Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Pesach, il “passaggio oltre”, la Pasqua del Signore: gloria, laus et honor tibi sit…

Gloria, lode e onore ti siano resi... a chi? a qualche politico? a qualche militare? a qualche religioso? a qualche imprenditore? a qualche presidente di gruppo parlamentare? Mi fermo qui. No.

Pesach, la Pasqua ebraica e cristiana mi invita a parlare dell’uomo di Nazaret e del suo giudice, Ponzio Pilato, così come sono raccontati dai Vangeli, senza dimenticare il prodromo biblico che troviamo in Esodo, là dove l’Angelo sterminatore (Esodo 12, 29), decima piaga voluta dal Signore degli eserciti, passava a uccidere i primogeniti egiziani, dopo che il faraone Ramses II (probabilmente) aveva negato la libertà al Popolo ebreo.

Solo a lui, questo antico tropo liturgico è appropriato, a Jehoshua ben Josef ben Nazaret, dissanguato, soffocato, ammazzato su una croce di legno circa duemila anni fa, o poco meno, per ordine del prefetto o procuratore romano della Giudea e della Galilea, Tiberio Julio Caesare Augusto imperante, Pontius Pilatus. Per ragioni di carattere politico-religioso, in coda a un processo sommario, dove la pubblica accusa era il Sinedrio gerosolimitano, dove mancava l’avvocato difensore dell’accusato, e Ponzio Pilato era giudice unico, inappellabile.

Di Pilato parlano alcune fonti giudaiche antiche del I secolo, come la Guerra giudaica (70 d. C. più o meno) e le Antichità giudaiche (90 di C. più o meno), ambedue di Giuseppe Flavio. La fonte più vicina, però, agli eventi che concernettero Pilato per rapporto a Gesù di Nazaret, si trova in uno scritto del 41 di Filone di Alessandria dal titolo L’ambasceria a Gaio; non si possono dimenticare le citazioni di questi eventi, purtroppo andate perdute, che la tradizione colloca negli Annales di Tacito, e anche ciò che scrisse in tema il vescovo Ignazio di Antiochia nelle sue Lettere agli abitanti di Smirne, di Magnesia e di Tralli, all’inizio del II secolo d. C.

Per il Nuovo Testamento, la storia del processo a Gesù presso il prefetto romano è riportate in modo diverso, ma sostanzialmente coerente, soprattutto per quanto concerne gli accusatori di questo “imputato”, che erano semplicemente i componenti del Sinedrio ebraico di Gerusalemme, anche se – pare – tale accusa non raccogliesse l’unanimità del Sinedrio stesso. Ad esempio ci si può chiedere se fosse d’accordo con il Sinedrio un Giuseppe d’Arimatea, maggiorente rispettato e stimato, oppure Nicodemo, che ebbe da Gesù parole importanti ma… non lo sappiamo. L’accusa era di blasfemia, secondo un’interpretazione letteralista e rigorista delle leggi mosaiche. Del libro del Levitico in particolare. Peccato-reato (qui si noti la connessione tra dimensione religiosa dimensione civile nella cultura politica del tempo e di quei luoghi e Nazione) meritevole della pena di morte.

Vi sono però alcune differenze tra i racconti degli evangelisti: ad esempio Marco racconta di un Gesù innocente rispetto all’accusa di avere complottato contro l’impero romano, cosicché Pilato è molto riluttante a giustiziarlo, poiché al lui interessava sostanzialmente che non si attentasse all’unità dell’impero e all’autorità di Tiberio Cesare… perché delle cose teologiche a lui poco “caleva”, come si suol dire, o nulla.

Nella narrazione matteana troviamo un Ponzio Pilato quasi annoiato e riluttante a impegnarsi in una diatriba che lui riteneva sostanzialmente interna al mondo giudaico e manda a morte Gesù di Nazaret, lavandosene le mani, quasi a dire “non rompete più, lo metto a morte e toglietevi dai piedi” (parafrasi fantasiosa del tutto mia). Luca racconta, un po’ come Marco, che Pilato non stava riscontrando minacce terroristiche allo stato romano da parte di quello strano uomo Galileo, e Giovanni invece, unico tra gli evangelisti, risposta il breve dibattito teologico fra l’imputato e il procuratore su chi fosse realmente Gesù di Nazaret. Ma si trattò di un dialogo asimmetrico, nel quale Gesù afferma di essere ciò che Pilato stesso gli chiedeva, cioè se fosse il Figlio dell’Uomo o Messia… Gesù risponde in questo modo, come sappiamo “tu lo dici: io sono” (Gv 18,37).]

