Psicologia, etica, logica e filosofia della scienza
La psicologia, o “discorso sulla psiche”, è la scienza del pensiero pensante. E’ una scienza che viene da lontanissimo, da qualche migliaio di anni. Nella cultura occidenttale assume un rilievo particolare fin dai trattati aristotelici, che la intendono come una filosofia razionale, denominazione che fu utilizzata, almeno in Italia a livello accademico, fino alla seconda metà del Novecento.
Nei successivi duemila anni dai tempi classici la filosofia accademica ha coperto gli spazi scientifici della psicologia, da un punto di vista della denominazione, facendole però assumere un’evidenza particolare con i filosofi inglesi del XVIII secolo John Locke e David Hume che scrissero dei trattati sull’intelletto.
A metà Ottocento, finalmente, furono i medici a irrompere in spazi di studio che fino a quel momento erano stati dei filosofi, se non pensiamo ancora agli antichi studiosi della mente/psiche/intelletto/anima che si definivano filosofi, anche se erano fisici, medici e esperti di qualche settore della natura. Charcot, per primo a Parigi e poi Sigmund Freud (che si formò con il medico francese sul’isteria, tipica definizione ottocentesca dei disturbi nervosi delle donne) si mossero sulle tracce di studi che portarono a specializzarsi sempre più, distanziandosi dalla filosofia.
Teniamo conto che fino all’Ottocento molti trattati scientifici erano redatti in latino e il titolo era spesso di questo tipo “Filosofia delle scienze sociali”, che poi divenne semplicemente “Sociologia”, quando, da Comte in poi assunse un’autonomia epistemologica.
Nel secolo XIX imperava una visione fortemente materialistica dell’epistemologia, cioè della filosofia della scienza, per cui ogni altra scienza le era subalterna e quindi limitata da un materialismo incapace di andare più a fondo nella conoscenza delle cose del mondo e dell’uomo. Eppure Karl Marx non aveva trascurato di dare importanza alla “sovrastruttura”, cioè alla cultura, alle culture, che hanno un’influenza non banale sul funzionamento delle strutture economiche e pratiche, che sono la “struttura”. Lo stalinismo fu possibile su e in una civiltà contadina ortodossa, abituata agli csar e ai metropoliti, così come è plausibile – per alcune ragioni – oggigiorno il cosiddetto putinismo.
Attenzione, affermando ciò, non voglio tessere lodi all’Occidente anti-putiniano, perché anch’esso mostra carenze e retaggi di un passato negativo, se non criminale: colonialismo classico e neo, che ha portato il mondo a una suddivisione delle risorse profondamente ingiusto: il 90% delle persone gode di meno del 10% delle risorse e viceversa, ragione per cui sono comprensibili ed eticamente plausibili rivolte, disordini e anche rivoluzioni.

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La psicologia del Novecento si è declinata in varie branche specialistiche, come quella del lavoro, quella delle comunità, quella sanitaria, quella della educazione e formazione, e altre; la psicoanalisi è una forma particolare di psicoterapia, ma è anche una filosofia cognitiva con la quale dialoga positivamente (cf. C. G. Jung, J. Lacan). La psicologia e la psichiatria, dopo essersi divise accademicamente, ora collaborano in molti ambienti, nella società e nelle strutture sanitarie, dove anche la filosofia pratica può intervenire con la sua gnoseologia e la sua prospettiva morale. A corredo di queste epistemologie abbiamo a disposizione da decenni il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali per la Medicina generale (DSM-IV e V- TR MG), straordinario elenco delle sindromi nevrotiche e psicotiche.
La logica è la scienza del pensiero pensato (ne ho trattato in un articolo risalente a qualche mese fa, qui pubblicato), è parte della filosofia fin dai tempi classici (Aristotele) e dialoga con le matematiche (da Platone a Bertrand Russell). La filosofia della scienza si occupa della struttura epistemologica della ricerca.
L’etica, o filosofia morale, è la scienza che consente la conoscenza – tramite un giudizio adeguato, certo e/ o evidente – di un asserto in base alla sua aderenza ad azioni o detti buoni o mali, secondo il principio della tutela primaria dell’essere umano nella natura. Definizione aristotelico-cartesiana che ho fatto mia.
