Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Non abbiamo la libertà di essere felici, ma la gioia sì, perché è come l’ombra che ci accompagna… basta accorgersene

20160605_115224La felicità, fecondità, (latino fecunditas, dal sanscrito “fe”) o, in greco, makarìa, non si dà in continuo, tuttalpiù la gioia, una sorta di contentezza, come quella descritta sotto ne “L’odore dei tigli”, un sommesso stare nell’incanto dolce del ricordo (memoria del cuore), che viene ricostruito dai flussi mentali. La gioia, invece, è il gaudium, una specie di sentimento tranquillo, di completezza, un accorgersi della bellezza, e quindi un correggere le proprie pretese (in latino accorgersi deriva da ad corrigendum, cioè correggersi).

La felicità è financo pericolosa, perché l’uomo ha limiti, anche nel godimento. Egli ha spesso bisogno di silenzio, di quiete, dopo la forza invincibile del desiderio realizzato. La Bibbia presenta passi diversi in cui invita gli uomini ad accettare il proprio limite. Accanto alla sublimità erotica del Cantico dei cantici, propone brani come quello che segue, in cui il divino stesso si manifesta in modi che l’umano possa sopportare, e non morire, ché “vedere Dio” è -ineluttabilmente- come morire, anzi, solo dopo la fine della vita, ciò è possibile. Nel racconto che segue, il profeta Elia, come Mosè sulla montagna, deve coprirsi il volto al “passaggio del Signore-Dio”, per non morire.

“(…) Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spezzare i monti e le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu il terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu il fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero (…)” (1 Re 19, 11b-12b), e qui fermo il racconto biblico per dire che Elia si era accorto della presenza del Signore “nel vento leggero”, e così era uscito dalla caverna dove si trovava, ma coprendosi il volto con il mantello, per incontrare il Signore che l’aveva chiamato.

L’elegiaco racconto vien dopo la trucida storia dello scannamento da parte di Elia di quattrocentocinquanta profeti di Baal sul monte Carmelo. Importante è non prendere alla lettera il racconto, mai, ché è narrazione umana, tramandata e scritta a significare il doloroso procedere della vita e della storia.

Ecco, la gioia è come un vento leggero, non come quello impetuoso e gagliardo, effimera immagine della felicità.

La libertà limitata e in-relazione con tutto il resto della nostra vita, è dimostrazione di una impossibilità da un lato, e di una dimensione plausibile dall’altro: quella della gioia, dell’equilibrio, della capacità di accontentarsi, dell’apprezzamento di una brezza leggera piuttosto che del vento gagliardo, dell’inclinazione a formulare domande, piuttosto che a pretendere tutte le risposte.

Il vento leggero agita il profumo dei tigli tra la fine di maggio e i primi di giugno, quando ricordo le sere adolescenti e i discorsi infiniti, un sorriso, un bicchiere in compagnia. Ma anche oggi, o ieri, nel mio girovagare per borghi e campagne, nel silenzio tranquillo della mia terra.

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