“Animula vagula, blandula…” Marguerite Yourcenar e l’Imperatore Adriano, memoria di un dialogo nel cuore del tempo, e una comparazione con i nostri tempi senza grazia
Il versicolo latino dell’imperatore Adriano – di cui al titolo – è riportato all’interno della sua imponente tomba, la Mole omonima che si trova in riva al Tevere a Roma, quasi di fronte alla Basilica di San Pietro, che si offre alla vista come sfondo arioso e possente. Edificio più noto nel mondo come Castel Sant’Angelo.
Ho deciso tre cose in questi giorni: primo, di provare a mettere qualche distanza dal prevalente orrore estetico, prima ancora che etico, attuale, a malapena temperato dall’armistizio stipulato nel Vicino Oriente; secondo, di riposare la mente quasi rifugiandomi nell’antichità classica a discorrere del grande imperatore Adriano con Marguerite Yourcenar, autrice de “Le memorie di Adriano“, biografia non autorizzata; terzo, di decidere di visitare nuovamente la Villa Adriana a Tivoli, appena passerò da quelle parti.

Elio Traiano Adriano divenne imperatore nel 117 dopo la morte del suo “padre adottivo” Traiano, con Pompeia Plotina Claudia Febe, vedova del defunto, di Adriano stesso mentore principale, e il sostegno delle legioni, come usava in quei secoli. Adriano fu l’imperatore che consolidò l’Impero nella sua massima estensione raggiunta sotto Traiano; egli comprese bene che avanzare ancora ad Est in Asia, oltre la Mesopotamia, a Sud oltre le zone costiere che andavano dall”Egitto alla Mauritania e a Nord, oltre le foreste germaniche e danubiane, e il Vallo fatto costruire da lui stesso in Britannia, avrebbe avuto poco senso e costi sproporzionati rispetto ai vantaggi, sotto ogni profilo: politico, economico e miltare.
Infatti a Est, oltre la Provincia d’Asia, vivevano prosperando i sempre pericolosi Persiani – Parti, che spesso avevano dato robusti dispiaceri ai condottieri romani; a Sud, in Africa, al di là delle città e delle oasi costiere iniziava un deserto rovente, inospitale e improduttivo, e si stagliavano le aspre e brulle montagne dell’Atlante; a Nord, nelle terre germaniche e britanniche c’era da vedersela con bellicosissime tribù, alcune delle quali (in particolare quelle britanniche) il suo predecessore Claudio aveva in parte accolto nell’Impero con diritti di cives provinciali (cf. Discorso in Senato dell’anno 48); e con le tribù germaniche che di lì a poco avrebbero mostrato tutta la loro numerosità, spirito di iniziativa e forza militare.
Adriano pensò che l’Impero aveva al proprio interno, nei cinque milioni e mezzo di chilometri quadrati di dominio amministrativo e militare, beni sufficienti, anzi sovrabbondanti, sia in termini di risorse alimentari, sia di risorse minerarie e metallurgiche per necessità civili e militari.
Se in termini di estensione l’Impero Romano non fu il più grande dei tempi antichi e fino al Medioevo: infatti forse l’Impero Persiano alla sua massima estensione – dalle catene dell’Hindukush all’Egitto – poteva considerarsi più vasto, e soprattutto l’Impero mongolo di Genghis Khan e Timur Lenk certamente lo fu, nessuno di questi imperi ebbe una durata paragonabile a quella dell’Impero Romano che, se terminò in Occidente alla fine del V secolo, in Oriente continuò le sue funzioni per un altro millennio; né altri imperi conobbero uno sviluppo culturale, civile e giuridico come l’Impero Romano.
Adriano era un uomo colto e appassionato ammiratore della cultura greca, viaggiò per tutto l’impero e valorizzò le province. Fu attento a migliorare le condizioni dei militari e dei popoli. Il suo modo di governare fu caratterizzato da uno spirito di tolleranza e di attenzione alla cultura, alle arti e alla filosofia greca, per cui provava una grande ammirazione. Sviluppò Roma con edifici di valore; fece costruire la Villa di Tivoli, quasi a sintesi delle sue passioni per la grande cultura greco-latina. A Roma edificò il suo Mausoleo, la Mole Adriana, poi Castel sant’Angelo. Anche il Pantheon fu fatto ricostruire da Adriano, dopo il funesto incendio che l’aveva semidistrutto.
