Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’in-equità

beniIl Papa parla a Expo iniziando con un quasi neo-logismo, ma è solo una vocale a differenziare il consueto “iniquità” da “in-equità”, dove inserisco il trattino per evidenziare la differenza formale e la negazione del significato etimologico di “equità” causata dal prefisso “in”.

In-equità dà più il senso di un qualcosa di sbagliato, di “ingiusto”, appunto, di iniquo in quanto “non-equo”, che fa differenza tra gli umani.

Nel suo discorso di saluto agli studiosi partecipanti al workshop di presentazione di EXPO 2015, Francesco afferma: “Non è possibile non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è il frutto della legge di competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole“. E: “qui non siamo di fronte solo alla logica dello sfruttamento, ma a quella dello scarto“.

Riprendo dal web alcune altre parole. Egli innanzitutto richiama due valori primari: la dignità della persona umana e il bene comune, ma non come mere dichiarazioni d’intenti, bensì in quanto linee guida dell’agire politico, custodia e non sfruttamento insensato della Madre Terra, ricordando un detto contadino ascoltato molti anni addietro: “Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai!”. “La terra, che è madre per tutti chiede rispetto e non violenza o peggio ancora arroganza da padroni“. “Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi“, ha aggiunto. “La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce“.

Che cosa si può aggiungere alla chiarezza di tali parole?

Forse basta solo ricordare che il principio di equità deve governare la virtù di giustizia (l’unicuique suum di Aristotele e Tommaso d’Aquino), perché esso non impone di dare a tutti nello stesso modo e misura, ma secondo le necessità. Le necessità sono il metro di misura di ciò che si deve ricevere per vivere, ma anche la misura di ciò che si deve dare, come contributo personale di fatica e impegno, per aiutare a vivere anche i nostri simili, in concerto con noi stessi.

Siamo tutti antropologicamente uguali, ma non identici, anzi irriducibilmente unici, ed è per questo che l’equità è la medicina contro l’egualitarismo astratto che livella chi è diverso, senza rendere il dovuto ai più deboli.

Le dottrine egualitarie hanno fallito perché prive di una sana antropologia, mentre le buone pratiche “equitarie” si pongono come elemento di riequilibrio di ciò che è ingiusto. Questa dottrina supera il modello greco classico, e assorbe la migliore lezione della morale evangelica cristiana (cf  san Paolo, Lettera ai Galati 3, 28: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù“.

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