Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’ontogenesi umana in un’osteria di Travesio

il Tagliamento dal ponte di PinzanoAi piedi del Monte Ciaurlec vi è Travesio (Travês in friulano), pedemontana pordenonese, e a Travesio l’Osteria “Al Marascial” aperta nel 1911.

Mi ritiro dolorante in una giornata di vento e azzurrità infinita, solo. E leggo: “L’uomo è più antico di quasi 700.000 anni. Il genere Homo è infatti comparso circa 2,8 milioni di anni fa e a spostare indietro le lancette dell’evoluzione umana sono due studi pubblicati sulle riviste Science e Nature. Il primo, dell’Università dell’Arizona, descrive un fossile recentemente scoperto in Etiopia; il secondo, dell’Istituto Max Planck di Lipsia, analizza con tecniche moderne fossili trovati negli anni ’50.

Percorrendo strade completamente diverse, i due studi arrivano alle stesse conclusioni: i primi rappresentanti del genere Homo sono più antichi del previsto. I resti fossili che lo dimostrano sono stati individuati nel 2013 in Etiopia, insieme ad altri fossili di Homo Habilis scoperti in Tanzania negli anni ’50 studiati adesso con nuove tecniche. Il fossile scoperto in Etiopia è la più antica testimonianza diretta dell’esistenza di uno dei nostri progenitori e sposta così le lancette dell’evoluzione umana indietro nel tempo di circa 700.000 anni. E’ il fossile di una mandibola, ritrovata nel sito di Ledi-Geraru, e ha delle caratteristiche moderne, tipiche delle specie appartenenti al genere Homo. A differenza di quella degli Australopiteci (da cui ebbero origine gli Homo), questa mandibola è più ‘simmetrica’, con molari sottili e premolari simmetrici.

A retrodatare la comparsa dell’uomo, in modo indiretto, anche lo studio pubblicato da Nature. Utilizzando metodi di tomografia computerizzata e tecnologie di visualizzazione 3D applicate a fossili scoperti decine di anni fa, i ricercatori hanno ricostruito l’evoluzione di alcune caratteristiche degli Homo e le connessioni con gli Australopiteci. Un’analisi che concorda pienamente con il fossile di Ledi-Geraru, tanto che, ha spiegato Spoor, il fossile ritrovato “rappresenta un plausibile ‘link’ tra l’Australopithecus afarensis e l’Homo habilis“. Sul web.

Mi guardo in giro e mi guardo nella vetrina, e poi vedo Agnul, salutato da più persone, e il miedi dal puest, invitato a bere un rosso, e lui non si svita. La gestione è in mano a tre uomini, fratelli? Uno grosso e barbuto-bianco, un altro ingrugnito e muto, un terzo più gentile. Prendo vitello à la machanka bielorussa, con patate, e un merlot.

Che distanza c’è tra l’Homo Aetiopensis e noi lì, dal Marascial?

Oggi ho già sbagliato posto di lavoro e risposto male al telefono, dolorante. Che distanza c’è tra me, intellettuale “cagone”, come dice mia figlia, confondendomi con Cacciari, e l’Homo Aetiopensis?

Non molta: il corpo è sempre lo stesso e i nervi portano al cervello il dolore come all’inizio: l’unica differenza è forse nei suoni che emetteva questo mio lontano avo, certamente meno raffinati, ma più puri, senza imprecazioni letterarie. Se il tempo contiene l’evoluzione, sembra ci offra sempre l’occasione per smemorarci ogni volta del nostro limite.

Mi sento profondamente Homo Aetiopensis, mi sento fragile e iracondo, proprio come uno che sta cercando la grotta dove trovar riparo per la notte oscura (San Juan de la Cruz). Mi sento, comunque, perché il dolor fisico ti tiene sveglio, e così saprò cosa dir filosoficamente al convegno sul dolore, cui mi ha invitato il chirurgo.

So di me come animale senziente, regredito forse un poco dall’autocoscienza del sapiens sapiens, avvolto dal vento che soffia stasera, scordato strumento, cuore (da Corno inglese di E. Montale).

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