Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Secondo trattatello sulla stupidità

Quivi a Milano dopo due giorni di confronto seminariale, mi è venuta voglia di scrivere qualcosa ancora sulla stupidità, proprio come motivazione intrinseca, ispirato. Da che cosa, non so.

Della stupidità non si parla mai troppo perché essa abbonda nel quotidiano e ovunque. Alberga negli ambienti più disparati. A volte si dissimula in discorsi importanti e dotti, talaltra è più evidente e pacchiana nei populismi. Si veste di lustrini nel politicamente corretto e scivola da sotto le scarpe dei maestri di pensiero. Scappa di bocca tramite parole in libertà, voci dal sen fuggite, ma neanche troppo. E’ figlia dell’albagia e dell’alterigia, nipote dell’erudizione e della pigrizia.

André Gide osservava come anche le persone intelligenti (o ritenute tali) possano dire molte stupidaggini. Flaiano riteneva che ai suoi tempi (anni ’60) la stupidità avesse fatto “passi enormi“.

Sopra dicevamo che la stupidità è figlia dell’albagia e dell’alterigia, ma forse la sua madre naturale è il vizio di superbia, che illude, ottunde e viola l’umanità delle persone che lo praticano e le persone che lo subiscono.

La stupidità può convivere anche con l’intelligenza, proprio quando si manifesta come incapacità di autocritica, come indisponibilità ad ammettere i propri limiti, come autocertificazione indefettibile di perfezione.

Di solito la stupidità ha bisogno di altre stupidità per sopravvivere a se stessa, perché, di per sé, sarebbe rapidamente marcescibile, labile, flebile, e diventa arroganza, protervia e prepotenza, quando trova altre stupidità che la nutrono.

Nel Libro dei Proverbi (17, 12) sta scritto: “E’ meglio imbattersi in un’orsa privata dei figli, piuttosto che incontrare uno stupido in delirio di stupidità“.

Sta scritto. E se sta scritto significa che è reale. E, in questo caso, se è reale è vero.

 

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