Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il cherubino di Amiens

Le strade del Tour si snodano accompagnando la grande corsa con il paesaggio e la storia. Gli eventi di questi giorni me lo regalano con dovizia di tempo e ne son lieto. La grande campagna francese stupisce con la sua calma bellezza.

Dopo Chartres, neanche gli organizzatori avessero deciso di omaggiarmi, Amiens, sicuramente sfiorando Beauvais. Non è qui il luogo per cantar la meraviglia delle tre cattedrali. A Chartres son stato quattro volte, tre in auto e una in treno da Paris, dalla Gare de Montparnasse. Non dimentico l’apparire del tetto di ardesia verde da decine di chilometri, mentre si viaggia nell’immensità vallonata della campagna. Ad Amiens due volte son stato.

Sempre sol chi mi conosce e mi vuol bene sa la ragione per cui quest’anno riesco a bearmi delle tappe del Tour in tv. Erano anni che non riuscivo a veder neppure le frazioni delle grandi montagne. La dizione “grandi montagne” mi ricorda mio padre, i cui racconti erano del mito dell’Aubisque e del Tourmalet, dell’Izoard e del Galibier. Su questo colle poi andai con una Bea decenne nel 2005, e lo raggiunsi a piedi, con lei che ballonzolava coraggiosa, dal Col de Lauteret, salendo da 1880 metri di quota ai 2640 del colle più alto che dà su Briançon.

La tappa per Amiens si snoda per il dipartimento della Somme, dove si svolse la più sanguinosa battaglia di ogni tempo, con oltre un milione di morti, nella Prima Guerra mondiale. E allora sento dire un commentatore che nella cattedrale Notre Dame di Amiens vi è un cherubino piangente di marmo grigio. Chi sono i cherubini?

Un’etimologia: cherubino è un sostantivo maschile [dal lat. eccles. cherubin, traslitterazione dell’ebraico. kĕrūbīm, pl. di kĕrūb, affine al verbo accado karābu «pregare»]. Nell’Antico Testamento, è il nome di esseri ritenuti intercessori presso Dio, di forma umana, alati, che coprono l’arca santa o stanno davanti al Santissimo o proteggono l’ingresso del paradiso. Nella scala gerarchica discendente degli ordini angelici, secondo la distinzione dello Pseudo-Dionigi, ciascuna delle nature angeliche che costituiscono il secondo coro della prima gerarchia angelica, quella dei serafini, gli angeli di fuoco. Oppure il cherubino è un angelo grazioso, di immagine infantile, appunto, come il cherubino di Amiens, che piange sul dolore e la morte di quegli eventi terribili.

E poi Roubaix dentro il Tour e la Arras di Maximilien Robespierre. Le pietre hanno atteso anche la grande boucle, dove si sono esercitati i più bravi a spingere faticosi equilibri, accettando anche il contatto doloroso della caduta, polvere e sudore e coraggio nei volti scavati di Philippe Gilbert, di John Degenkolb, di Peter Sagan, di Greg van Avermaet. E c’è anche Nibali che quasi vola leggero fino al traguardo, tra i primi. Il ciclismo nelle tratte di pavè torna alla sua verità metaforica, come insegnava Paul Ricoeur.

Il ciclismo è in sé orgoglioso tormento autoinflitto, e racconta nel dipanarsi della corsa, breve e interminabile come una tortura, rappresentando l’itinerario di una vita. La bicicletta è lì silenziosa finché non viene cavalcata dal coraggioso e portata nel mondo, per pianure infinite, colline vallonate e crudeli altissimi monti.

Ora le grandi montagne, come le chiamava Pietro dandomi il senso del favoloso. E allora, come ora attendo i noti volti dei pretendenti a Les Champs Elysées, aspettavo di vedere il volto smunto di Jacques Anquetil, quello robusto di contadino di Raymond Poulidor e il giovane Gimondi e l’elettrico Gianni Motta, il muscolato Rudy Altig, l’imperatore di Herentals Rik van Looy, il tostissimo olandese Janssen. Di pomeriggio si andava all’osteria “Da Lino” a vedere il Tour in bianco e nero, e io così piccolo sapevo i nomi dei ciclisti più grandi.

Le grandi montagne sono la strada che si inerpica excelsior, sempre più in alto, come insegnava il maestro Costantino a me decenne. La strada si eleva e il silenzio avvolge i boschi che si diradano verso i duemila metri.

Non so quel che succederà, chi sarà a precedere gli altri sui colli più alti dei Pirenei, del Massiccio Centrale e delle Alpi. Attendo quei volti piegati a guardare davanti alla ruota anteriore, sperando nel tornante prossimo, ché i tornanti concedono una pausa, tra ombre e zone assolate.

Nel frattempo la Francia meticcia ha già alzato braccia per presti-pedatori vincitori, bravissimi Griezmann e Mbappè. superando i croati orgogliosi. Unico neo la soddisfazione di Macron-falso sorriso.

Il cherubino di Amiens asciugherà le lacrime degli eroi, vedendo la gioia dei vincitori in bicicletta, le loro braccia alzate, vittorie sul proprio limite, sulla paura e la fatica, vittorie sulla perenne tentazione dell’accontentarsi pavido.

 

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