Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Assolutamente sì, Assolutamente no

Non so al lettore, ma a me fa non poco inquietare (la parola non rende bene l’idea) l’espressione “assolutamente sì, assolutamente no“, che ormai sta diffondendosi in tutti gli ambienti e situazioni dialogiche. Chi desidera affermare, anzi “asserire con fermezza” un concetto, una posizione, un giudizio, regolarmente vi antepone un perentorio “assolutamente sì, o assolutamente no”. Chissà come mai c’è questo bisogno insopprimibile di rinforzare ciò che si dice con un’espressione, questa sì, assolutamente pleonastica e noiosa. Dico subito che questa moda tiene dietro ad altre decine di espressioni oramai divenute idiomatiche, anch’esse di efficacia pressoché nulla e di dubbio significato. Più avanti ne vedremo alcune. Intanto consideriamo la frase in questione. Un’interpretazione plausibile potrebbe essere questa: oggi per farsi ascoltare bisogna urlare più forte degli altri, o comunque conquistarsi una visibilità tale da essere distinguibili nella marea di sollecitazioni visive (televisione, internet e media correlati), uditive (idem) e cenestesiche (relative al movimento, cioè al marketing mediatico), tra le quali il cittadino deve orientarsi, per decidere e per scegliere di acquistare, sia pure un’acqua minerale piuttosto che un’altra. E allora ognuno che parla deve calcare i toni con il reboante “assolutamente …”. Un’altra componente interpretativa potrebbe concernere il bisogno che ciascuno ha di affermare in qualche modo se stesso per uscire dall’anonimato dei più, e allora conviene stentoreamente asserire che … e che … e non solo …, ma anche … 

Una terza ragione si potrebbe individuare nella dilagante assenza di certezze e di plausibilità del reale, quasi tutto oramai abbandonato ad un ondivago opinare, e allora si può sentire, insopprimibile, il bisogno di affermare qualcosa di (appunto) as-so-lu-ta-men-te-cer-to, reale, vero. E siamo ancora al tema della verità, e delle sue ardue tracce. Speriamo sia una moda passeggera.

Proviamo a elencare alcuni altri strani modi di dire. Di solito sono mutuati dai gerghi utilizzati in ambienti specifici: il politichese, il sindacalese, il sinistrese, il giornalese, lo sportivese, etc., già ampiamente studiati e commentati (ricordo in proposito un divertente saggio sul sinistrese di una ventina d’anni fa scritto da Daniele Protti). Vediamo il “piuttosto che“, la quale locuzione è un’avversativa come “ma” e “però“,  e dovrebbe venire usata per porre un’alternativa tra un’opzione o  un’altra. Nient’affatto: viene usata al posto di “e“, come congiunzione. Semplicemente ridicolo. “Nella misura in cui“, tranquillamente sostituibile con preposizioni concessive o ipotetiche come “se, o in tanto“: é un modo di dire anzitutto noioso e pedante, e poi inutilmente logorroico. “Al limite“, sostituibile con … nulla, perché completamente inutile. Lo usano soprattutto coloro che hanno una grande tranquillitas animi derivante dalle condizioni economiche floride, oppure i flemmatici, cui nulla interessa più di tanto: al limite va così, oppure va colà, non cambia molto. Invece, quelli che devono lottare per vivere o sopravvivere aborrono questo modo insultante di prendere e di perdere tempo, che é irrisione del bisogno e delle necessità vitali di molti. Il giornalese é spesso caratterizzato da formule o da titoli “urlati”, fatti apposta per attirare l’attenzione, ma spesso fuorvianti rispetto ai contenuti. Si pensi al noiosissimo e ritrito termine “bufera” che sta a significare quando nasce un problema per qualcuno: “bufera su Berlusconi, bufera su Bertolaso, bufera su pinco e su pallino…”. Che pena quel titolista! Lo sportivese é una variante ancora più orrida per quanto riguarda il buon gusto. In generale la titolistica diventa addirittura un’arte di inventare di sana pianta le cose, destituendo di ogni valenza veritativa il testo stesso, che spesso contraddice il titolo “specchietto per le allodole”. Il politichese é caratterizzato da clichès molto classici quando si tratta di commentare i risultati elettorali: “abbiamo tenuto” dice un leader di partito quando ha nettamente perso; “gli elettori hanno premiato la nostra coerenza” si dice quando il risultato é pressoché uguale a quello della precedente consultazione. Se all’ennesimo referendum promosso da qualcuno partecipa solo un elettore su quattro i promotori, invece di riconoscere l’inopportunità dell’iniziativa, solitamente accusano i media, rei di non avere adeguatamente informato il pubblico: “siamo stati penalizzati dalla stampa“. Insomma, chi usa il politichese si caratterizza per un’inaudita capacità di trovare scuse allo scopo di avere sempre ragione. Ma le persone sono sempre più in grado di distinguere le riflessioni convincenti nel disordine delle parole in libertà, e perciò puniscono chi blatera a vanvera. Dimenticavo: c’è anche il linguaggio, o meglio la retorica bolsa di chi sale rapidamente sul carro del vincitore. Di solito comincia con il rivolgergli domande condite di citazioni dotte; dopo di che conclude auspicando (ma tra le righe) che il nuovo “padrone” sia benevolo con lui.

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