Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Di Federico Aldrovandi, la memoria per una riflessione razionale

federico aldrovandi

Caro lettore,

riporto di seguito un messaggio del papà di Federico Aldrovandi, ucciso a botte dalla polizia circa dieci anni fa.

“Che dire di così tanta partecipazione e affetto – scrive Lino – . Sospiro commosso e penso a Federico se potesse parlare per ringraziarvi di tanto amore. Questa notte non ho dormito. 10 anni fa alle 6 e 4 minuti Federico se ne andava. Fu subito il buio più profondo. Ora voi siete tante piccole luci di una grande luce… che quel buio avete contribuito a sconfiggere giorno dopo giorno, per quel calore umano che mancò maledettamente agli albori di quell’alba assurda”. Alcune ore prima, in un altro post, il padre di Federico aveva scritto: “Dieci anni senza Federico. Come se fosse accaduto ieri”, dedicando “un bacio e una carezza al cielo, a tutti i figli strappati”.

Non riesco a immaginare me nei panni di questo padre, mi fosse capitato altrettanto. Le sue parole sono nobili e in qualche modo rese pacate dalla riflessione, anche se il dolore permane e la tenerezza pervade le sue parole. Mi dispiace e gli sono vicino con questo mio scritto.

Purtroppo, altrettanto è capitato anche ad altre persone, negli ultimi anni, a Cucchi, a Uva, a Magherini…, e a diversi afroamericani negli USA. E’ sempre “capitato”, ma questa constatazione cinico-scettica non basta. Ciò che “capita” non è solo effetto o frutto del “destino”, di un destino cieco e casuale: è effetto e frutto anche di azioni deliberate, nei limiti del libero arbitrio umano. Ritengo perciò utile ragionarci sopra. Certamente le forze dell’ordine italiane sono mal pagate ed esposte a uno stress quotidiano rilevante, non so quelle americane.

Può capitare che questo stress complichi le cose e faccia perdere lucidità negli interventi, ma c’è dell’altro. Vi sono persone, come nel caso di Federico, che probabilmente “godono” nel passare alle vie di fatto, anche se non necessarie soprattutto in certe modalità, forse rese insensibili dalle esperienze vissute, ma fors’anche predisposte ad agire in tale modo.

E’ l’eterna questione della libertà di agire in situazione e come le circostanze consentono. Nel caso di Aldrovandi i poliziotti accusati e processati si sono difesi dicendo che il ragazzo si era mosso in maniera aggressiva e che l’avevano solo messo nelle condizioni di non nuocere. Però uccidendolo.

Come vi può esserci l’eccesso nella legittima difesa, sempre difficilissimo da definire, vi può essere anche un eccesso nell’agire delle forze dell’ordine, che a volte travalicano i loro compiti di difesa dell’ordine pubblico e dei cittadini. Non dimentico il caso dei BR torturati, in particolare uno, dopo la liberazione del generale Dozier nel 1982. Quei poliziotti lo raccontarono anni dopo, spiegando che le azioni commesse facevano parte di una linea comportamentale dettata dai superiori. Ma le BR non riconoscevano lo Stato e contro di esso usavano la violenza uccidendo persone che erano simboli, secondo le loro teorie malate. Questo il sostrato “filosofico” della linea difensiva dello Stato, che mi pare inadeguata.

L’uso della tortura non è  esplicitamente vietato dalla legge in Italia ed è stato esercitato, di fatto, nei casi citati. Per contro, il benzinaio che ha sparato a dei rapinatori causando la morte di uno di costoro è stato esaltato furbescamente dalla Lega e denigrato dai soliti “politicamente corretti”. Cinismo leghista e buonismo sterile e un po’ idiota: non vanno bene.

Se l’uso della forza e anche di una certa violenza, in uno stato di diritto, deve essere monopolio dello Stato, questo uso non può essere indiscriminato e senza limiti, anche se è difficile porre dei limiti in astratto.

Quello che sembra certo nella vicenda di Aldrovandi, e di altri, è che le forze dell’ordine hanno esagerato, facendo anche “uscire” il lato peggiore delle singole personalità individuali.

I lavoratori delle forze dell’ordine devono essere formati adeguatamente e trattati economicamente come si deve, per rispetto e riconoscimento del loro difficile e pericoloso lavoro, ma devono essere, altrettanto adeguatamente, guidati da capi in grado di valutarne il potenziale, le attitudini e i rischi di comportamenti sbagliati o addirittura, talora, colpevoli, nel difficile e sempre perfettibile lavoro di difesa della democrazia e della convivenza quotidiana.

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