Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Del silenzio, nel momento della confusione; dialogo con Luca Borrione da Torino, interpellando il padre Antonio Gentili, san Benedetto da Norcia e Romano Guardini

Luca Borrione è un filosofo che insegna a Torino. Collega mio in Phronesis, lo apprezzo per la sua cultura ed eleganza, il suo garbo e la sua capacità di ascolto. Qui abbiamo concordato di pubblicare un nostro carteggio e un paio di suoi brevi saggi.

Luca Borrione

Caro Renato,

ho ascoltato davvero con grande attenzione il tuo intervento sulla Persona che mi hai segnalato, così ti scrivo due righe a mo’ di appunti per ulteriori e più approfondite riflessioni e dialoghi. Speriamo dal “vero”. * Mi ha provocato la tua affermazione: anche l’Etica è una scienza perché è un sapere strutturato. E’ un’affermazione netta e inattuale, per questo mi fa pensare profondamente. E provoca molte domande sul significato che ai nostri giorni si dà al termine “scienza”. Insomma: un’affermazione inattuale e, pertanto, attualissima. Nel tuo discorso è centrale la riflessione sulla Libertà dell’uomo. E lo è anche per me. La libertà è uno dei temi più difficili e radicali che si possano affrontare in filosofia.

L’estate scorsa mi hai regalato il tuo libro “Della libertà“: lo leggerò presto. Per sviluppare ulteriormente il problema da un punto di vista tragico/cristiano – qual è il mio – per ora ti segnalo le “Lezioni di Napoli” che il mio maestro, Luigi Pareyson, tenne nel 1988: le conosci? Sono inserite nella sua “Ontologia della libertà“. Per me restano fondamentali. Bella l’intuizione estetica che, a un certo punto del discorso, fai sul bisogno di finzione per poter vivere insieme. Di qui la domanda: che rapporto c’è tra la dimensione etico/scientifica quella estetico/mimetica?

Mi trovi pienamente concorde sull’apertura della dimensione umana al Sacro, più potente dell’Essere… Da molti anni cerco di praticare, di esperire la mia fede cristiana attraverso la meditazione della preghiera profonda del padre barnabita Antonio Gentili; ho seguito dei sui corsi ad Eupilio, in Brianza, e in Umbria. Siamo anche diventati amici e ho riflettuto un po’ sulla sua opera, scrivendo due brevi interventi che ti inoltro. Credo che possano interessarti. Per ora ti saluto, caro Renato. A presto. Un abbraccio! Luca

Caro Luca,

prima di tutto un complimento per la scorrevolezza e la leggibilità dei tuoi due testi critici, che non “fanno alcun danno” alla profondità e alla coerenza della riflessione. Il problema dello studioso è sempre quello relativo alla domanda circa la sua fruibilità: è un testo leggibile e apprezzabile da chi? Solo da “addetti ai lavori”? Da un pubblico più vasto? E allora a volte questo dilemma non si compone, rischiando di passare, a proposito di polarità, da una comunicazione alla “Piero Angela”, a una comunicazione alla “Critica della ragion pura” kantiana. Mi pare che tu sia riuscito a “stare più alto” del citato giornalista senza diventare un asceta del senso/ significato.

Parlo brevemente prima dei due testi che mi hai inviato. Oltre alla suggestione che dà la frequentazione dei luoghi di meditazione che citi, la figura del p. Gentili e i riferimenti forti a Romano Guardini, che ho letto, ma poco, qua e là, trovo connessioni profonde, invece, con mie letture e studi fondamentali per la mia formazione: prima di tutto, Tommaso d’Aquino, cui probabilmente si ispira anche Guardini, quando propone il rapporto di composizione tra diversi “ambienti spirituali”, dove si possono trovare – a ben vedere – anche echi cusaniani (la coincidentia oppositorum).

La “composizione (che è anche relazione) necessaria del diverso” è un fondamento metafisico che Tommaso in alcuni testi, sia della Summa Theologiae, sia nel suo commento al De anima di Aristotele, pone come centrale, chiamando questi “poli” exitus e reditus, uscita e ritorno, ma dove? Nella propria interiorità – di ciascuno – dopo aver provato a conoscere il mondo, ma per ritornarvi dopo la meditazione sulla conoscenza stessa, che è sempre parziale, acquisita con l’exitus.

