Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La Ragazza di Lublino

Hidruntum. 1480, Akmet Paschà fa decapitare più di ottocento otrantini, che rifiutano l’apostasia. Costantinopoli era appena caduta in mano agli Ottomani di Mehmet II (1453), e il Mediterraneo corso da galere saracene, che contendevano a Venezia i commerci e le rotte. Antiche rimembranze del Turco che giunge spinto dal vento Japigio soffiante dai monti dell’Epiro. Per mare, fino a una baia poco a nord di Otranto, che ancora oggi è chiamata Baia dei Turchi.

La politica delle potenze europee giocava la diplomazia sempiterna anche con il sultano fondatore della Sublime porta, Lorenzo il Magnifico in primis, ma anche Ludovico Sforza e il papa.

2009, Otranto, ristorante Acmet Pashà, cambia un po’ la grafia, ma il posto è lo stesso, il Colle della Minerva vicino, come la Cattedrale che conserva molti dei crani dei decapitati. Altri crani sono custoditi nel Duomo di Napoli. Una nera del Senegal e una ragazza polacca servono ai tavoli.

Il mare è oltre un muretto, e dietro formicolano i vicoli della città vecchia. La sera è già scesa del tardo agosto, e da dietro gli spalti corruschi del Castello aragonese spunta la luna. La nera segue essenziale i suoi tavoli, dignitosa. È giovane, giunco flessibile e orgoglioso.

Un duo di musicanti di pizzica e taranta ricorda l’antico ballo dei morsicati dal ragno salentino, o degli epilettici, o semplicemente del popolo che ritrova la sua dimensione dionisiaca. Da quasi tremila anni nel bacino del Mediterraneo. Il duo scompare poi nei vicoli risuonando di lontano ritmi eterni, giro delle Muse.

Michaela è filiforme, occhicerulea, parla un italiano eccellente, come è possibile a chi è di madrelingua consonantica. Pare che i neuroni accolgano più facilmente una lingua vocalica come l’italiano, se si sono esercitati prima con cascate di dentali, palatali e liquide nella loro durezza originaria.

Non so se si chiama Michaela, ma è un nome che le sta bene: “Chi-è-come-Dio”, Mi-ca-el, l’ebraico arcangelo con la spada fiammeggiante, che guerreggia vincente contro il Dia-bolos, il separatore. Ebbene, si chiama Michaela, e viene da Lublino. Studia e lavora per mantenersi. Ha l’eleganza d’un’elfa Galadriel venuta dai fiordi fin da Evi lontani, con le orde Carele e Svedesi. Un che di gotico arcaico, ma raffinato dai lunghi secoli di paziente osservazione del fluire lento della Wisla. Spiega con precisione i ricchi doni dell’antipasto Acmet Pashà, che è un assaggio completo di terra e di mare, dalle burrate ai moscardini; vino freddo, secco e fermo della Murgia lo accompagna, un Gravina della tenuta del Cardinale. Il grande Nord e l’Oriente fanno conoscenza a Otranto, in vista di un mare corso nei secoli da varie bandiere, aperto e libero. Lepanto stessa è solo un ribadire questa molteplice presenza, che resta nei secoli a venire. Dell’attacco a Otranto nel 1480 la Serenissima era avvertita, e  forse voleva ingraziarsi il Sultano, non intervenendo. Cent’anni dopo avrebbe invece guerreggiato e vinto. Più problematici sono i nostri tempi. È qui che arrivavano orde di profughi dalla costa dirimpettaia delle Aquile, non più di tre lustri orsono, proprio più o meno dove attraccarono i Turchi sei secoli prima.

Michaela queste cose non le sa, ma lei è lì, oggi, quest’estate, ad aspettarci. È un caso (non nel senso di casualità, ma di occasione) nel quale consideri che a volte incontri una persona, e siccome nadie se cruza por azar, cioè niente accade per caso… Passa per i tavoli dialogando con il suo buon italiano e lo sguardo sorridente. Intelligente, dignitoso. Ci consiglia appunto il vino giusto, un bianco fermo secco della Murgia, e un antipasto che è sunto di tutto ciò che terra e mare donano alla grande Apulia e a chi vi passa e soggiorna. La stranezza è il contrasto fra l’approssimazione del vivere mediterraneo e la precisione solenne del vivere nordico. Tanto sono dispendiosi la gestualità e la mimica e il parlato dei meridionali, altrettanto sono sobri, misurati, essenziali quelli di coloro che vengono dal nord. Probabilmente si tratta di un’economia energetica naturale, che il freddo suggerisce e impone. Probabilmente si tratta di una convergenza di sensi, di un superamento dello schema che ci imprigiona: ognuno di noi è fatto com’è fatto e pensa (anzi non pensa) di non poter cambiare. Gli inglesi lo chiamano pattern. Ebbene it needs to break every own pattern! Se vogliamo cogliere qualcosa che sta oltre il nostro misero “io” pensante, supponente, comiziante, e talora delirante, superbamente, autocentratamente. Ebbene, Michaela mi ha dato l’impressione di essere nel beyond del suo schema, nell’oltre, libera, come un volo d’aquila, che fende il cielo senza ferirlo.

 

 

 

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