generale, che riguarda la struttura dell’essere umano tout court, a questo punto della sua evoluzione, struttura che conserva tratti significativi di ferinità bio-psichica difficilmente contemperabili con un uso prevalente della ragion politica (Aristotele), della discussione e della mediazione negoziata. Se un militante Al Shabab somalo non ha problemi ad uccidere in situazione, osservo che anche nei nostri sofisticati ambienti politici ed economici non si va tanto per il sottile se si deve “far fuori” un avversario politico. Vi sono persone, così fedeli, ma così fedeli al proprio capo che -in situazione- forse si comporterebbero come un killer di al Qaeda, anche qui da noi (parlo di italiani, beninteso). Direi così: il militante Al Shabab o Califfico che sia, si differenzia dal seguace di Lucio Cornelio Silla, o dell’imperatore Aureliano che agiva (III sec.) nella zona mesopotamica attualmente contesa, non per le sue operazioni militari (che sono abbastanza simili a quelle del grande console romano), ma perché prive dello JUS che caratterizzava quelle antiche. In altre parole, l’uomo di duemila anni fa e quello odierno sono estremamente simili, o l’evoluzione è stata impercettibile (professor Steven Pinker, che ne dice?): tant’è che il XX secolo è stato il secolo più violento di tutti i secoli e soprattutto ad opera delle grandi nazioni e civiltà europee (anche “cristiane”), con i picchi insuperabili di disumanità del nazismo e degli stalinismi. Ricordiamoci poi che nei primi anni ’90 abbiamo avuto nel cuore dei Balcani (Europa!) una guerra civile che ha fatto 200.000 morti. La seconda dimensione antropologica (quindi della prima “fonte”) concerne l’homo islamicus: uso questa definizione paleontologica senza offesa, ma solo per dire che in quella cultura, vi è ancora da dipanare un qualcosa di importante che concerne la separazione delle ragioni della politica e quelle della dimensione religiosa, passo difficilissimo che anche noi “cristiani occidentali” abbiamo superato solo un secolo e mezzo fa, e non del tutto. Le derive della storia sono a volte molto lente.

La seconda fonte concerne il colonialismo classico, soprattutto anglo-francese (senza dimenticare quello italiano, anche se di dimensioni molto minori, e quelli spagnolo, portoghese e olandese), e il colonialismo statunitense, più recente, ambedue legati all’economia e alle sue dinamiche marxianamente prioritarie in ogni dialettica politico-militare. Circa il colonialismo classico, basti qui citare gli accordi segreti degli anni ’10/’20 tra il britannico Sir Mark Sykes e il francese Francois-Georges Picot, che suddivisero geometricamente, a tavolino, terre abitate da popolazioni etnicamente e religiosamente affini, e composero il mosaico su cui attualmente si consuma una tremenda guerra etno-civil-religiosa e petrolifera, componendo l’Irak e la Siria attuali, e lasciando i Curdi sparpagliati in queste due nazioni, nonché in Turchia e Iran. Circa il neocolonialismo, basti qui citare l’assurda, stupida, ingiusta, crudele, idiotissima guerra che Bush (il più cretino dei presidenti USA della storia) e il falsario Tony Blair, vollero intraprendere nel 2003, fino a far cadere quel cialtrone di Saddam Hussein, ma creando le condizioni per gli attuali tragici sviluppi e per i clamorosi errori di valutazione di Obama. Gli americani in un cul de sàc! E, se vogliamo,  possiam citare l’altrettanto stupidissimo intervento deciso e attuato da quella marionetta del presidente Sarkozy nel 2011 contro Gheddafi, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il colonialismo è -infine- il fomite di un odio diventato quasi ancestrale nei confronti delle nazioni che l’hanno praticato, da parte dei popoli dominati.

La terza fonte concerne il conflitto etno-interreligioso-islamistico tra sunnismo e sciismo. Senza qui addentrarci nella storia delle origini di questa divisione, spesso tragicamente sanguinosa, diciamo che in essa si giocano gli interessi e le ambiguità di due polarità, quelle rappresentate, sul versante sunnita dall’Arabia Saudita, e sul versante sciita dall’Iran, che coltivano diversi e contrapposti interessi. In qualche misura queste due nazioni si fanno la guerra “per interposta persona”, e utilizzando, di volta in volta fazioni e sette militar-religiose che esse finanziano sui vari territori, dall’Irak al Libano.

Che fare allora? Che cosa decideranno ora i lentissimi governi occidentali e i loro ambigui alleati del Vicino Oriente per cercare di fermare stragi e devastazioni? La bomba atomica? Un esercito di terra in grado di spazzar via i pazzoidi in nero in due settimane? Credo proprio di no, e per una ragione molto semplice: se trenta o quarantamila tagliagole stanno tenendo in scacco eserciti, sia pure sgangherati e poco motivati come quello irakeno e quello del non-galantuomo Assad in Siria, nonché droni e attacchi aerei della “coalizione”, è perché riescono, con le cattive certamente, ma anche parlando alla pancia profonda delle popolazioni locali e ai capi-tribù, con i quali gli americani (salvo il generale Petraeus) non sono mai riusciti a dialogare, a trovare acqua dove nuotare. La soluzione militare e poliziesca non può che essere un’integrazione di una iniziativa politica coesa delle grandi nazioni occidentali, della Russia e della Cina (che sono indispensabili), insieme con i governi guida delle nazioni islamiche, dove gli aspetti economici siano resi coerenti con un progetto di pacificazione e di reciproca comprensione, nell’ambito dell’islam e tra questo e il resto del mondo.

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