Un altro polo della mia formazione è quello benedettino. Ecco che qui trovo il tema del silenzio che, per il santo subiacense è una delle tre virtù umane da accostare alle quattro cardinali (te le ricordo, anche se tu le conosci bene: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, di origine platonica, agostiniana e gregoriana, cioè dell’ambiente di Benedetto), appunto: – il silenzio (dei monastero), che prevede un vigilante uso della parola tra confratelli; – l’obbedienza, che si configura come un “ascolto attivo e rispettoso” (ob-audìre) di chi merita per virtù morali di essere ascoltato”; – l’umiltà, come consapevolezza del limite (limes) e della finitezza dell’umano. Vengo al tema dell’etica, che ti ha colpito nella mia lectio.

san Benedetto da Norcia

Devo dirti che trovo curioso che la sua scientificità non sia largamente considerata. Quando cito la scientificità dell’etica, non intendo l’accezione del termine come lo si intende oggi o, meglio, in senso “gentiliano” (tu sai che il ministro Gentile, quando nel 1923 riconsiderò la classificazione delle discipline per le scuole superiori e per il mondo accademico, distinse rigorosamente tra saperi scientifici, annettendo al sintagma, innanzitutto matematica, fisica, biologia, geologia ed affini, e saperi umanistici, con tale termine intendendo lettere, filosofia, pedagogia, arte et similia). Tale lavoro gli permise di creare i prodromi di una riorganizzazione del sistema scolastico-accademico che favorì, fra l’altro, l’istituzione, da una costola del liceo classico, del liceo scientifico.

E’ evidente che Giovanni Gentile, con la sua cultura di alto livello, sapeva quello che faceva, ma non poteva prevedere il futuro della cultura italiana. Infatti, i decenni, anzi il secolo quasi che lo separa da noi, ha fatto sì che questa dicotomia fra saperi scientifici e saperi umanistici si accentuasse molto, creando – a mio parere – un grosso guaio epistemologico: quello di far ritenere che le due “famiglie” culturali fossero inconciliabili e quasi contrapposte, se non “nemiche”. Questo a mio parere è inaccettabile. Perciò, una parte del mio sforzo di ricerca, da anni è dedicato a trovare le strade per una ricomposizione che, tra l’altro, interpella i concetti guardiniani, gentiliani e tuoi, di cui sopra e nei tuoi scritti. In molti scritti miei, e in occasioni pubbliche di conferenze o lezioni ho sostenuto quello che hai ascoltato nella lectio che hai voluto commentare.

L’etica può essere considerata una scienza, in quanto ha uno statuto epistemologico ben chiaro, se si vuol fare la fatica di studiarlo. E ciò non solo perché costituisce uno dei temi fondamentali di scritti filosofici tra i maggiori dell’Occidente, come l’Etica a Nicomaco di Aristotele, la Summa Theologiae (la Secunda secundae, in particolare), La Critica della Ragione pratica di Immanuel Kant, ma perché può essere declinata con gli strumenti concettuali della modernità. Un esempio, per sintetizzare, io son solito suddividere lo studio dei concetti dell’Etica in sei “scuole”: l’utilitarismo, il prescrittivismo e il collegato deontologismo, l’edonismo, l’emotivismo, il culturalismo e il FINALISMO, in maiuscolo, poiché ritengo sia la scuola che riassume e nobilita tutte le altre, elevandole con il suo Fine, che è la Tutela integrale di tutto l’Uomo e della Natura.

Una visio che è cristiana, se vuoi “matteana” e “lucana” in particolare, ma anche laicamente umana. Circa il tema dell’estetica, lo intendo in modo “aristotelico”, nel senso dell’àisthesis, come manifestazione dell’essere sostanziale delle cose: l’essere-che-appare-all’evidenza, l’essere che è ciò-per-cui-l’ente-è. Certamente questa mia visione è lontana da un Wittgenstein e dai suoi emuli, ma mi pare ancora discutibile con la cura e il rispetto necessario quando si riflette sulle grandi dottrine. Circa le dottrine orientali, le conosco poco. Panikkar è stato una mia lettura così come il padre gesuita De Mello, che citi nel pezzo su Guardini. Che dire altro? Mi piacerebbe trovare presto anche in Phronesis lo spazio per poterne parlare ancora.

Ora ti saluto, perché tra poco iniziamo il nostro seminario di Phronesis Nordest su “Filosofia versus Psicologia“, a presto, buona Domenica caro Luca

renato p.s. un’idea, Luca, se tu fossi d’accordo, potrei pubblicare sul mio blog i tuoi due saggi inviatimi e questo nostro dialogo. Se sì, dovrai inviarmi i saggi in word…

ed eccoli!

La via del silenzio in p. Antonio Gentili e in Romano Guardini: brevi appunti per un fertile confronto.

Il mio incontro con la pratica e con l’opera di p. Antonio Gentili è un’esperienza spirituale che mi coinvolge su più piani esistenziali. In primo luogo sul piano della preghiera: nel partecipare alla settimana o ai giorni di ritiro spirituale guidati da p. Antonio nella casa di Campello sul Clitunno e a Eupilio mi sono avvicinato a una pedagogia della preghiera del cuore che desidero sempre più far mia nella quotidianità frenetica che vivo, immerso nella routine metropolitana di Torino.