Logica ed etica, sillogismo e coscienza sono strettamente collegati, anzi necessariamente correlati… e ciò-che-è-necessario non può non essere vero. E dunque necessità e verità sono – spinozianamente – correlate e connesse. Queste considerazioni sono molto utili quando si tratta, nelle sedi giurisdizionali, di cercare un rapporto e, se possibile, un raccordo tra verità fattuali e verità processuali.
Come si possono applicare queste quattro scienze, questi quattro statuti epistemologici ad un tema specifico, odierno? A mero titolo di esempio alla politica del Movimento 5 Stelle? Ci provo, a partire da una breve storia.
Questo movimento politico, a una ventina d’anni dalla sua nascita e a una dozzina dai suoi massimi successi (le elezioni politiche del 2013, quando raggiunse il 33% dei suffragi diventando il primo partito italiano, con Grillo mentore profetico e dirigenti tipo Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, poi Di Maio scoprì nei profondi meandri degli studi legali romani un avvocato sconosciuto, poco più che quarantenne, pugliese, dal tono di voce afono e dall’eloquio banalmente retorico, di matrice vetero-democristiana, Giuseppe Conte, e ne fece un “dio-in-terra”, a loro avviso, mentre io penso l’esatto contrario), auff, finito l’inciso storico, anche se apparentemente si è borghesizzato, “normalizzato”, ha invece conservato tutte le sua iniziali caratteristiche: camaleontismo, balordaggine, mancanza di vergogna per ogni contraddizione evidente anche ai più distratti, nonché (riprendo dal web) “il daltonismo morale, la menzogna sitematica, l’istinto squadristico“. Senza tema di smentita da qualsivoglia critico, credo in ciò che ho appena scritto, perché è attestato dalla storia politica recente e da molti episodi ed evidenze.
Un valoroso giornalista mi suggerisce il paragone con un film di Dino Rsi sulla Marcia su Roma con Tognazzi e Gassman tra i protagonisti.
Tognazzi, che marcia fiducioso verso la Capitale, si accorge subito che le idee fondative dei fasci del ’19, laicità, libertà, antiborghesismo, una specie di socialismo staccato dal marxismo (“socialismo” che verrà ripreso nel Congresso di Verona del Partito Fascista Repubblicano nel 1944), tipico dell’anarco-socialismo del primo Mussolini, sono andati a farsi benedire, perché il Partito è entrato nella stanza dei bottoni dalla porta principale. Re Vittorio ha incaricato il cavalier Benito di formare il Governo.
Così, anzi analogamente, è accaduto, ma solo apparentemente, al Movimento 5 Stelle quando da Movimendo del “Vaffa…” è diventato primo partito di Governo, quello che avrebbe abolito la povertà con il reddito di cittadinanza (cf. proclama dal balcone di palazzo Chigi di Di Maio con i reiterati proclami di Mussolini da Palazzo Venezia, e fatte le debite proporzioni e differenze tra dramma tragico e commedia grottesca).
Anche se non è più il partito di Casaleggio&Grillo, il Movimento 5 Stelle, dopo che Conte ha liquidato l’ultimo Grillo dei 350.000 euro l’anno per la comunicazione, è ancora quello delle origini. Un ritorno al passato, come quello del Partito Fascista: attenzione, caro eventuale lettore che si potrebbe offendere: la mia è solo una similitudine, figura rettorica ammessa nella critica politica, in democrazia. Lo attesto in questo modo: questo “simil-partito”, basta ascoltare personaggi come Ricciardi o la Maiorino (lasciamo perdere Conte, questa volta), per notare l’assenza di qualsiasi principio politico riferibile a un’idea, a una ideologia distinguibile dalle altre, forme di socialismo libertario o di socialismo comunitario, per battere immediatamente cassa e recuperare un premio elettorale, un consenso, che è obiettivamente pre-morale e pre-politico. Un esempio? La vergognosa storia del superbonus, che ha scassato le finanze nazionali premiando la borghesia parassitaria delle seconde e terze case. Anche di fronte a dati affidabili, scientifici, inoppugnabili, questi signori affermano il contrario (non so se, e ciò è gravissimo) sapendo di mentire.
