Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Necessità e Contingenza

Contingenza e necessità sono degli “opposti”, secondo la logica classica e kantiana.

1. E’ contingente ciò che ci tocca, ci tange, appunto, e ci interessa perché-passiamo-di-lì: cum-tangere.

Parafraso di seguito il Kant dell’Analitica dei concetti: “La contingenza si può attribuire all’ente la cui esistenza è ritenuta non necessaria ma nello stesso tempo non impossibile: la sua realtà non può essere dimostrata una volta per tutte ma neppure negata definitivamente“.

E’ contingente assistere a una scena, piuttosto che (in questo caso il sintagma “piuttosto che”, di solito abusato, è invece usato correttamente: cfr. Piuttosto Che. Le cose da non dire, gli errori da non fare, di G. Patota e V. Della Valle, Sperling&Kupfer, Milano 2013) non assistervi.

A volte chiamiamo la contingenza “caso“, ma la sinonimia non è appropriata, perché il tema del “caso” apre ancora altri orizzonti riflessivi e argomentativi, che qui non affrontiamo (cfr. precedente post in tema, 2012). Infatti, se la contingenza è inoppugnabile, in ragione della nostra finitezza, il caso si colloca su un piano diverso, più oggettivo, e quindi inafferrabile dalla nostra limitata capacità conoscitiva.

2. E’ necessario ciò-che-non-cessa: nec cessat, infatti.

Ancora Kant: “La Necessità è un principio metafisico secondo il quale la dinamica della materia è governata da un nesso diretto causa/effetto che esclude il caso. Tale concezione teorizza inoltre che l’evidenza della causalità nel divenire della materia deve essere considerata quale pura ignoranza di qualche causa sconosciuta“. Pertanto ciò che è necessario non si può evitare.

Naturalmente qui non citiamo il principio di indeterminazione di Heisenberg, che concerne la fisica delle microparticelle.

Applichiamo ora lo schema argomentativo di cui sopra alla (grazie a Dio) avvenuta formazione del nuovo Governo italiano (non: del paese, cacchio!).

Dopo il (prevedibile, cfr. post quivi post un mese fa circa) fallimento del tentativo astrattissimo di Bersani: il “Governo del cambiamento” (?), le strade erano due, a fronte degli sberleffi dei cultissimi 5 stelle: o a) un governo tra le due classiche forze (debolezze) politiche maggiori, o b) nuove elezioni a giugno con l’attuale verminosa legge elettorale. Prevedibile, probabile, plausibile stesso risultato del 24 febbraio scorso, magari a parti rovesciate: punto e a capo con tre mesi persi, energie buttate e i mercati ringhiosamente attenti a sbranare l’Italia.

Se il ragionamento fila, vorrei chiedere, non tanto ai borborigmi scontati dei vendola, ingroia, diliberto, marco rizzo, ferrero, crosetto, la russa e meloni, ma ai pippicivati, alle laurepuppato (e chi è?) e alle rosibindi: si è seguita la strada della logica umana, o no, logica che funziona ovunque allo stesso modo, se si è sani mente? Domanda retorica, se loro sanno che cosa significhi.

Per tutto ciò il “Governo Letta” è necessario. Ed è anche costruito con misura e intelligenza, gioventù e femminilità, differenza e dialogo. Utile, sarà utile, e non occorre neanche mettergli ora dei termini di durata.

E chi se ne frega se è più contento Berlusconi della sioretta che gioca a tombola alla Bolognina. Chi se ne frega!

Perché tutto passa, non occorre “deberlusconizzare” l’Italia, come dice quell’antidemocratico di Flores d’Arcais, radical chic giacobino da salotto.

 

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