In secondo luogo sul piano riflessivo, perché la meditazione dell’esperienza vissuta e la lettura dei testi di p. Antonio mi sollecitano a un confronto tra questa prospettiva e quella di un altro mio grande maestro: Romano Guardini. In questi brevi appunti abbozzerò, pertanto, un parallelo tra i due autori focalizzandomi, in particolare, sul significato e sull’importanza che la via del silenzio va ad assumere nel loro insegnamento: ne emergeranno fertili assonanze, profondi richiami e utili illuminazioni per ulteriori sviluppi e ricerche.

padre Antonio Gentili

1. Inattualità e necessità del silenzio.

Uno degli elementi che caratterizzano di più la nostra età contemporanea è perdita del silenzio: dappertutto s’impongono i rumori delle macchine e le chiacchiere senza tregua degli uomini. Nell’agile volumetto dedicato agli otto Digiuni per vivere meglio… e salvare il pianeta, uscito in occasione dell’Expo 2015 di Milano, p. Gentili rileva che viviamo in un tempo in cui siamo immersi in un costante e, apparentemente, inarrestabile “consumismo delle parole” che può degenerare in un vero e proprio atto di “terrorismo delle chiacchiere”. Richiamando la prospettiva heideggeriana, aggiunge che l’uomo che “si mantiene nella chiacchiera è del tutto tagliati fuori dal rapporto primario, originario e genuino del proprio essere” con il mondo, l’altro e con se stesso.

Già nel 1930 R. Guardini ci presenta uno scenario sociale ormai votato alla dimenticanza del silenzio e al tramonto di un mondo antico e più autentico: “Pauroso è il mondo che ci circonda. Se andiamo per la città, fra il frastuono, dall’una all’altra via, nelle strade, dove tutto incalza, accanto alle botteghe, in direzione delle quali risplendono mille occhi avidi, dobbiamo trattenere la nostra anima perché non venga trascinata, a pezzi, tra quel correre e gridare” .

E ancora: “Perché il motociclista fa baccano? Potrebbe guidare anche più silenziosamente. Ma il rumore gli procura divertimento. La tecnica potrebbe senz’altro produrre motori più silenziosi, ma il compratore vuole quelli rumorosi. Perché? Perché non ha alcun centro autentico, la sua personalità è vuota, ma il frastuono che produce gli dà la sensazione di essere qualcosa e qualcuno”.

Ben diversa è la situazione se ritroviamo quello che era il ritmo abituale del passato semplicemente uscendo “di notte per la campagna silente (…), forse c’è una montagna e all’intorno tutto s’inabissa e noi stiamo liberi, come tesi verso l’alto, al placido splendore delle stelle”.

La ricerca della via del silenzio si rivela, pertanto, non un raffinato processo di rifiuto della vita, ma un più incisivo e fruttuoso sperare nella vita stessa e nella storia dell’uomo: un’esperienza tanto più necessaria, quanto più questi tempi postmoderni echeggiano ritmi tribali di rumori meccanici e di chiacchiere strepitanti. P. Gentili cita, al riguardo, proprio lo stesso Romano Guardini che nella Visione cattolica del mondo scrisse che “solo nel silenzio si può veramente udire” e che bisogna “esercitare il silenzio anche in funzione della parola”, poiché “la parola è sostanziosa e fattiva soltanto quando sale dal silenzio”.

Il cammino spirituale dell’uomo richiede, perciò, un’attenta e costante pratica del silenzio e della parola e un’indagine sul loro rapporto dialettico non può che chiarire e confermare questa profonda realtà che struttura il nostro concreto essere vivente.

2. La polarità di silenzio e parola 2.1 Polarità La parola e il silenzio sono i due momenti di un’opposizione polare che segna tutta l’esperienza della vita dell’uomo e dell’esistente.

Al riguardo, p. Gentili parla di grande legge dell’esistenza umana, sempre scandita da una “molteplicità di polarità, a cominciare dall’alternarsi del giorno e della notte, della veglia e del sonno”. Tale polarità è radicata nell’essere umano originario, riflesso dell’immagine divina e della relazione insita nel mistero trinitario: “All’inizio abbiamo una realtà indifferenziata, che si traduce concretamente nella diade umana: una bipolarità di maschio e femmina, nella quale si riflette l’immagine di Dio, la cui vita è vita di polarità (Padre-Figlio) che interagiscono in comunione d’Amore (Spirito Santo). Né l’uomo né la donna singolarmente presi possono essere considerati immagine di Dio. La somiglianza con Dio sta nel fatto che la coppia è chiamata a riflettere la bipolarità, la complementarietà e la reciprocità che caratterizzano la vita intra-trinitaria”.

