I “Segni dei Tempi”. È stato eletto papa uno statunitense, nato a Chicago, di origini franco-ispanico-italiane, frate agostiniano, missionario in Perù per vent’anni, uomo del Nord e del Sud del mondo. Ne parlerò in un pezzo tra qualche settimana. Intanto parlerò dei “segni” dei miei tempi. Nella mia vita ho fatto cose buone, mi pare, ma ho commesso anche errori, imparando alcune cose: una delle più importanti è stata il non trattenermi un giorno in più in collaborazioni e posizioni (anche di potere), di quanto non ritenessi utile e produttivo, sia per me, sia per il mio interlocutore; nelle due situazioni collaborative nelle quali ho superato i tre lustri, che sono solo due tra decine, all’interno del periodo della collaborazione ho comunque cambiato il mio ruolo. Il risultato di questa scelta è stato duplice: a) di non stancarmi per noia o per una possibile sensazione di inadeguatezza e b) di lasciare rimpianti e anche un po’ di… nostalgia
…a un certo punto nella mia vita mi accorgo (e dunque mi correggo, perché il sintagma gerundivo latino ad corrigendum significa correggersi-accorgendosi) di essere stanco, anzi stufo di una posizione, e di volermene andare.
Con il passare del tempo mi sono convinto che i cambiamenti di cui parlo in questa sede sono legati in qualche modo, in parte confuso e in parte complesso, a una mia lettura dei “segni dei tempi” della mia vita.
E’ successo diverse volte nella mia vicenda personale e professionale. Può essere accaduto per ragioni differenti. Ne racconto alcune: ecco la prima, non in senso cronologico, perché questa è abbastanza recente. Dopo una quindicina d’anni di presidenza di un Comitato Etico in un’azienda multinazionale (anzi in due), comunico alla proprietà che non intendo accettare la quinta proroga triennale dell’incarico, e ne esplicito, ma solo in parte, la ragione. L’integralità delle mie ragioni della rinunzia appartiene al mio foro interno, ed è stata comunicata solo a chi mi vuole bene davvero, non a chi ha fatto finta di volermene.
Il Comitato etico (denominazione giuridica ai sensi di legge: Organismo di Vigilanza), sulla base di un Decreto Legislativo, il 231 del 2001, è composto (solitamente) da tre persone, vale a dire, nel caso narrato, da me come presidente e da due professionisti esperti, l’uno in diritto, l’altro in aspetti tecnici della sicurezza del lavoro, che dovrebbero (debbono) collaborare assieme in ordine alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze soggettive. Si tratta di un “Ufficio” autonomo che ha il compito di vigilare sul rispetto delle leggi e delle norme del lavoro, civilistico-amministrative e penali, sia da pare dell’azienda sia da parte dei collaboratori, dipendenti, consulenti, clienti e fornitori. Un ruolo etico-giuridico che è stato pensato venticinque anni fa sull’onda di eventi gravi e drammatici della vita nazionale come l’emergere di gravi fenomeni di corruzione e concussione tra economia e politica, e di eventi tragici relativi alle condizioni di lavoro, come gli infortuni mortali, che nel tempo sono sì calati, ma negli ultimi anni vi è stata una drammatica inversione di tendenza. Questo attesta come il ruolo degli Organismi di Vigilanza sia sempre più importante, per la sua autonomia ed equi-vicinanza dalle proprietà aziendali e dai lavoratori, ruolo che non è stato compreso subito dai Sindacati, ma che di fatto sta supplendo oramai da un paio di decenni, obiettivamente, ad un indebolimento della loro rappresentanza ed efficacia a tutela dei lavoratori. Dispiace scriverlo.
In questa storia, a un certo punto, dopo avere pazientato a lungo (alcuni anni! forse troppi) mi accorgo che ciò non sta avvenendo, perché i due colleghi ben poco fanno, cosicché io rinunzio al ruolo di presidente per due ragioni, che esplicito subito alle proprietà e alle direzione, dopo avere specificato che oltre alla rinunzia al ruolo giuridico, contemporaneamente accetto di perdere anche un parallelo ruolo consulenziale.
La prima ragione cui ho fatto cenno sopra è la seguente: non è corretto, equo e giusto che il presidente si accolli pressoché tutto il lavoro della vigilanza concreta sui comportamenti dei protagonisti aziendali, e della redazione di verbali, garantendo una presenza settimanale; la seconda è che veramente mi sono stancato di operare in un contesto aziendale progressivamente non collaborativo, e non del tutto compreso nella sua importanza, nemmeno dal “committente”, che è la proprietà. Me ne sono andato.
