Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La Bambazza nel cassetto

Aveva sempre desiderato dormire in un cassetto. Da quando, dopo aver visto che Tigro, l’amico di Winnie the Pooh, dormiva in un cassetto, immaginava che i cassetti fossero senza fondo e,  camminandovi dentro, si potessero esplorare confini inauditi.

E il giorno venne. Non era più una bimbetta e sapeva che Tigro era solo un parto della fantasia di Walt Disney, anzi di qualcuno dei suoi geniali writers, cosicché, si disse, voglio proprio vedere se un cassetto è veramente senza fondo, e nel suo fondo si può camminare trovando boschi e corsi d’acqua, animali e uccelli, e sentire rumori e fruscii misteriosi. E magari spaventarsi per delle ombre che possono seguirti mentre cammini lungo sentieri perigliosi e sfiorando precipizi. Non si sa mai che cosa può nascondere un cassetto: sorprese, tradimenti, vecchie carte, notizie andate perse negli anni (e nei secoli), una vecchia mappa del tesoro… L’unico modo per saperlo è accettare di dormirvi, ma il problema è quello delle dimensioni. Una bambazza di un metro e settanta o quasi, come fa a infilarsi in un cassetto? L’occasione venne quando quest’ultima estate si trovò in ferie con i suoi vecchi, nelle Serre dei Vimini, un posto lontano dell’Italia del Sud, là dove la costa si incunea nel mare quasi a voler toccare altre coste di misteriosi paesi che stanno nell’oltre.

Vi erano giunti in due giorni con la vecchia auto del padre, che aveva brontolato un po’ meno degli altri anni, durante il tragitto.  Forse, pensò la bambazza, il mio augusto genitore sta rinsavendo.

Alle Serre dei Vimini il mare era incantevole, e lo si raggiungeva camminando attraverso una profonda macchia di lecci, cespugli ligustrini, bougainvillee, pini marittimi e oleandri. Un’ultima altissima duna nascondeva un mare color turchese che ogni giorno, da milioni di anni, sussurrava la stessa eterna canzone della risacca. La bambazza considerò che i rumori naturali, come il mare e le cicale accarezzavano l’udito, al contrario dei fessi strombazzi dei motorini guidati da cerebrolesi, homines sapientes (come dicesi in latino) regrediti allo stadio ominide.

Ma torniamo al cassetto. Il mini appartamento era fornito di tutti i comfort: c’era perfino la luce elettrica, il frigorifero e il gas. Letti normali e cassetto. Sì, perché il terzo letto era fruibile solo tirando fuori un grande cassetto da sotto il divano. Lei si adattò sorridendo fin dalla prima sera. Lunga distesa lo occupava tutto e rischiava ogni momento di abbottarsi sugli spigoli. Si addormentò subito, stanchissima, quando arrivarono.

Fu allora che incominciò il viaggio.