Il senso di tale interpretazione polare della realtà può risultare più chiara ed evidente accennando alla filosofia guardiniana del Gegensatz: dell’opposizione polare, per l’appunto. “Tutta l’estensione della vita umana – scrive Guardini – sembra dominata dalla realtà degli opposti. In ogni suo contenuto sembra di poterli indicare. Probabilmente non soltanto nella vita umana, essi stanno forse alla base di ogni realtà viva e forse di ogni realtà concreta”.

Un punto chiave della teoria, come osserva S. Zucal, è tutto nella distinzione rigorosa tra contraddizione e opposizione: “nel primo caso non può esserci né composizione, né sintesi, né polarità, ma solo opzione alternativa, un radicale aut-aut, nel secondo caso invece ciò che si distingue e si oppone, in realtà si richiama, si integra, rinvia ad un’unità comprensiva che non costituisce la pura e semplice sommatoria (…) ma l’ambito in cui la loro tensione vitale si realizza e si giustifica”. La prospettiva polare è rintracciabile in tutta la vita in generale, ma trova un suo specifico riscontro nella vita dell’uomo, portatrice, in tutte le sue dimensioni spirituali ed esistenziali, del sistema degli opposti polari.

2.2 L’uomo a due dimensioni: la polarità nella vita spirituale.

A fronte della visione dell’uomo a una sola dimensione, visione tipica dell’illuminismo che afferma la sola dimensione umana immanente del fare, del ragionare, del calcolo e dell’efficienza, si fa sempre più forte l’esigenza di ritrovare l’uomo profondo in cui prevale il cuore piuttosto che la mente. Scrive p. Gentili: “La vita dell’uomo è come la risultante di due coordinate. In base alla prima, l’uomo è irresistibilmente spinto a vivere al di fuori di sé. Cerca il rapporto sociale, si esprime nel lavoro con cui trasforma le cose, si diverte, si immerge negli avvenimenti: vuole conoscere ed esserne partecipe. La seconda coordinata sollecita l’uomo a vivere dentro di sé. Lo richiama alle segrete abitazioni interiori, gli rende gioiosa la compagnia dei propri pensieri, lo riconduce alla scaturigine dei propri sentimenti”.

Ecco il richiamo diretto di R. Guardini: “Fra questi due poli, il centro dentro di me e il mondo intorno a me, oscilla la mia vita. Di continuo io esco verso le cose, osservo, afferro, posseggo, plasmo, ordino. Poi ritorno nella mia intimità (…). L’uscita e il rientro, e di nuovo l’uscita e il rientro non si verificano una o due volte soltanto, ma innumerevoli volte; è un gioco ininterrotto di atti di cui è fitta la nostra vita”. Se è vero che la vita introversa e la vita estroversa rivelano le due differenti attitudini del concreto vivente dell’uomo, è altrettanto vero che per p. Gentili solo un loro sapiente dosaggio “determina anzitutto la qualità stessa della propria esistenza” e, soprattutto, del nostro rapporto con Dio che “beneficerà di questo stato di equilibrio e di pienezza esistenziale. Sperimenteremo Dio contemporaneamente come altro da noi e dentro di noi”.

E così gli fa eco Guardini: “Il cuore che non sa anche raccogliersi in sé, nel nascondimento e nel silenzio, non può vivere, è come un campo dal quale si pretenda ricavare incessantemente dei frutti, in breve si isterilisce. La parola è sostanziosa e fattiva soltanto quando sale dal silenzio. Certo vale anche il correlativo: per essere sostanziosa e per aver forza di tradursi in azione essa deve trovare la via nella parola concreta”. Una vita decentrata sull’esteriorità provoca, d’altra parte, una progressiva perdita del centro intimo e profondo dell’uomo e una pubblicizzazione dell’esistenza votata solo più all’espressione di eventi e di notizie finalizzate a priori solo a questo.

Quanto mai attuale si rivela, pertanto, l’inattuale pensiero di Guardini. Sembra un giudizio scritto oggi sull’invadente e inarrestabile utilizzo dei social network: “I contenitori delle operazioni vitali dell’uomo sono diventati come vetro, e la gente si muove là dentro come frotte di pesci in un acquario che si può osservare da ogni lato in tutto ciò che vi si fa”.

2.3 La polarità nella meditazione e nella preghiera del cuore.

In Guardini il ricentrarsi e il ritornare a sé si rivelano un atto preziosissimo, perché “nei tempi di silenzio noi siamo come nella scaturigine profonda di una sorgente. Dove la vita misteriosa si unisce in se stessa in modo ineffabile; si fa tranquilla e ricca, e acquista la forza di mantenere in atto il proprio ritmo anche nei tempi di attività”. Il silenzio diventa, pertanto, la via obbligata “per penetrare nel nostro intimo, per penetrare in quella profondità, in quel silenzio, in quella forza che chiamiamo anima” , ma per vivere questa realtà è necessario praticare un adeguato esercizio e formarsi un una particolare arte: l’arte della meditazione che “mira a raggiungere questo divenire-dentro, divenire-in (Inne-Werden, Ein-Werden).