Ciò mostra, e qui invoco la psicologia e la logica: questi signori non hanno il minimo rispetto del principio di identità e di non-contraddizione, perché per loro è vero solo ciò che affermano essere-vero, non ciò che la logica e la fattualità economico-finanziario-giuridica attestano come vero.
Questo comportamento mostra un cinismo assoluto, un disprezzo per la verità insopportabile, un’adesione a tutte le posizioni che anche a livello internazionale si pongono contro la democrazia.
Un esempio? il filo-putinismo evidente e smaccato, irrobustito da una stampa corriva e altrettanto disonesta (cf. Il Fatto Quotidiano), da accademici presuntuosi e autoreferenziali “sono un professore universitario e perciò sono un educatore” (afferma il professor Alessandro Orsini in ogni intervista o comparsata televisiva). Chissà perché quest’uomo ha bisogno di ripetere ogni volta che è un “professore universitario”? Embé? Cosa significa, che uno – in ragione dell’essere un professore universitario – dice la verità, o comunque cose che sono più credibili di quanto sostengono di altri soggetti? Il buon Orsini ha rispolverato il medievale ipse dixit, di teologico-feudal memoria. Anch’io sono un professore universitario, provvisto di due PhD, di tre lauree magistrali e di un master, ma non lo ricordo mai in pubblico, se non mi viene chiesto.
Ancora: se c’è una parola che rappresenta più di altre il comportamento di questo partito è “camaleontismo”, nel senso più deteriore, poiché a volte questa caratteristica può essere buona, positiva, necessaria. Anche su questo propongo due luminosi esempi presenti nella storia italiana contemporanea, quello di Palmiro Togliatti e quello di Aldo Moro.
Il “Migliore”, Ercoli, l’onorevole Togliatti fu stalinista quando non esserlo, a Mosca, significava la Lubianka e un colpo di pistola alla nuca, ma fu anche statista eccelso quando portò il PCI al Gooverno di unità nazionale perfino con il reazionario generale Badoglio, che era un contadino piemontese monarchico, e successivamente con Ivanoe Bonomi e Alcide De Gasperi, e quando Antonio Pallante cercò di ammazzarlo nel 1948, lui impedì la rivolta dei comunisti, che avevano ancora le armi della Resistenza in centinaia di migliaia di case. In quel caso grazie, infinite grazie a Togliatti e a quell’immenso uomo e campione che fu Gino Bartali.
Aldo Moro fu un cattolico democratico, un democristiano capace di governare con i partiti laici e socialisti, e capace di vedere un futuro in cui anche il Partito Comunista, per la sua rappresentanza popolare, avrebbe potuto dare un contributo fondamentale alla democrazia nella società e nella Repubblica italiana. Inviso a Stati Uniti e Unione Sovietica, fu ucciso da un gruppo rivoluzionario miope e crudele come le Brigate Rosse di Moretti e Balzerani, con l’aiuto di connivenze ancora non del tutto note.
Che cosa hanno a che vedere gli uomini e le donne del Movimento 5 Stelle con il maggiore politico italiano del secondo dopoguerra, Alcide De Gasperi, ma anche con figure straordinarie come Pietro Nenni, Bettino Craxi (caro lettore, sai che Bettino, tanto inviso nell’ultima parte della sua vita e ora perfino rimpianto, come Francesco Crispi, era di origine albanese?), Giuseppe Saragat, Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao, Giovanni Malagodi?
Psicologia, etica, logica e filosofia della scienza aiutano a comprendere il funzionamento della psiche e le scelte morali e pratiche delle persone e dei gruppi organizzati: la psicologia andando a fondo sul funzionamento delle menti dei singoli e dei gruppi, aiutata dalla sociologia; l’etica aiuta a capire il livello di comprensione dei valori morali e quindi delle possibilità di discernimento tra bene e male; la filosofia della scienza aiuta a mettere ordine nei vari saperi, dando loro uno statuto epistemologico, che significa un ordine veritativo delle cose.
Un sapere per il bene proprio e per il bene comune.
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