Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

vent’anni fa

Fabio Casartelli…non c’era l’obbligo del casco e il Portet d’Aspet sui Pirenei era in pieno sole. Il Tour de France, luogo del mio spirito vi passava, scollinando prima Aubisque e Tourmalet, nomi di tormento.

Lì, cadendo, se ne andava un ragazzo bello, un giovane favoloso, Fabio Casartelli. Lui scendeva veloce dal passo infuocato della montagna, già presago del ritorno a casa a rivedere il suo bambino.

La curva maledetta e la scivolata e lo spigolo, e la fine raggrumato il corpo magro in una pozza di vita rossa che se ne andava, veloce, come la sua corsa. A  venticinque anni, campione olimpico a Barcellona ’92, elegante e feroce nella contesa.

Ieri ho visto Peraud, secondo l’altro anno alla Grande Boucle, lasciare sull’asfalto bollente pezzi del suo dolore, oggi l’ho rivisto in corsa, come un fachiro leggero che risorge a respirare gli alti climi dell’estate, in attesa dei tornanti altissimi. Le Alpi aspettano sempre gli uomini leggeri e fruscianti del Tour, i più forti e i più fragili, tutti pieni di speranza di arrivare in fondo, oltre la linea bianca, dopo tanti chilometri e respiri e borracce vuotate, e maltodestrine, e rincorse, forature, e sfiancamento e rischio. Sfiorandosi con le pedivelle e i manubri, basta un niente per volare via, non sia sa dove.

Li attendono burroni e prati distesi oltre i duemila metri, quelli di quest’anno, che sono uguali a quelli di sempre, oggi vent’anni dal volo di Casartelli e compleanno di Gino da Pontedera.

L’epica è quella, quella la tragedia possibile della corsa, quello il valore e il dolore, caro esploratore del web, che arrivi anche a questa pagina.

Pagina scritta in onore di Fabio, e anche del grande Gino e di quell’uomo solo al comando, Fausto da Castellania, e di Marco da Cesenatico, e di Nibali, e di Contador el nobile hidalgo Velasco, di Nairo Quintana venuto dalla Colombia, dove pedalava verso le nuvole.

Strade di Bottecchia e di Anquetil, di Gimondi, Merckx e Hinault, di Fignon e Le Mond. Strade piene di sole del Tour, che mi attendono ogni anno e ogni anno io ci sono, nel ricordo di chi mi ha parlato della più grande corsa del mondo, io bambino.

Nessuno che fa queste strade può morire, perché sempre rinasce dopo ogni tornante, ogni passo, ogni maledetta discesa, e risorge nell’eterno flusso vitale della fatica e del dolore, della gioia e del tormento glorioso presente a ogni vita.

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