E ad essa serve la preparazione, in cui il meditante si sforza di farsi silenzioso, di recuperare il suo essere dissipato e di giungere a una presenza raccolta”. La preghiera, in questa prospettiva agostiniana, è proprio quell’esperienza in cui, come afferma p. Gentili, si passa “dal mondo dell’uomo al mondo di Dio (…). Non va dimenticato che la preghiera autentica scaturisce dalla percezione che nel centro più profondo del nostro essere (il cuore), pulsa il cuore di Dio”.

L’arte della preghiera richiede, pertanto, una pratica tenace e un allenamento costante che impegnano l’uomo nell’intero corso della sua esistenza e tutto l’insegnamento di R. Guardini e di p. Gentili testimonia quanta attenzione, cura e volontà siano necessari per apprendere e formarsi in quest’arte . Non è certamente possibile, in poche righe, sviluppare, neppure per brevi cenni, quanto i due autori hanno scritto al riguardo. Mi voglio, però, almeno soffermare sui due atti introduttivi alla preghiera che, ancora una volta, confermano la struttura polare di ogni esperire umano: il segno della croce e il respiro.

Essi sono come quella porta d’ingresso che l’uomo deve superare per percorrere la via del silenzio e incontrare, nel suo profondo, il mistero di Dio. Le osservazioni di R.Guardini poggiano sul riconoscimento di un legame sostanziale tra la dimensione spirituale e quella corporea: la mano, il segno di croce, l’inginocchiarsi, il nome di Dio sono realtà liturgiche in cui è soggetto l’uomo intero e in cui “si tratta certo dell’anima, ma essa di manifesta nel corpo”. Lo scopo di tale educazione è una spiritualità incarnata o, nella prospettiva polare, una corporeità spiritualizzata, perché “dobbiamo staccarci dalla spiritualità menzognera del XIX secolo” e tornare ad essere uomini integri capaci di leggere i simboli del creato.

In questa visione si comprende come, per R. Guardini, la pedagogia della preghiera e dell’azione liturgica si debba anche radicare in un’attenta e accurata preparazione che parta dal corpo: “respirare, camminare, stare in piedi, tacere, anche recitare insieme salmi a coro. (…) Questa liturgia era pensata e pensabile per ognuno, non era un fatto di monaci esperti. Guardini gettò un ponte sull’abisso esistente tra il rinnovamento liturgico, fino allora monastico, e ciò che era invece realizzabile dai laici”.

L’opera di p. Gentili recupera nell’interezza la prospettiva della polarità guardiniana, declinata sul piano liturgico e meditativo, interpretandola e rinnovandola, da un lato, alla luce del magistero del Concilio Vaticano II e della rivoluzione dovuta alla conoscenza e all’accoglienza delle prassi meditative del lontano oriente, dall’altro, rifacendosi all’insegnamento originario del fondatore dei barnabiti, sant’Antonio Zaccaria, che attribuiva alla meditazione tale importanza da ritenerla indispensabile alla vita spirituale.

Il respiro va, così, a rivestire alcune valenze che p. Gentili riconduce, come loro fonte ispiratrice, allo stesso R. Guardini: la gratuità, la purificazione, l’alternarsi di vita e morte, la comunione cosmica, la comunione divina. Gli esercizi proposti nella pratica meditativa di p. Gentili mostrano costantemente la dialettica polare del nostro concreto vivente, immerso nel mistero dell’esistenza: “Il respiro richiama la più problematica delle polarità: vita-morte. Il respiro ci insegna che queste ultime sono inscindibilmente concatenate e ci educa a considerare normale il loro alternarsi. Ogni processo respiratorio le include e ne scandisce l’incessante accavallarsi. Espirare è in realtà segno del morire (…). Inspirare è a sua volta segno del vivere effuso in noi dallo Spirito Santo originario”.

Il secondo atto che richiede cura e attenzione per introdursi nella pratica meditativa è il segno della croce di cui p.Gentili propone cinque possibili letture simboliche, letture che risvegliano il corpo e la mente alla dimensione divina e spirituale nella quale dobbiamo riconoscerci e verso la quale dobbiamo orientarci per scoprire la nostra autentica natura creaturale. Anche nella gestualità del saluto cristiano possiamo, infatti, ritrovare la polarità mente/cuore che caratterizza il nostro vivere umano, orientato al mistero e alla trascendenza della vita trinitaria e della dialettica io/Dio e predisporci, così, alla preghiera interiore.

