Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Caro PD, perché ti vergogni (forse) a usare la parola “socialista”?

So per certo sine ulla presunzione, che qualche lettore, soprattutto della mia parte politica, non sarà molto contento (forse detto eufemisticamente), leggendo questo pezzo. Di converso, posso forse immaginare un qualche compiacimento da parte di chi politicamente la pensa “dall’altra parte”. Ma, posso dirlo in modo brusco: non me ne frega nulla né dell’uno né dell’altro sentimento. E dico ancora una volta a quelli che mi rimproverano, quando muovo codeste critiche alla sinistra, di “fare il gioco delle destre”, che l’intelletto e la conoscenza non sono né di destra né di sinistra. Cari amici e compagni, spostatevi dai tempi del Fronte Popolare al 2025!

Chi mi conosce (bene) sa bene che quando penso e quando scrivo io NON milito, cioè non sono di parte, perché sto dalla parte della riflessione razionale e della logica argomentativa (possibilmente) informata al meglio. E parto da un po’ lontano nel tempo, ma non troppo.

Il 14 ottobre 2007, Walter Veltroni, grande appassionato dei fratelli John e Robert Kennedy e del “Partito azzurro” americano, nonché militante del PCI, del PDS e dei DS di lunghissimo corso (anche se lui in una lontana intervista afferma di non essere mai stato comunista, che cosa significhi non ho mai capito, come altre cose di Veltroni, in questo caso excusatio non petita? perché io ho molta stima intellettuale e morale di comunisti come Antonio Gramsci e Umberto Terracini, e di non pochi altri), ha avuto la geniale pensata di proporre una forza politica che connettesse i Democratici di Sinistra (i DS) e i cattolici di sinistra della Margherita, ma non ha “pensato” di recuperare lo storico (e per me glorioso – per lui forse no, perché in una sua recente intervista allo stagionato e sempre assai furbo “puro-di-cuore” Augias, raccontando la storia della sinistra italiana, non ha mai nominato i socialisti! solo che dal PSI presente nella storia italiana dal 1891, nel 1921 è nato il PCI, Veltroni!!!) termine “socialismo”, o forse si è auto censurato, optando per la mera copiatura della dizione americana: Partito Democratico, quello di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, di Johnson, di Carter, di Clinton, di Obama e di Biden. Nessuno al tempo, pare – a mia conoscenza – gli pose il tema o l’ipotesi di un nome diverso, e più “europeo”, con qualche forza e ragion dimostrativa.

E fu Partito Democratico, che l’anno dopo raggiunse il ragguardevole 33% dei votanti alle elezioni politiche, pur perdendo dal Partito delle Libertà (Forza Italia più Alleanza Nazionale), che conseguì il 36%. Berlusconi andò al governo, Veltroni si dimise da segretario e si ritirò dalla politica. In qualche misura non ho mai capito questa decisione. Troppi avversari o “nemici” interni? Qualcuno più addentro di me nelle cose “pidine” mi aiuti a capire, o almeno a comprenderci qualcosa.

Da quel giorno le speranze del popolo della sinistra riformista, gradualista, “socialista” (di cui, come socialista democratico riformista e, aggiungo, turatiano e nenniano, faccio parte fin dal mio uso di ragione), ex comunista, ex socialista, liberal democratica, cattolico progressista (moroteo, donatcattiniano, mattarelliano, etc. etc., remotamente dossettiano) si sono poste nel Partito Democratico.

Dal 2007 al 2025 (e son diciott’anni), il PD ha cambiato dieci (10!) segretari politici generali (come si diceva una volta, da Veltroni a Schlein): in ordine cronologico furono eletti Walter Veltroni, appunto, Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi, Giancarlo Martina, Guglielmo Epifani e Matteo Orfini come reggenti (perché non si riusciva a individuare un segretario politico), Nicola Zingaretti, Enrico Letta, Elly Schlein (e puntini…), ma non è riuscito mai a darsi una linea politica che riuscisse a superare i gap e le contraddizioni storico-culturali delle varie eredità culturali e di tradizioni politiche.