Adriano è stato dunque un grande leader, usando un termine dei nostri tempi, pur non essendo la sua esperienza scevra da vicende che se fossero giudicate con i criteri moderni e contemporanei, lo collocherebbero in un elenco di figure negative, come si evince dagli eventi della Guerra Giudaica, così come è narrata da Giuseppe Flavio: in quegli anni, tra il 130 e il 135 i Romani terminarono l’opera di “pacificazione” militare con la distruzione di Gerusalemme, ricordando come Tito sconfisse nel 73 le ultime schiere giudaiche a Masada, dove avvennero fatti di enorme e terribile tragicità, il suicidio di massa dei resistenti. Sulle rovine di Jerushalaim , che significa Città della Pace, Adriano fece costruire Elia (che richiama il suo prenomen) Capitolina.
Ma Gerusalemme risorse, perché è immortale, come Roma e come Atene.
Per avere un’idea retrospettiva di Masada riporto un breve racconto di Giuseppe Flavio.
«[…] la chiamano il serpente, a cui somiglia per la sua strettezza e le continue curve e controcurve; il suo tracciato rettilineo s’interrompe per girare attorno a rocce sporgenti. Avanza a fatica, piegandosi continuamente su sé stessa, per poi distendersi ancora. Chi la percorre deve tenere ben saldi entrambi i piedi per evitare di cadere e perdere la vita; infatti sui due lati si aprono burroni così spaventosi da indurre a tremare anche l’uomo più coraggioso. Dopo un percorso di trenta stadi [pari a 5,5 km] la pista raggiunge la vetta, che non termina con un cocuzzolo a punta, ma con un altopiano.»
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 8.3.282-284)
Adriano mancò nel 138 a 62 anni.
Si può dire, senza peccare di “occidentalismo”, che l’Impero Romano fu la più importante struttura politica, civile e militare dell’antichità, di cui le varie eredità sono tutt’ora presenti nelle strutture politiche e giuridiche di tutto l’Occidente, Americhe comprese, e della Russia stessa, che si vanta di avere perpetuato in Mosca la “Terza Roma”, sia per ragioni politiche sia culturali e religiose.

La scrittrice belga racconta nel romanzo citato l’imperatore Adriano come nessuno storico ha saputo fare prima e meglio di lei, se pure in un certo senso. E neppure dopo.
Memorie di Adriano (titolo orig. Mémoires d’Hadrien) è un romanco storico pubblicato nel 1951. Prevalendo la dimensione romanzesca si tratta di un libro di pseudo-memorie, che ebbe uno straordinario successo internazionale, e diede duratura fama all’autrice.
Si tratta della lunga lettera di un vecchio imperatore indirizzata al nipote adottivo diciassettenne e successore, Marco Aurelio, nella quale si legge una sorta di bilancio della vita pubblica e privata dello scrivente. Adriano medita e ricorda i suoi trionfi militari, il suo amore per la poesia e la musica, la sua filosofia nonché la sua passione per il giovanissimo amante, Antinoo, che incontrò in Egitto, dove visse e morì annegando nel Nilo. Forse.
Yourcenar spiega nei suoi Taccuini di appunti, che l’ispirazione a scrivere le Memorie le venne da una frase di Gustave Flaubert: “Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo“. Il soggetto “Adriano” le sembrò un personaggio adatto a rappresentare l’uomo in questa particolare condizione, quel momento dell’antichità classica nel quale non si credeva più agli dèi pagani, ma il Cristianesimo come religione non si era ancora stabilmente insediata nell’animo delle genti dell’Impero Romano.
La Yourcenar stese diverse bozze tra il 1934 e il 1937 ma, insoddisfatta, finì con l’accantonare l’impresa e a distruggere tutte le bozze. Nel 1948, quando si era trasferita negli Stati Uniti, le tornò in mano una versione del 1937, e ciò la spinse a riprendere il testo e a terminarlo in tre anni di lavoro intenso.
Inizialmente, la scrittrice l’aveva pensato come una serie di dialoghi, ma poi si rese conto che il punto di vista migliore era quello dell’imperatore morente, che riconsidera la propria vita in questo modo: “Incomincio a scorgere il profilo della mia morte…”. Con l’uso della prima persona, Yourcenar intendeva “fare a meno il più possibile di qualsiasi intermediario, compresa me stessa“.