3. Oltre la polarità: nel cuore del silenzio, davanti a Dio

In ultimo, però, la pratica meditativa della preghiera del cuore ci porta all’incontro con Dio: un incontro in cui la polarità di silenzio e di parola cede il passo all’ascolto del silenzio e all’unione sponsale dell’anima con Cristo.

Lì ogni polarità non può più essere distinta perché si è nel cuore del silenzio, dentro il mistero della vita. La via del silenzio indicataci da p. Antonio e da R. Guardini ci conduce a questa soglia, dove la parola tace e si è soli davanti al Solo: “un sacro cerchio di casta solitudine cinge quel silenzio dove il cuore è solo con Dio”. “Egli è qui. Io sto davanti a Lui”. Torino, 21 gennaio 2018

Su Antonio Gentili, Cerca il silenzio. Troverai te stesso e Dio, Edizioni Ares – 2019

Se noi potessimo vedere nel mondo un volto attraverso cui il divino ci guarda, l’incontro con il divino sarebbe non il secondo passo ma il primo. La percezione del sacro mistero non sarebbe qualcosa in cui noi penetriamo attraverso l’immediata esperibilità del mondo, ma noi vedremo il mondo senz’altro in questo mistero”.

Le parole di Romano Guardini, tratte dalla Fenomenologia della religione, potrebbero servire da epigrafe per introdurre l’ultimo libro-intervista di p. Antonio Gentili (Cerca il silenzio. Troverai te stesso e Dio) almeno per una duplice ragione: in primo luogo perché la ricerca e l’incontro con il mistero di Dio si rivela il desiderio radicale di tutta la sua esistenza e, in secondo luogo, perché la prospettiva “polare” di Romano Guardini è una sorta di filigrana che segna sostanzialmente la visione esistenziale, filosofica e religiosa di p. Antonio Gentili, così come cercherò di far emergere attraverso queste brevi note su Cerca il silenzio.

In realtà, il libro mostra la sua polarità sin nella sua stessa struttura. Si tratta, infatti, di un libro-intervista tra la scrittrice Rosanna Brichetti Messori e p. Gentili: un’intervista che si traduce spesso in un vero e proprio dialogo, sostenuto da una sensibilità e da una curiosità che non esita, con la grazia e la delicatezza indagatrice propria del genio femminile, a sollecitare le risposte di p. Gentili anche là dove il discorso sembrerebbe concluso o, quanto meno, dato per scontato. Rosanna Brichetti Messori conosce p. Gentili da quasi quarantanni.

Erano, infatti, gli inizi degli anni ottanta quando lei e suo marito, trasferitisi da poco a Milano, sentirono per la prima volta “parlare di questo barnabita, che nella casa di esercizi del suo ordine, ad Eupilio, in Brianza, teneva corsi di preghiera meditativa”. Mossa dall’esigenza di rispondere ad alcuni seri interrogativi che, come cristiana, si stava ponendo nel momento in cui aveva intrapreso un metodo di lavoro psico-meditativo di matrice orientale al fine di alleviare le sue sofferenze fisiche, Rosanna alla prima occasione raggiunge Eupilio.

E vi ritrova una guida che sa attingere sapientemente dall’Oriente, conservando un profondo amore per la fede e per la tradizione cristiana: p. Gentili, per l’appunto. Si fida di lui e inizia, così, un cammino di fede e di preghiera che, nel corso degli anni, trasforma la sua esistenza al punto da sentire, ora, il suo “cuore sbocciare e aprirsi sempre più verso Dio e verso gli altri”. Le vicende della vita, però, mutano e, pur non perdendo i contatti, si diradarono le occasioni degli incontri e dei corsi di preghiera frequentati da Rosanna.

Fino a quando, nella primavera del 2017, p. Gentili tenne una sessione dei sui corsi di preghiera profonda nella casa di accoglienza del santuario mariano di S. Felice del Benàco, retto dai padri carmelitani. L’idea del libro nacque proprio in quell’occasione e trovò forma in lunghe ore di confronto e di dialogo nell’Abbazia di Maguzzano, luogo denso di preghiera e di pace, abitato ora dai religiosi di don Giovanni Calabria. Il sodalizio tra p. Gentili e Rosanna Brichetti Messori si rivela, pertanto, davvero intenso e profondo, a maggior ragione del fatto che, in vista di questo importante impegno editoriale, l’intervistatrice ha riletto tutta la vasta produzione della sua guida spirituale, riuscendo a creare una trama di domande e di interrogativi che permettono al lettore di ricostruire una sintesi quanto mai ricca e viva dell’esperienza biografica, intellettuale e spirituale di p. Gentili.