Il PD ha governato per gran parte di questi tre lustri senza mai assumersi la responsabilità diretta dei governi, cui ambiva Veltroni stesso, con la chiarissima nozione di “vocazione maggioritaria”, perché, di volta in volta, ha sostenuto governi “del Presidente” (Napolitano o Mattarella), guidati da esterni come i liberali Monti e Draghi, oppure dal dannosissimo parvenù Conte. Un solo segretario del PD è stato Presidente del Consiglio, Renzi, ma in un governo di larghe intese, come fu successivamente anche del governo Gentiloni.

Il Partito Democratico, in questo lungo periodo, non è mai stato in grado di governare come primo partito di una chiara alleanza di centrosinistra.

Ora, dopo il governo Draghi, anch’esso sostenuto dal PD e da tre quarti di arco costituzionale, dall’autunno del 2022 c’è un governo di centro destra, che ha vinto le elezioni politiche, guidato da Giorgia Meloni, leader del maggiore partito conservatore d’Italia, Fratelli d’Italia, gemmato da Alleanza Nazionale che sorse trent’anni fa dalle ceneri del partito post fascista (e a quel tempo in buona misura ancora fascista) Movimento Sociale Italiano, del cui retaggio conserva ancora – nel logo – la fiamma tricolore.

Dico subito che non mi affaticherò a parlare di Verdi&Sinistra, i cui leader mi annoiano, non tanto per ciò che dicono, che è insignificante e ripetitivo, ma per come si muovono (intendo proprio per il loro modo di deambulare: il linguaggio del corpo dice più del linguaggio verbale soprattutto quando questo è poverissimo) fuori, in giro per Roma, e dentro il Palazzo, né mi degnerò di parlare del partito-di-Conte (e dei suoi inascoltabili adepti: ne cito solo tre che superano ogni limite di sgradevolezza: Maiorino e Licheri, non ululare Licheri! senza dimenticare l’inutilmente sarcastico Silvestri cui consiglio – per il suo bene – di non ridere degli altri), che nulla c’entra, se non per alcune biografie personali, con la sinistra, costola ridottissima e sconfitta del grosso (ma non grande), partito di Grillo&Dimaio&Dibattista, campioni dell’antipolitica populista, già primo partito italiano con il 33% nel 2013.

Potrei dire di Calenda&Renzi che qualcosa sanno di economia e di politica, ma mi sono antipatici, per il loro modo di porsi, di dire e di agire (si pensi al Renzi del 41% alle Europee del 2014 buttato via come spazzatura dalla sua altera e financo stupida ybris) che traccheggia tra il presuntuoso e il saccente. E dunque non ne parlerò.

Solo del PD e della sua assai scarsa cultura politica e progettuale – recente e attuale – e di un gruppo dirigente di qualità assai mediocre, qui dolorosamente ragiono e scrivo.

Ecco, il gruppo dirigente del PD, che si è dato anche una segretaria votata da altri, non riesce a sopportare che Meloni governi l’Italia, anche se ha vinto limpidamente le elezioni del 2022. Alla faccia della democrazia dell’alternanza di cui si è sempre fatto paladino. E’ chiaro che nulla può fare, se non contestare e contrastare come può, ogni volta che può, con la verve e la vis polemica che su ogni tema riesce a sviluppare, assieme con una stampa e tv corrive (eguali e contrarie alla stampa di destra). Lo dico con enorme delusione, da socialista.

I tempora e i mores in cui viviamo hanno anche sdoganato linguaggi mediocri, pessimi e a volte orrendi, un’incapacità di giudizio e una crisi formidabile del pensiero critico, di cui pure il PD, che si vanta di essere il partito dei “culti”, è vittima e – insieme – carnefice.

Confronterò le attuali politiche del PD con le ultime del PCI e successori.