Dopo aver preso sonno, quel sonno che è detto profondo, si trovò a camminare, piccolissima, sul fondo del contenitore dove trovò un pertugio. Un attimo esitando vi si infilò e, quale fu la sua meraviglia: oltre il piccolo buco che oltrepassò di sbieco, si stendeva un grande prato, pieno di fiori e di bellissimi alberi. La cosa curiosa è che gli alberi non sembravano rigidamente piantati per terra. Parevano semoventi, come gli Ent del Signore degli Anelli, pensò la bambazza. Iniziò a camminare cauta in quell’ambiente strano e attraente, quando accadde. Si sentì apostrofare: “Dove vai tutta sola bella bambina?” Lei si voltò e trasecolò constatando che la voce profonda udita era quella dell’albero, il quale, piegandosi gentilmente verso di lei, sembrava guardarla con affettuosa attenzione. “Non preoccuparti, riprese il suo legnoso interlocutore, permettimi di presentarmi, io mi chiamo Barbalbero e sono il decano di tutti questi confratelli fronzuti, che vedi tutt’intorno e anche degli altri, che non vedi, ma che si trovano in questa valle e nelle altre a perdita d’occhio. Siamo qui per proteggerti. Anzi, se camminando, avrai bisogno di qualcosa, non esitare a chiederlo a qualsiasi di noi. La nostra presenza è una garanzia per tutti”. La risposta di lei fu un farfugliamento confuso in un sorriso grato. Ma la bambazza notò, avanzando, che l’aria era cristallina e trasparente come non mai. I molti ruscelli e torrenti che incontrava lungo il cammino erano limpidi e canterini. Anche il rumore dell’acqua era gradito nel suo manifestarsi progressivo mentre lei si avvicinava e al suo allontanarsi, quando procedeva oltre. Dopo un po’ di tempo si meravigliò di non incontrare anima viva, come se quel posto meraviglioso fosse disabitato. Ebbe bisogno di dare un nome, a quel posto, e lo chiamò provvisoriamente Terra degli Ent. La sua fantasia rimembrò il fantastico racconto di Tolkien, e per un attimo rabbrividì, al pensiero che anche lì stessero in agguato gli Orchi Uruk-Ai, i più temibili, perché direttamente diretti da Saruman.

Con il passare delle ore, però, la sua remota preoccupazione diminuì fin quasi a scomparire. Fu allora che vide. In una meravigliosa vallecola circondata da piante rare e polle d’acqua sorgiva, simile a quelle del Parco delle Sorgenti, un uomo elegante stava ordinando di sversare dei liquami innominabili nel terreno. Le salì alla testa un cupo furore. Scattò con parole vibranti: “Non si vergogna di sporcare la bellezza? Si fermi subito”. Il sorriso sardonico del dandy si mostrò per un istante e poi svanì. Ma era svanito anche lui, anche il grosso mezzo di trasporto, anche la strada per cui era venuto. Un orco, comunque, l’aveva incontrato.

Allora la bambazza udì dietro di sé una voce profonda. Era un amico di Barbalbero, una grossa conifera che le disse di chiamarsi Pinolo. “Ti abbiamo fatto vedere che cosa può succedere se lasciamo agli uomini il potere di governare questo mondo. Una volta era proprio così. Loro pensavano di esser gli unici ad avere l’intelligenza per comandare, come era scritto in quel grande Libro che il nostro Spirito degli Alberi, delle Acque, dell’Aria e dei Boschi gli aveva ispirato, con fini di bontà universale. Ma poi, siccome comandavano male, ci siamo coalizzati, noi alberi e gli animali che camminano a quattro zampe, quelli che strisciano e quelli che volano, e alla fine anche quelli che guizzano nelle acque, e abbiamo isolato gli uomini. Sai che noi e gli animali non sporchiamo la terra dove viviamo, non costruiamo strade, non facciamo ponti e porti e aeroporti: dove striscia, il serpente non lascia traccia, dove guizza il pesce, l’acqua si ricompone, dove vola l’aquila, l’aria non viene spezzata… Tu sei la prima che ha potuto visitare questo luogo.” La bambazza, stupita e preoccupata, pensò ai suoi vecchi, temendo che anche loro fossero stati messi in manicomio, come tutto il resto dell’umanità impazzita per senso di onnipotenza. Fu allora che sentì la voce di sua madre che la chiamava, e sentì borbottare l’augusto genitore sul terrazzo. Si mise seduta ritrovandosi nel cassetto.

Si alzò stiracchiandosi e si guardò in giro. Era tutto come la sera prima. Alla Serra dei Vimini cantavano le cicale e non si sentivano rumori molesti, salvo che da remote lontananze, forse dal manicomio.

Uscì ciondolando sul terrazzino e chiese al padre che cosa stesse scrivendo. Lui rispose: un racconto.

Rare nuvole bianche si spostavano pigramente nel cielo vespertino.

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