Il libro si dipana come una vera e propria mappa per scoprire i luoghi del silenzio e i sentieri del divino in cui p. Gentili si è mosso, in cui ha vissuto e in cui continua a vivere il Mistero di Cristo. È un libro, insieme, esperienziale e sapienziale: da un lato è una biografia spirituale che, come un diario, presenta gli episodi più importanti della vita p. Antonio, dall’altro offre ampi spazi di riflessione e di confronto critico, talvolta anche problematico, sull’esperienza vissuta.

Cerca il silenzio è un libro che si rivolge, pertanto, sia a chi conosce, sia a chi non conosce l’opera di p. Gentili: i primi vi ritroveranno continui riferimenti e conferme del cammino spirituale già iniziato, ma anche episodi imprevedibili (memorabile, su tutti, la fuga che fece quattordicenne, emulo di san Benedetto, sulle alture di Genova per cercarvi un luogo di eremitaggio…), nonché ulteriori approfondimenti su tutti gli ambiti della ricerca gentiliana; i secondi un’ampia e vivace sintesi dell’insegnamento di p. Antonio, sintesi supportata e testimoniata da una ricca descrizione delle pratiche condotte.

Disegnerò, ora, una sorta di mappa tematica che permetta, quanto meno, di intuire la ricchezza e l’intensità dei contenuti presentati nelle pagine di Cerca il silenzio. Il lettore potrà, comunque, recuperare facilmente, all’interno del fluire dialogico, i temi e i riferimenti che più gli stanno a cuore, grazie a un’analitica e articolata suddivisione in paragrafi dell’intervista stessa. La prima parte del libro è dedicata alle vicende biografiche e spirituali di p. Gentili. La vocazione religiosa e sacerdotale fa trapelare quella che è stata una vera e propria educazione alla libertà, educazione impartita dal padre e dalla madre di p. Antonio.

Intense e, insieme, profondamente tenere e intime sono le parole con cui ricorda la fede respirata in famiglia: una “brezza primaverile su un prato in fiore”, un vento che scuote mente e cuore, che interroga e suscita dubbi, che stimola. Ma, appunto, come una brezza: mai con violenza. Il cursus studiorum e l’incontro con la spiritualità del santo Fondatore dei Barnabiti segnano radicalmente l’anima di p. Gentili e gli permettono di acquisire una solida e opportuna preparazione di base che lo prepara agli ardui impegni futuri di guida e di cercatore spirituale.

In quegli anni avvengono anche gli incontri con i maestri decisivi: p. Giovanni Semeria (a cui dedica la sua tesi di laurea in filosofia che ebbe come oggetto il carteggio con il barone austriaco F. von Hügel, altro padre spirituale di p. Antonio) e Romano Guardini. Grazie a questi studi scopre la rilevanza della visione polare della realtà: l’et-et, la grande legge dell’esistenza umana, sempre scandita da una molteplicità di polarità rintracciabile in tutta la vita in generale, ma che trova un suo specifico riscontro nella vita dell’uomo portatrice, in tutte le sue dimensioni spirituali ed esistenziali, del sistema degli opposti.

Questa polarità si presenterà con tutta la sua evidenza nel 1972, quando p. Gentili viene assegnato alla Casa di esercizi spirituali di Eupilio. Sono gli anni dei primi contatti con le forme meditative orientali: la pratica giapponese dello zazen (con padre Ugo Lassalle), la meditazione mahayana (con il corso di due monaci esuli tibetani) e la pratica yoga (con i corsi di Wanda Patt) muovono p. Antonio a fare ripetute e prolungate esperienze meditative “sul campo”, ma lo nello stesso tempo lo inducono a cercare nella stessa tradizione cristiana e nel monachesimo occidentale e orientale tracce vive e testimonianze dirette di ciò che stava esperendo con le pratiche orientali: l’opera di Thomas Merton, di Giovanni Vannucci e del gesuita Anthony De Mello gli mostrano come la svolta ad Oriente non sia altro che uno dei due movimenti del respiro dello spirito umano e divino, “i due movimenti dell’immanenza e della trascendenza, dell’autorealizzazione e della grazia divina operante la nostra salvezza, come insegna la Rivelazione cristiana”.

Sull’onda di questa intensa e, a tratti, inquieta ricerca spirituale sono da ricordare la pubblicazione del best seller Dio nel silenzio (Ancora, 1986), scritto con il padre cappuccino A. Schnoeller, nonché le riscoperte e le riletture di due libri memorabili, ma sorprendentemente sconosciuti, della tradizione mistica cristiana: La Nube della non-conoscenza (Ancora, 1981), testo apparso in Inghilterra nel tardo medioevo e incredibilmente vicino allo zazen, e Meditare (Ancora, 1983) del padre barnabita savoiardo Francesco La Combe (1640-1715) che propone una pratica silenziosa e contemplativa, suffragata da una molteplicità di richiami alla tradizione cattolica.