La storicità del prefetto Ponzio Pilato non risulta essere ben messa a fuoco dagli studiosi. Ad esempio, nel “Nuovo Grande Commentario Biblico” si osserva che “i ritratti che ne danno i vangeli come di un uomo indeciso e preoccupato della giustizia contraddicono altre antiche descrizioni della sua crudeltà e ostinazione“: John Dominic Crossan, di contro, afferma che “le informazioni riguardanti Pilato [che ci giungono] da Flavio Giuseppe mostrano la sua mancanza di interesse per la sensibilità religiosa ebraica e la sua capacità di avere metodi piuttosto brutali per il controllo della popolazione“.

Torniamo al racconto giovanneo, che è il più fecondo teologicamente. La più importante domanda di Pilato a Gesù fu se lui considerasse se stesso come re dei Giudei. Nel Vangelo secondo Giovanni si riporta che Gesù afferma di essere venuto al mondo per confermare le profezie, cioè la verità, con modalità e rischi politico-religiosi che la casta sacerdotale sadducea temeva. Egli dice: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»; al che Pilato chiede: «Che cos’è la verità?».

Non si può sapere storicamente con certezza se il procuratore romano, poco incline a discorsi teologici, dialogò in questo modo con l’imputato che il Sinedrio voleva morto, ma il racconto, forse simbolicamente, propone un PIlato che quasi filosofeggia con quest’uomo, la cui presenza era insopportabile per i sacerdoti del Tempio e quindi rischiava di creare problemi anche all’autorità imperiale.

Pilato non aveva nessuna voglia di condannare Gesù e prova a metterlo nella situazione di poter essere liberato, come si usava in occasione della Pasqua ebraica. Aveva lì in carcere un assassino di nome Barabba (forse, Barabba significa in ebraico “il figlio del padre”, e chi è il-figlio-del-padre?), e prova a metterlo in alternativa a Gesù, sperando che quest’ultimo fosse scelto per poterlo liberare.

Ma gli emissari del Sinedrio fanno sì che la scelta del popolazzo (paragonabile a quel popolazzo che il 10 giugno 1940 si esaltò a piazza Venezia quando ascoltò le disastrose parole di Mussolini che dichiarava guerra a Francia e Gran Bretagna: i due popolazzi esultarono, il primo per far crocifiggere Gesù, il secondo per provocare la distruzione dell’Italia, e ancora emerge la teoria di Gustave Le Bon!)

Nel vangelo secondo Matteo troviamo un intervento su Pilato della moglie Claudia Procula, che aveva sognato di Gesù e consigliava al marito di liberarlo. I sogni tornano a farsi vivi, come in altre parti del racconto biblico. Ma Pilato non vuole storie (ne aveva già molte) con quel popolo inquieto e dice: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”, e il popolazzo sinedrita risponde: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Mt 27, 24-25).

La domanda se questi eventi possano essere considerati storicamente attendibili non trova risposta unanime, così come l’episodio della “vendita-tradimento” da parte di Giuda Iscariota per trenta denari, che poi si sarebbe impiccato in un podere che la tradizione chiamò in seguito Campo di Sangue. Tali episodi possono essere considerati racconti popolari raccolti dalla narrazione evangelica per ragioni teologiche.

In realtà, il fatto di scagionare giuridicamente e politicamente Ponzio Pilato, è stato tragicamente utile per essere utilizzato dai cristiani, per secoli, al fine di considerare gli ebrei gli assassini del Messia, con tutto ciò che ne è seguito nella storia umana dell’Occidente.  

Il procuratore romano è citato, oltre che nei Vangeli, anche in un apocrifo del II/III secolo, nonché dall’agiografo Eusebio di Cesarea, il quale parla di Pilato, che avrebbe fatto una triste fine sotto Caligola. Un altro scrittore di quel tempo, Agapito di Ierapoli riporta l’ipotesi che il vecchio prefetto della Giudea si sarebbe suicidato, sempre sotto Caligola.

Un ultimo testo che parla di Pilato si chiama Testimonium Flavianum, capitolo delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio databile alla fine del I secolo, che però non pare del tutto affidabile per storicità, ma mi piace riportarne un brano…
«Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, e attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.»

Epperò, questo testo potrebbe essere una interpolazione successiva curata da Eusebio di cesarea, come afferma un manoscritto arabo del X secolo, ma questo è normale.

Cornelio Tacito, invece, parla di Gesù in questo modo, assai negativo…
“Cristo era stato ucciso sotto l’imperatore Tiberio dal procuratore Pilato; questa esecrabile superstizione, momentaneamente repressa, è iniziata di nuovo, non solo in Giudea, origine del male, ma anche nell’Urbe, luogo nel quale confluiscono e dove si celebrano ogni tipo di atrocità e vergogne.”

In sostanza, Pilato, che fosse stato procuratore o prefetto non importa, è chiamato in tutti e due i modi dai vari scrittori, fu una figura importante di quel tempo, nella storia di Gesù di Nazaret, nell’occasione di quella lontana Pesach, che fu il momento centrale della vita di quell’uomo e lo snodo essenziale di tutta la storia del mondo.


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