Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Razza umana

Caro navigatore agostano,

mi è caro il riposo. Le energie son proprio al lumicino. La bio-macchina autocosciente necessita di manutenzione, con l’allentamento delle attività e con il movimento, ben alternati. Lo spirito pure, nel sonno con i sogni, e nella veglia un poco affaticata.

Un po’ di televisione non guasta. Se c’è lo sport, come è d’uso in agosto, ancor meglio.

Guardo ogni disciplina, dal salto con l’asta, dove stavolta il nervoso Lavillenie arriva secondo, ai meravigliosi atleti del decatlon, alla radiosa Yelena Isinbayeva, al lampo un poco appannato di Bolt, ma ciò che mi ha più colpito è stata la corsa più lunga in pista, i 10.000 femminili, dove ha vinto Tirunesh Dibaba, ventisettenne etiope, dalla corsa rotonda e redditizia, davanti a una connazionale e a due keniane, il resto del mondo a un giro di pista.

Il commentatore, una volta tanto intelligente, osservava come i tratti fisiognomici della Dibaba, nera di pelle, fossero “caucasici”, indoeuropei, un po’ come i nostri, dicendo che ciò è caratteristico del “tipo amarico”, insediatosi sugli altipiani del Corno d’Africa qualche migliaio di anni fa.

Traggo dal sito “Rai Storia”:

“Il 15 luglio del 1938 venne pubblicato sul Giornale d’Italia – quotidiano fondato nel 1901, famoso negli anni Venti e poi chiuso dopo lungo declino nel 1976 – quello che poi sarebbe diventato famoso come il “manifesto della razza”, o il “manifesto degli scienziati razzisti”. L’articolo, in prima pagina e non firmato, era intitolato “Il Fascismo e i problemi della razza”. Era diviso in dieci punti e introdotto da un breve sommario in cui si spiegava che un gruppo di scienziati, professori e intellettuali fascisti, insieme al Ministero per la cultura popolare (il famigerato “Minculpop”) aveva redatto il documento per chiarire qual era la posizione del fascismo nei confronti della questione razziale.

Il primo dei dieci punti affermava che “le razze umane esistono” e, per dare un’idea della prosa, diceva così:

Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.

Nel seguito si distingueva tra “razza” – definita “un concetto puramente biologico” – e “popolo” e “nazione”, in cui entravano in gioco considerazioni storiche, linguistiche e religiose. Si affermava che “la popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana” e che, a differenza di quanto successo in “altre nazioni europee”, dopo l’invasione dei Longobardi (nel VI secolo) non c’erano stati grandi movimenti migratori e quindi, si diceva implicitamente, la razza si era mantenuta particolarmente pura. Il manifesto prendeva posizione poi contro i matrimoni misti e, al punto 7, diceva “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”. Il punto 9 affermava che “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”.

Il manifesto venne ripreso da numerosi giornali e poi pubblicato una seconda volta nell’agosto del 1938 sul primo numero di un nuovo quindicinale che aveva appena iniziato le pubblicazioni: La difesa della razza, diretto da Teresio Interlandi. Il sommario che introduceva il manifesto aveva un tono ancora più definitivo: nel testo erano scritte, si diceva, “le basi del razzismo fascista”.

Nella seconda pubblicazione, il manifesto era accompagnato da dieci firme: due erano di medici e il resto di ricercatori e assistenti universitari poco noti. A quanto sembra, quasi nessuno dei firmatari venne interpellato prima della pubblicazione del manifesto, ma sembra che soltanto due di loro (il fisiologo Sabato Visco e il patologo Nicola Pende) abbiano in qualche maniera protestato per essere stati associati al testo (…).”

Altri, come il tedesco Alfred Rosenberg (1893-1946), il marchese Artur de Gobineau (1658-1722) e il britannico Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), avevano teorizzato che i “popoli ariani” erano diversi e superiori degli altri, tragiche idiozie che poi avrebbero ispirato tragedie e massacri.

Invece, l’unica razza umana, peraltro sviluppatasi dal continente africano (la “Lucy” del dottor Leakey era una donna nera di un metro e quaranta!), si è sparsa per tutto l’orbe terracqueo, creando commistioni e tipi innumerevoli, interfecondi e intelligenti, come l’Aborigeno australiano e l’Inuit del Nord Canada, come il tipo Slavo biondo e il tipo Mediterraneo, come il Bantu dell’Africa sub-equatoriale e l’Indio andino, come il Siberiano e l’Indocinese, come me, come te che leggi e come la gazzella Tirunesh degli altipiani.

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