IL PD E I DIRITTI SOCIALI

La Tradizione politica che è nata a metà Ottocento e che è arrivata fino al PD si fonda sui Diritti sociali. Le forze di sinistra si sono sviluppate sul campo della tutela del lavoro e dei lavoratori, nei tempi diversi e con le differenti formazioni politiche. In tempi più recenti (citerò solamente le misure più importanti), la Sinistra, con la Democrazia cristiana al governo assieme al PSI (con il PCI favorevole ma formalmente astenuto), ha portato a casa una legislazione avanzata sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro, un riequilibrio tra diritti e doveri tra lavoratori e datori di lavoro, con lo Statuto dei Diritti del Lavoratori (Legge 300) nel 1970, e poi (almeno) in punto di diritto (non “in punta”, come dicono e scrivono quelli che pensano di sapere le cose) la parità di genere sul lavoro. Questo fino a una quindicina di anni fa. Annovero tra le positività anche il jobs act renziano, che ha reso più flessibile il mercato del lavoro senza togliere sostanzialmente diritti. A chi non condividesse questa mia tesi sono in grado di opporre dati ed esperienza diretta, non chiacchiere da bar o da comizio.

Aggiungo: ultimamente si è anche accodato al protestantarismo (horribile dictu scriptoque) senza capo né coda del peggior segretario della CGIL di ogni tempo, il sor Maurizio Landini.

IL PD E I DIRITTI CIVILI

Il PCI fece fatica negli anni ’70 ad aderire alla campagna per il divorzio che Partito Socialista Italiano, il Partito Radicale, i gruppi del femminismo militante, e alcuni cattolici progressisti, portavano avanti; poi, superate le resistenze di una cultura della famiglia tradizionale e un po’ retriva, che non era molto diversa da quella della Democrazia Cristiana, stette pienamente nella battaglia, e il referendum del 1974 vide la vittoria (60%) di chi sosteneva la legislazione che prevedeva il divorzio.

Ora il PD, soprattutto dopo l’arrivo di Schlein (ripeto qui ciò che ho scritto non poche volte in precedenza: si tratta di una segretaria non all’altezza del difficile compito), sembra essere diventato una specie di “partito radicale di massa”, con il sostegno acritico a tutte le politiche cosiddette del gender e LGBTQ+ etc., che ammettono la soggettività assoluta nella auto definizione del genere proprio, sulla traccia di legislazioni confuse e strampalate. Troppo flebili sono le voci dubbiose o contrarie di politici saggi e moderati come Delrio e Guerini. Il tema è collegato alle nuove “culture” (per modo di dire) di cui parlerò più avanti.

IL PD, LA GIUSTIZIA E LA MAGISTRATURA

La storia del tema e dei rapporti con il potere giudiziario ha visto diverse fasi e interventi. Il PD si è caratterizzato (e barcamenato) tra posizioni perfino “manettare” o giustizialiste per inseguire i 5 Stelle e a volte anche la Lega e la “prima Meloni”, e posizioni serie e garantiste come quelle di un Luciano Violante e di non pochi altri. Ora, su un tema – diventato esageratamente arduo, sproporzionato rispetto al novero dei grandi problemi veri – della separazione delle carriere in magistratura, pur sapendo che molti magistrati la condividono, il PD si è messo di traverso, perché si tratta di una riforma che gli sarebbe piaciuto fare ma che non ha mai fatto, pur sapendo che è prevista in Costituzione (art. 103) e dalla Legge di riforma “Cartabia” del 2021. Chi oggi si oppone alla riforma dovrebbe rileggersi quanto sostenevano, tra i Padri costituenti, un Piero Calamandrei, o più vicino nel tempo un Giuliano Vassalli, già Guardasigilli, che erano fortemente a favore della separazione delle carriere, cui sta facendo eco da mesi il professor Sabino Cassese, tra i più insigni giuristi italiani, che ha tutta la mia solidarietà quando si trova nei vari talk show cui (grazieadio) viene invitato, a conversare con giornalisti del calibro (ah ah ah!) di una Claudia Fusani o di una Tiziana Panella, senza dimenticare il signor David Parenzo, assai noto per la sua doppia “militanza” tra il politicamente corretto de La zanzara (a libro paga di Confindustria!) e il provocatore seriale de L’aria che tira (a libro paga del signor Urbano Cairo, titolare de la 7, di RCS, del Giro d’Italia e di molto altro), così come Repubblica e Domani sono, rispettivamente, a libro paga di John Elkann e dell’ing. Carlo De Benedetti. I grandi padroni pagano i giornalisti (anche) perché non li attacchino direttamente. Basta vedere come è stata trattata Stellantis da Repubblica negli ultimi anni. Con i guanti.