Ho appreso, però, da alcuni credibili feedback di prima mano, che non pochi lavoratori, operai, impiegati, tecnici e dirigenti, rimpiangono tutt’oggi, a distanza di un paio di anni, la mia presenza che è venuta meno, e questo umanamente mi fa piacere.
Peccato che in quelle aziende si debba far finta che non è così, nonostante quanto sopra detto, nonostante io abbia avuto negli anni anche ruoli decisivi, in ragione delle mie conoscenze nelle pubbliche istituzioni, che hanno accelerato delle pratiche assai ardue per l’ottenimento di importanti benefici di legge.
Gratitudo non est beneficium de ratione intellectus.

(Ogni biel bal al stufe, friulano; trad. it.: ogni bel ballo stanca, nel senso che le cose devono vivere i loro tempi giusti)
Un’altra volta, precedente a quella già raccontata, dopo una dozzina di anni di impegno a responsabilità crescenti fino al livello direttivo nazionale in una struttura socio-politica (sindacale), mi accorgo (e dunque mi correggo) che l’obsolescenza politico-culturale, e quindi operativa della struttura (l’invecchiamento intrinseco) è insuperabile, o comunque superiore alle mie forze e alla mia volontà, e quindi mi dimetto solo qualche mese dopo essere stato rieletto da un congresso che mi aveva votato al 90% dei delegati.
Mi stavo annoiando dov’ero, e ho accettato un ruolo-posizione molto esposto nel diagramma aziendale di un gruppo multinazionale, essendo collocato nella terza posizione appena sotto la proprietà/direzione, e senza “paracadute”, come è in uso quando uno abbandona la confort zone delle strutture socio-politiche per avventurarsi nel privato (mi spiego meglio con un esempio che vale per moltissimi in una stagione durata almeno mezzo secolo, in Italia: i sindacalisti, quando escono dal sindacato vanno nel mondo delle cooperative), all’interno di una azienda molto grande, la più grande del Nordest italiano. Da lì me ne vado dopo meno di un triennio (si tratta di uno dei periodi più brevi tra le mie collaborazioni, che tendono a durare non poco), perché non sono stato ricattabile da volontà megalomani del vertice.
In un’altra azienda entro a supporto del Presidente per il tema delle Risorse umane, dove sviluppo un’attività che oramai dura da… trent’anni, ed è ancora in essere. Si tratta di un’azienda importante che opera sul mercato internazionale della meccanica di precisione. In questo caso il mio incarico cambia nel tempo sostanzialmente in tre momenti: all’inizio affianco il Presidente nei temi dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane, con presenze pluri-settimanali; segue un periodo nel quale supporto l’area delle risorse umane che vede l’inserimento e la crescita di diversi responsabili, che però dopo un primo inserimento molto positivo di sviluppo dell’azienda oramai piccola multinazionale, non vede un prosieguo coerente, in ragione di difficoltà legate a un vertice progressivamente monocratico, che recentemente è stato sostituito avviando un processo virtuoso. Nel tempo ho avuto modo di collaborare anche con le sezioni estere del gruppo. Il terzo ruolo, risalente a un lustro fa, consiste nella presidenza del Comitato Etico, che ha mostrato e mostra l’utilità della sua azione per un bene comune.
Tra le decine di attività collaborative, che non cito, svolte nei miei cinquanta e passa anni di lavoro, perché ho svolto tutti i miei studi universitari lavorando (anche nei cinque anni liceali lavorai tutte le estati portando bibite e fusti di birra nei locali del mio territorio), che hanno raggiunto (posso esprimere un po’ di orgoglio?) i massimi livelli del dottorato di ricerca in due discipline, mentre ho conseguito una laurea, la prima, in un’altra. Lo studio e la ricerca mi ha anche dato la possibilità di insegnare a livello accademico, sia discipline socio-organizzative, sia discipline etico-antropologiche e filosofico-teologiche, scrivendo, nel frattempo, numerosi articoli e volumi, sia divulgativi sia scientifici.