Per essere al massimo credibile Yourcenar lesse con cura la Storia romana di Cassio Dione e la biografia di Adriano contenuta nella Historia Augusta. In diverse occasioni l’autrice affermò di aver voluto “rifare dall’interno quello che gli archeologi del XIX secolo hanno rifatto dall’esterno“, cioè reinterpretare il passato, mantenendo tuttavia l’autenticità storica, come spiegò dicendo: “qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche“. Come nella vicenda del Duomo di Venzone (cito questo fatto per i lettori non Friulani), che dopo il terremoto del 1976, che lo distrusse, fu ricostruito con il sistema dell’anastilosi, che significa rimettere ogni pietra, numerata e localizzata, dove si trovava prima del sisma. Sistema in seguito copiato in tutto il mondo.
E’ evidente che la metafora di Marguerite regge fino a un certo punto, perché una cosa è ricostruire un edificio di pietra nel rispetto “filologico” assoluto, altro è “ri-fare” un percorso spirituale, psicologico e ricostruttivo dei ricordi, sapendo che la memoria non funziona come un registratore di fatti e detti realmente accaduti, ma come un “ricapitolatore” imperfetto e in parte opportunista. Ognuno di noi può ammetterlo, testimoniando che ciò che ricorda è spesso un “presso-a-poco”.
Nel volume, strutturato in sei parti, si trova un prologo e alla fine è collocato un epilogo, come in certe opere classiche. Yourcenar cerca di riepilogare anche i modi dei grandi Antichi. Il testo dell’imperatore anziano (sessant’anni per quei tempi era un’età molto avanzata) e malato, si dipana lentamente in prima persona, riflettendo su una vita che ha visto intrecciarsi vicende personali e familiari con la grande politica del tempo. Adriano coglie l’inutilità dell’orgoglio vanitoso per il potere, vista la fragilità della vita e i limiti insuperabili che nessun potere può infrangere.
L’autrice, attraverso le parole “inventate” del grande uomo, prova a discorrrere con sé stessa e con i suoi contemporanei, senza la pretesa di ammaestrarli, lei stessa in età di saggezza, ma con la speranza di offrire una possibilità filosofica sul senso della vita e del potere ai suoi contemporanei.
Il dottor Carlo Marx, quando era nel pieno delle sue attività scientifiche e socio-politiche, e della sua fama in vita, per rispondere a un pamphlet del “compagno” socialista-anarchista francese Pierre-Joseph Proudhon dal titolo La politica della miseria, scrisse un breve saggio dal titolo La miseria della filosofia, con il quale rimprovera al socialista francese di non essere andato fino in fondo nella sua critica al capitalismo oppressivo del XIX secolo. Perché citare Marx in calce al discorso sull’imperatore Adriano, così come è proposto da Yourcenar? Di seguito un breve passo del gran rivoluzionario.
“Il signor Proudhon ha la sventura di essere misconosciuto in Europa in un modo singolare. In Francia egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi. Noi, nella nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti, abbiamo voluto protestare contro questo duplice errore. Il lettore comprenderà come, in tale opera ingrata, siamo stati spesso costretti ad abbandonare la critica di Proudhon per fare quella della filosofia tedesca, e a permetterci alcune osservazioni sull’economia politica in generale.” (K. Marx, Prefazione, Per la critica dell’economia politica, 1859)
Marx era, non solo molto intelligente, geniale economista e ottimo sociologo, ma anche un pessimo filosofo e uno scarso politologo, nonché, sotto il profilo personale, un uomo assai arrogante e capace di offendere chiunque.
E se dovessimo paragonare Adriano e la politica del nostro tempo, questa troverebbe una “Yourcenar”?
…e potrebbero essere utili oggi figure paragonabili al dottor Marx o al signor Proudhon? Quando assisto impotente (anzi no, perché ho 4000 lettori al mese di questo mio blog e so che “qualcosa resta”) al dibattito politico odierno, internazionale e italiano, passo momenti di profondo sconforto, poiché il livello, più che scarso e privo di cultura, è disperante, per bassezza stilistica e bassezze morali.
Abbiamo la ventura/fortuna di vivere in una grande democrazia imperfetta, ma chi in essa si occupa della res publica, in ambo i ruoli, chi governa perché ha solo orecchiato Pericle e Montesquieu, e chi si oppone perché non solo non può aver letto il libro di Yourcenar, né i testi del gran dottore di Treviri, ovvero, potrebbe anche millantare di aver letto questi testi, oppure, infine, di averli veramente letti.
Da essi, però, nulla ha tratto.
Semper mihi, quamvis omnia totaliterque velut mala sint, spes contra spem (…et in vita mea stat).
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