Inoltre: sento nei talk show politici che c’è un grande casino in Italia. Sì, per quel migliaio di persone autoreferenziali che scrivono sui giornali e partecipano ai talk, mentre 24 milioni di Italiani se ne sbattono e vanno a lavorare. Un grande casino solo – più o meno – per un migliaio di persone.

E infine, perché no, posso citare a favore della separazione delle carriere perfino (udite udite) un Antonio Di Pietro.

Un altro elemento fortemente negativo, peraltro presente solo in Italia, è il sistema correntizio del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’ANM, il sindacato dei magistrati, che è da superare: l’Ordine giudiziario non è né un sindacato né un partito, ma un Ordine dello Stato (da Montesquieu in poi), e come tale deve essere – in tutte le sue manifestazioni – super partes. Speriamo che il nuovo presidente dell’ANM Parodi mostri più saggezza e spirito dialogico del suo ineffabile predecessore Santalucia.

Come ho scritto qualche settimana fa, i magistrati avrebbero ben altro e molto da fare per migliorare il sistema: accettando la separazione delle carriere, che garantirebbe la vera ed effettiva terzietà del giudice (giudicante) tra il procuratore della repubblica e l’avvocato difensore, che oggi non è – di fatto – garantita, potrebbero occuparsi della riforma del sistema sanzionatorio, contribuire alla riduzione delle condanne sbagliate a causa di inchieste sciatte che spesso portano ad assoluzioni con danni psico-morali incalcolabili per gli innocenti, alla ristrutturazione delle attività e all’ottimizzazione del lavoro degli uffici, etc., per cui, ripeto, con la separazione delle carriere (non temano che il governo, qualsiasi governo, voglia mettere il cappello sulle attività dei procuratori!) si potrebbe solo giovare alla qualità del loro lavoro, oltre che a realizzare condizioni di vera amministrazione della giustizia civile e penale in Italia.

Anche l’obbligatorietà dell’azione penale, nei fatti, è una grande ipocrisia, perché – di fatto – non viene attuata!

La cagnara indecente cui i parlamentari dell’opposizione hanno partecipato nei giorni scorsi in Parlamento sul caso Almasri attesta questa confusione, e una mancanza di una chiara linea politica. Una cagnara che ha fatto il paio con la somma maleducazione dei magistrati che – Costituzione alla mano – hanno dato le spalle come pecoroni (leggi mio articolo precedente) al ministro Nordio una settimana prima.

Spero che la riforma delle carriere vada avanti fino in fondo, referendum confermativo compreso, che farà capire a chi ancora non ha capito che bisogna cambiare, anche perché il Popolo italiano lo desidera.

IL PD E LA POLITICA INTERNAZIONALE

In politica internazionale il PD è abbastanza continuo e coerente con i principi di solidarietà internazionale (Ucraina), ma con qualche caduta concettuale e morale quando si accoda, se non quando avalla, la definizione di genocidio (per me e per chi studia seriamente la storia, assurda e inaccettabile) della dura e cruda e violenta reazione di Israele al pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023. Bisogna stare attenti a non confondere la pietas con un giudizio morale complessivo su questa partita terribile e di difficilissima soluzione.

Anche sul caso Almasri il PD non brilla per coerenza storica e chiarezza. Fa quasi pena e a me rabbia quando ascolto Boccia che dice “oggi Schlein non firmerebbe mai gli accordi che firmò Minniti con la Libia nel 2016“. Caro Boccia, sa che cosa è l’ucronia?