Al riguardo non sono da dimenticare le più recenti presentazioni e annotazioni critiche redatte per altri due, questa volta noti, classici della spiritualità cristiana: Racconti di un pellegrino russo (Ed. Paoline, 1997) e L’imitazione di Cristo (Ancora, 2018), vero libro del cuore per p. Gentili, accanto alle Confessioni di Agostino, ai Pensieri di Pascal e ai classici dell’induismo (le Upanishad e la Bhagavadgita).

L’incontro con l’Oriente si rivela, pertanto, come fonte di opportunità, ma, al contempo, anche di qualche rischio. In una parola: una sfida, come testimonia la vicenda della Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana (1989) dell’allora cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione. A sostenere il lavoro e la ricerca incessante di p. Gentili giungono, però, le parole inaspettate di san Giovanni Paolo II rivolte ai vescovi francesi (“La riscoperta dell’orazione mentale è una grazia che arriva al momento opportuno per santificare la Chiesa (…) senza questa interiorità i fedeli si sfiatano, la loro orazione diventa cembalo sonoro…”) e la pietra miliare del Catechismo della Chiesa cattolica (1992) che riprende il tema dell’orazione come “ricerca orante” che si svolge nel cuore, il nostro “centro nascosto”.

Estremamente dense e ricche di spunti interessanti per comprendere la complessità e la portata della ricerca di p. Gentili sono, in particolare, le pagine dedicate alla trattazione dei cosiddetti insegnamenti “collaterali” ai corsi di preghiera profonda, insegnamenti che si rivelano, in realtà, sostanza complementare di quel cammino teologico e spirituale sviluppato sul piano teoretico: il rapporto tra le scoperte della scienza medica e la pratica meditativa, la relazione tra il cibo e la sessualità, le ricerche sul lato umbratile e notturno della vita (la notte e i sogni), l’importanza rivolta al cibo e al digiuno, il combattimento spirituale e il “sentire” di Cristo, la morte e l’al di là.

La seconda parte del libro è più propriamente riflessiva: il dialogo stesso con l’intervistatrice presenta ritmi meno incalzanti e la scrittura, crescendo in profondità, si fa più meditativa. Il punto di partenza è dato dalla constatazione di quanto sia difficile per l’uomo moderno e contemporaneo, figlio della Riforma protestante e del razionalismo cartesiano, vivere la dimensione del sacro e intuire Dio attraverso i simboli. Il mondo, secondo la concezione moderna, si è, infatti, ridotto a un’astrazione e a un artificio in cui si è dissolta la percezione simbolica e, quindi, religiosa, del mondo e del mistero divino.

Per dirla ancora con Romano Guardini, nella visione simbolica “tutte le cose attestano se stesse, ma fanno subito presentire che non sono l’ultima realtà, bensì punti di passaggio, attraverso cui emerge ciò che è davvero ultimo e autentico: forme espressive che lo manifestano. Questo è il carattere simbolico delle cose”. P. Gentili ha, per l’appunto, affrontato lungo tutto il corso della sua vita questa sfida: riportare cioè l’uomo a sentire e a vivere simbolicamente il mondo, profondamente convinto che le realtà più alte non siano immediatamente comprensibili con la mera razionalità perché “negli ultimi secoli si è andato vieppiù perdendo il senso profondo del Mistero cristiano” e “la vita di fede, la vita spirituale o è, in sostanza, un’esperienza progressiva di penetrazione sempre più profonda del Mistero, o non è.”.

E il Mistero più grande, per l’umanità, è il Mistero dell’Incarnazione di Dio. Alla luce di questo Mistero risultano, pertanto, davvero preziose e urgentemente attuali, a motivo degli smarrimenti umani della nostra caotica età, le pagine dedicate al carattere sacramentale del corpo e le riflessioni sulla polarità maschio/femmina, caratterizzata dal riconoscimento, spesso negato, di una certa priorità del genio femminile come ulteriore conferma di quella compositio oppositorum che segna la vita intera di ogni uomo: “quando parlo di genio intendo quella capacità di amare che è impressa nel profondo del cuore di ogni donna” e che può anche “educare il cuore umano, alimentando in esso la fiamma dell’amore”.

Ed è proprio al Cuore che giunge, infine, la ricerca di p. Gentili: il centro del Centro, spazio d’incontro del solo con il Solo. La ricerca del silenzio per trovare se stessi e Dio è un cammino circolare che passa sempre, nella visione cristiana, di qui: il “miglior punto di partenza ma anche di arrivo, di ritorno”. Perché, in ultimo, è “il cuore dell’uomo che determina la sua vita” (Pr 16,9).

Luca Borrione

Romano Guardini

Grazie Luca, continuiamo nel nostro cammino, in questo itinerario spirituale, vitale, unico.

Post correlati

0 Comments

Leave a Reply

XHTML: You can use these tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>