Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Corruptio optimi pessima

un detto di TacitoMio caro lettor decembrino,

la corruzione della persona eccellente è cosa pessima, detto nel titolo in un latino denso e sintetico: tre parole bastano, ma in italiano ne occorrono otto. E in inglese sette: the corruption of the best is horrible. Il latino è superiore.

Chissà perché vienmi in mente tal confronto, nel declinar d’una quieta domenica preinvernale, ancora umidiccia di vapori sciroccosi, buona per la corsa e la meditazione?

Sarà perché leggo un ricordo di Paolo Rossi (beninteso non il prode pedatore, ma un signore un poco più culto di quello), nel quale si dice che la cultura sociale può ridurre la corruzione. Insigni ricercatori (cf. Daniel Treisman, The causes of corruption: a cross-national study, Journal of Political Economics, London 2014) sostengono che la corruzione è minore nelle nazioni “protestanti” e liberaldemocratiche, quasi che quelle mediterranee, cattoliche e prive della Riforma luterana, siano più predisposte corrive, quasi socio-geneticamente, alla corruzione: il noto “familismo amorale”. La tesi forse risente un po’ della nazionalità dello studioso, però…

Ma altri studi si orientano verso sponde differenti: ad esempio, vale la pena di confrontare le tesi di due biologi-sociali come F. Úbeda e e E. A. Duéñez, i quali nel loro Power and Corruption, Evolution (London 2014), sostengono che la corruzione è insita nell’esercizio del potere, fin dai tempi antichi, e che, anzi, una certa corruzione, pur essendo un male in sé, può favorire certi percorsi e soluzioni di problemi. Epperò vi è un “ma”, secondo la loro ricerca la corruzione si diffonde di più dove socialmente è più basso il livello cognitivo e culturale. Dunque, la cultura serve alla morale, come confermano altri studi (cf. N. Potrafke, Intelligence e Corruption, Economic Letters, 2014). La cultura alza la soglia critica delle persone e combatte la buona battaglia della conoscenza umana: ignorare significa essere più fragili, più esposti all’arbitrio degli arroganti, che sono corrotti dal potere (cf, AA.VV., Does power corrupt or enable? When and why power facilitates self-interested behaviour, Journal of Applied Psycology, Vol 97-3, 2012).

Ancora un’altra ragione, dunque, per darsi da fare per la cultura, dimensione e ambito capace di lottare intrinsecamente contro le malformazioni dell’etica individuale e sociale. Come si può fare?

Lavorando ognuno nel proprio ambiente, sapendo distinguere bene i linguaggi, e utilizzandoli secondo la semantica, ma anche la pragmatica, e apprezzando l’infinita espressività della parola, nel rispetto della sua struttura e accezione corretta e profonda.

Curando l’esplicito e l’implicito, avendo rispetto per le parole e per i dicenti, gli ascoltanti e i pensanti, cioè noi tutti. Dispiace rilevare come ancora molti non abbiano questa consapevolezza, tanto più preziosa in questa fase storica che attesta una pesantissima crisi cognitiva, logica e morale.

Assisto a volte a inspiegabili gaffes, anche di persone in possesso di titoli accademici (mia nonna con la terza elementare non ci sarebbe caduta): ciò accade, non solo per carenze cognitive di base, ma per superficialità, disinteresse, freddezza, alessitimia cognitiva, accade. E spesso non viene registrata e discussa.

La corruzione non è solo dunque una mostrazione dell’esiguità etica, ma anche della insipienza intellettuale e morale di molti, che sono intrinsecamente corruttori, di cui bisogna prendersi cura se “vi sono speranze” di resipiscenza, oppure allontanare da posizioni che richiedono un più elevato senso delle cose che si dicono e che si agiscono.

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