Ancora due casi, recenti e ancora in essere, a mo’ di esempio: il primo riguarda una piccola azienda dove, nel ruolo di Garante etico (il Decreto di cui sopra prevede che le piccole aziende possano darsi anche un Organismo di Vigilanza composta da una persona definita Garante), mi sono accorto che la direzione stava portando alla rovina l’azienda e alla disoccupazione i lavoratori e le lavoratrici. Ho contattato la proprietà e si è mosso un qualcosa che ha portato al rinnovamento generale della gestione, dando una nuova possibilità di vita e di lavoro a decine di persone, tra le quali non poche assai fragili.
Il secondo concerne una bella fabbrica del vicino Veneto, dove la proprietà, dopo che ci siamo conosciuti, prima mi ha affidato la Presidenza del Comitato Etico, e in seguito mi ha chiesto di assistere molto da vicino l’imprenditore, che desidera costruire questa prospettiva: dare un futuro alle centinaia di persone che lavorano in azienda, proponendo di elevare sempre di più la qualità dello stare in azienda, cercando di garantire equità nel trattamento e difesa attenta delle condizioni di lavoro. Sono orgoglioso della fiducia che sento e in cambio desidero dare il meglio che posso per dei nobili fini.
Negli ultimi tre casi citati la mia ragione e il mio cuore sono gli stessi del primo esempio. Sono però umilmente certo che quando verrà il momento di fermarmi, non ci sarà in me alcun sentimento di fastidio, ma solo il sentimento di aver fatto qualcosa di positivo con gli altri, e anche per me e per gli altri.
Non posso e non voglio dimenticare, alla fine, un rapporto ultra quarantennale con il mondo artigiano. Incredibile, ma vero, perché sono un signore in età. Nei primi anni ’80 contribuii alla istituzione dell’Ente bilaterale E.Bi.Art. (l’acronimo, lo dico con meritato orgoglio, è pressoché made by me, ma molti se lo sono dimenticato); successivamente ho operato come consulente in quell’ambito, e infine, da poco meno di un decennio, la struttura sindacale di Pordenone mi ha nominato Garante monocratico ex D.Lgs 231/ 2001, che mi permette di occuparmi degli aspetti etici e gestionali di una delle strutture di servizio aziendale più importanti sul territorio regionale. Di questo ringrazio l’amico Presidente Silvano, già coautore decisivo dell’Ente bilaterale, anche assieme ad un visionario e carissimo amico che non c’è più, il dottore Maurizio Lucchetta.
L’ultimissima esperienza, che ancora dura e desidero citare, è iniziata dieci anni fa esatti. L’azienda è uno di quei “casi” friulani che mostrano come la nostra gente sappia essere leader in progettazioni e produzioni di beni strumentali di nicchia in ogni campo e settore produttivo, in questo caso nel campo dell’agricoltura, con clienti italiani ed esteri. L’aggressione russa all’Ucraina ha danneggiato un mercato est europeo molto promettente, ma la famiglia che ha fondato questo piccolo gioiello industriale è bene intenzionata a proseguire con coraggio il progetto nato venticinque anni fa. Entrato come consulente di direzione, la Proprietà mi ha successivamente nominato Presidente dell’Organismo di Vigilanza e del Codice Etico, con la formula del Garante monocratico, in ragione delle dimensioni aziendali.
Attribuisco molta importanza al biennio in cui ho presieduto una associazione culturale e professionale filosofica italiana. Nel percorso tracciato da altri valorosi studiosi mi sono trovato a portare un contributo che spero abbia dato qualcosa ai colleghi e alle colleghe, e a chi ha incontrato questa esperienza di grande valore morale, non solo culturale.
Questa cosa che segue la devo aggiungere: in una situazione temporalmente collocata all’incirca nel mezzo del cammin di mia vita lavorativa, ho rischiato molto e mi sono trovato a piedi, al punto da dover dormire in un sottoscala. Non me ne vergogno. Nato proletario, diventato piccolo borghese, in quel momento sono caduto nel marxiano lumpenproletariat, in ragione del mio pericolare, per poi tornare a galla. Sono nato e ho abitato in un paese di campagna e poi ne sono uscito. Ho lottato e lotto per la mia salute. Cerco di rispondere sempre, come posso, a chi ha bisogno.
Nel frattempo, da zero libri che avevo da piccolo, ne lascerò migliaia a mia figlia, che sta già sviluppando la sua carriera nel mondo della ricerca accademica, in ambiti scientifici “confinanti” con quelli che ho curato per tutta la vita.
Ora sono un borghese, socialista cristiano come sono sempre stato, fin da bambino, che vive in affitto in una bella casa con giardino.
Non ho mai pensato a possedere una casa, quia cor meus inquietus est…
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