IL PD E IL TEMA DELLE MIGRAZIONI

Le migrazioni di popoli sono storicamente un fatto epocale, e coinvolgono tutto e tutti, nella politica e nella società, nell’economia e nella cultura. Quando ha governato, se pure nelle modalità sopra esposte, il PD ha dovuto ed è stato in grado di affrontare i gravi problemi posti dalle migrazioni dal sud e dall’est del mondo. Basti ricordare le difficili trattative e accordi effettuati dal ministro Marco Minniti (ad esempio, con la solita Libia, nostra “terra d’oltremare”, cara invidiosa Francia), che ora il Partito sembra, per convenienza, aver dimenticato. Non mi piacciono la poca memoria e gli atteggiamenti inutilmente aggressivi verso il governo attuale che, pur tra errori e intuizioni, cerca di darsi da fare, prima di tutto nel coinvolgere la sorda Unione Europea, e poi nel trovare comunque soluzioni. Un grande partito riformista come il PD non dovrebbe fare a gara con Conte, Bonelli e Frate Janni, i passeggianti perrroma, addirittura scimmiottandoli, ma essere capace di proporre soluzioni condivise.

IL PD E LA CULTURA

Il PD, forte della sua tradizione, è stato sempre presente nella cultura nazionale, fino ad assicurarsi, quasi, una sorta di egemonia di tipo gramsciano sulla sovrastruttura marxiana costituita dalla cultura. Se da un lato ciò ha fatto sì che tale presenza garantisse una attività fondamentale nel mondo accademico ed editoriale, d’altro canto non è riuscita, ultimamente, a fermare le astuzie della cultura “americana”, che si è insinuata nelle pieghe del milieu italiano e anche del PD. Infatti, alcuni aspetti della sub-cultura woke non ha risparmiato nemmeno questo partito, che pure dovrebbe avere dei robusti anticorpi verso le banalizzazioni e la superficialità. Anche questo mostra il declino in qualità del gruppo dirigente attuale.

Caro PD e cara sinistra: non è che non ci sono temi e problemi mondiali più importanti di Almasri e della riforma della giustizia, da contrattare con gli USA prima di tutto, e poi anche con la Cina, con l’Unione Europea, con i BRICS, etc.?

E allora, perché no – di nuovo – il “socialismo”? Come idea e come concetto di democrazia progressiva, come simbolo e ideale di giustizia, che ha robuste radici nella storia grande... Perché non richiamare di nuovo una dizione “socialismo democratico”, che significa intrinsecamente, ontologicamente, giustizia nella libertà? C’entra ancora la damnatio memoriae di Benedetto, detto Bettino, Craxi?

ALCUNE OPINIONI DI CARI AMICI

Il mio amico e collega Pierluigi, uomo di sinistra, mi suggerisce un’ipotesi che bloccherebbe il richiamo al socialismo: la presenza nel PD di figure di matrice cattolica, gli ex Margherita, che non sopporterebbero ontologicamente e simbolicamente qualsiasi richiamo al socialismo, tant’è che nel Parlamento Europeo di Strasburgo hanno preteso di cambiare la dizione del gruppo socialista, cui comunque appartengono, in gruppo socialista democratico. Rispondo: appunto! suggerisco la stessa dizione: Partito Socialista Democratico.

L’amico Claudio, storico militante di sinistra, anche Nuova (Lotta Continua, Pdup) mi fa notare questo: che il PD assomiglia più o meno “al gruppuscolo Lotta Continua. Non ha capito che, se vuole andare al governo, deve conquistare il centro. L’opposizione estremistica è indice di infantilismo politico (come sosteneva lo stesso Valdimir Ilic Ulianov, cioè Lenin, ndr)”. E aggiunge: “”(Il PD) è un partito transgender, dallo stalinismo alla cultura woke“.

Infine, l’amico Gigi da Lignano uomo di sinistra veniente perfin dall’Anarchia storica, mi scrive un’aspra diagnosi: “Veltroni ha demolito la struttura partito, che aveva: i militanti, i dirigenti locali, i dirigenti provinciali, i dirigenti regionali, i dirigenti nazionali. Ora il PD ha solo dirigenti, mancano i militanti. Non ci sono più riunioni e dibattiti del militanti (se non qualche volta in qualche Circolo, ndr). Adesso abbiamo le battaglie interne dei dirigenti. Altro problemone il voto agli esterni, tipo quello alla Schlein. I risultati si vedono. Guerre tra correnti e personalizzazione. Non si vota il partito ma i leader. Tutto questo per copiare gli Americani. Un bel regalo di Veltroni“.

Grazie carissimi Amici miei.

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